28.2.13

"Come un gigante addormentato lentamente alza la testa"

Io sono Joaquin,
perduto in un mondo di confusione:
Sono Joaquín, perso in un mondo di confusione,
catturato nel vortice di una società dei gringo,
confuso dalle regole, disprezzato dagli atteggiamenti,
soppresso con la manipolazione, e distrutto dalla società moderna. (...)
Mi guardo.
Guardo i miei fratelli.
Ho versato lacrime di dolore. Ho seminato odio.(...)

Sono Cuauhtémoc, fiero e nobile,
leader degli uomini, re di un impero civile
al di là dei sogni dello spagnolo Cortés (...)

Io sono il principe Maya.
Sono Nezahualcoyotl, grande capo dei Chichimechi.
Io sono la spada e la fiamma di Cortes il despota
e sono l'aquila e il serpente della civiltà azteca.
Ho posseduto la terra fin dove arrivava lo sguardo
l'ho potuta vedere sotto la Corona di Spagna,
ho faticato sulla mia terra e ho dato il mio sudore e sangue indio
per i capi spagnoli che dominavano con la tirannia sull'uomo e
la bestia e su tutto ciò che era in piedi (...)

L'uguaglianza non è che una parola-
Il trattato di Hidalgo è stato rotto
e non è che un'altra promessa non mantenuta.
La mia terra è perduta
e saccheggiata,
la mia cultura è stata violentata. (...)

Hanno visto di buon occhio il nostro stile di vita
e hanno preso ciò che potevano sfruttare.
Hanno ignorato la nostra arte, la nostra letteratura, la nostra musica, -
Così ci hanno lasciato le reali cose di valore
e preso con loro la propria distruzione
per la loro avidità e avarizia. (...)

Sono Joaquin.
Devo lottare
questa battaglia e vincerla
per i miei figli, loro
devono sapere da me
chi sono. (...)

Io sono ancora qui!
Sono sopravvissuto alla fatica e alla schiavitù dei campi.
Sono vissuto
nelle periferie della città
nei sobborghi di bigottismo
nelle miniere di snobbismo sociale
nelle carceri dello sconforto
nel fango dello sfruttamento
e nel feroce odio razziale.
E ora al suono delle trombe,
la musica del popolo suscita la Rivoluzione.
Come un gigante addormentato lentamente
alza la testa
al suono di
piedi marcianti
chiedono a gran voce
i ritornelli dei Mariachi (...)

Dolci occhi marroni sono in attesa di una
vita migliore.
E in tutti i fertili terreni,
nelle pianure aride,
nei villaggi di montagna,
nel fumo delle città,
iniziano a MUOVERSI.
La Raza!
Messicano!
Spagnolo!
Latino!
Chicano!
O in qualunque modo mi chiami,
Ho lo stesso aspetto
Provo le stesse cose
Piango e canto allo stesso modo.

Sono le masse del mio popolo e
mi rifiuto di essere assorbito.
Io sono Joaquin...
                                                                                         Rodolfo "Corky" Gonzáles

Considerazioni sul dopo-elezioni

Scosse prima della rivoluzione

La marcia contraddittoria verso il bipolarismo, unita alle lungaggini intorno alla riforma della legge elettorale, sono alla base delle attuali fibrillazioni politico-elettorali.
Il rischio di un ripetersi continuo del governo delle larghe intese, o “di scopo”, su dettatura europea, dopo che lo stesso ha prodotto il terremoto elettorale, è piu’ che presente.
La paura trasversale a tutti i partiti scornati da una nuova avanzata dell’euroscettico Grillo detta la linea generale a tentare di evitare un nuovo voto nei prossimi mesi.
Questo istinto di sopravvivenza di P.D.-P.D.L., unito all’elezione del presidente della repubblica ed a quella del S.Padre, potrebbe determinare una strana (ma già vista!) alleanza tra i due litiganti Bersani-Berlusconi.
D’altra parte, al di la delle solite promesse condite con la spettacolarizzazione personalistico-mediatica ormai “patrimonio” del nuovo linguaggio politico, la linea dell’austerity e del rigore contro il debito pubblico non è eludibile all’interno delle compatibilità capitaliste, pena un possibile incrudimento del commissariamento diretto da parte europea della governance nazionale.
Un’ipotesi, quella del commissariamento diretto, piu’ che plausibile a giudicare i riflessi immediatamente negativi di investitori e mercati all’annuncio di una nuova stagione politicamente instabile in Italia.
E’ su questo possibile intervento diretto europeo in Italia, con annesse crudeltà diffuse contro il proletariato, che si gioca la possibilità di intervento rivoluzionario dentro questo nuovo frangente di crisi.
In sostanza, è possibile che, di fronte al “rifiuto” dei sacrifici variamente dimostrato dall’elettorato, il tentativo di imporre comunque l’amara medicina europea, produca qualcosa di piu’ di uno sfogo nell’urna o di un mugugno individuale.

E li, in quel “qualcosa in piu’”, dovrà esserci puntuale ed organizzata, la presenza dell’antagonismo politico e sociale ad indirizzare verso la fuoriuscita di sistema eventuali, probabili, mobilitazioni e moti di piazza.
Certo, questa non è l’unica ipotesi sul tappeto, né è di facile praticabilità, anche se dei segnali incoraggianti, dal punto di vista della nostra convenienza politica, ci sono.
Innanzitutto, e nonostante il deterrente antiastensionista dei recuperatori di sistema Grillo e Ingroia, il non voto è aumentato dappertutto, con punte significative nelle metropoli del nord ma anche del centro e del sud.
Si che ce l’avevano messa tutta, e tutti, nel tentativo di far diventare “interessanti”, “importanti”, “decisive” queste elezioni per “battere la destra”, o “recuperare l’i.m.u.”, o “mandarli tutti a casa”, o “imporre la legalità”, o “proseguire l’opera di Monti” etc etc.
Hanno cercato di sfruttare armi ed argomenti vecchi e nuovi, dal “pericolo fascista” alla strumentalizzazione dei movimenti local-ambientalisti, dalla “lotta alla casta” a quella “per il diritto”.
Hanno utilizzato di tutto, da comici veri a quelli improvvisati, cantanti, attori, guitti e profittatori.
Non è servito a fermare l’avanzata dell’astensionismo di massa, né tantomeno a produrre un nuovo governo stabile.
E’ chiaro che, non essendo l’astensionismo sommabile ad alcun “voto di protesta” cosi’ come viene erroneamente fatto, la critica e la sfiducia, pur essendo diffusa, non raggiunge ancora i livelli necessari alla disdetta di classe di qualsiasi appartenenza alla “società civile” storicamente determinata.
Insomma, astensione non vuol dir rivoluzione, e nemmeno automaticamente lotta o organizzazione, ma è un buon inizio.

Su cui lavorare, con un occhio vigile alle possibili, prossime precipitazioni politiche sociali.


P.A.

Lo “tsunami” della crisi politica italiana


I dati elettorali che ci giungono ci permettono delle prime riflessioni su quella che senza esitazione potremmo definire ormai una una “crisi di lungo corso” della politica italiana.

Al punto da non escludere che, ancor prima che “economicamente”, l’imperialismo italiano sprofondi “politicamente” in una situazione greca. In Grecia, infatti, l’anno scorso, in poco più di un mese, sotto la spada di Damocle della mancata concessione degli aiuti europei, si dovettero ripetere le elezioni, le quali fecero fare al centro-destra di Antonis Samaras un balzo dal 18,9% al 30% , sufficiente a formare un governo di coalizione con i socialisti del Pasok. Cosa tecnicamente impossibile il mese prima, quando alla percentuale sopra citata di “Nuova Democrazia”, si erano aggiunti il 13,2% del Pasok (rimasto lì anche il mese successivo), il “successo” della “sinistra” di Syriza (17%), e pure quello dei neonazisti di “Alba Dorata” (7%).

Ora in Italia, a detta di tutti, si é giunti ad un punto di “ingovernabilità”. Con una coalizione di C-S che “strappa”, grazie al vituperato “Porcellum”, un risicatissimo primato alla Camera, a fronte di un C-D dato troppo frettolosamente per spacciato che ottiene la maggioranza dei seggi al Senato, e non solo “ri-conquista” Regioni chiave come la Lombardia, il Veneto e la Sicilia, ma pure il Piemonte, la Campania, le Puglie (smacco clamoroso di Vendola). La Lega “tiene” in Lombardia, crolla in Veneto e in Piemonte, sparisce dal Centro-Italia…Fallito l’esperimento “centrista” di Monti, nonostante (e qualcuno dice “grazie a”) l’appoggio esplicito di tutti i “Guru” della finanza e della governance europea. Dunque questo filo-diretto “poteri forti”/ politica italiana non é poi così diretto ed automatico. Sbancata infatti l’ipotesi di un “ragguppamento al Centro” Bersani-Monti, usando Vendola come chewing gum. Berlusconi non tornerà mai più agli “splendori” di un tempo, ma si dimostra duro, molto duro a morire, al punto che, dato per spacciato, ora é in grado di sedersi al tavolo che dovrà decidere sia il nuovo governo, sia il prossimo presidente della repubblica (a meno che la “criticità” del momento non spinga il nuovo parlamento, con una azione bipartisan escludente il M5S, a “prorogare” il termine all’attuale presidente). Ma, ovviamente, il tema del giorno é il nuovo “astro nascente” Beppe Grillo. Le avvisaglie per un suo exploit c’erano tutte, ma nessuno si aspettava che il suo “partito non-partito” arrivasse a quelle percentuali, diventando in pratica, come numero di votanti, la prima formazione politica italiana. Cosa assolutamente inedita, considerando che il M5S ha solo tre anni di vita e che ha surclassato i già notevoli “scossoni” determinati a suo tempo e dalla Lega Nord e da “Forza Italia”.La cosiddetta “sinistra alternativa dei magistrati” sparisce giustamente e forse definitivamente dalla scena.

Due note importanti per il nostro ragionamento politico: 1) l’ulteriore crescita dell’astensionismo ( un + 5% sulle politiche del 2008), insensibile ai “richiami” di qualsiasi affabulatore, e concentrato con percentuali quasi doppie alla media nazionale nei grossi centri urbani); 2) collegato a questo, anche se non solo, la perdita in cifra assoluta di voti di tutti i partiti e coalizioni rispetto al 2008., eccetto ovviamente il M5S. Esso ha “raccolto” una certa quota di potenziali astenuti (soprattutto nell’area di C-S e, secondo alcune fonti, in particolare nel settore del lavoro dipendente del pubblico impiego), ma non tale da impedire un nuovo smottamento astensionista (siamo al 25% come media nazionale). Al quale vanno sommate le schede bianche e nulle…

Alcuni brevi dati di riferimento. In Lombardia per il Senato abbiamo un PdL che passa da 1.959.786 voti delle politiche del 2008, a 1.002.027 di oggi. La Lega Nord da 1.180.000 voti del 2008 a 667.612 di oggi. La Destra-Fiamma Tricolore nel 2008 contava 92.688 voti. Oggi La Destra porta a casa 13.319 voti. Il PD passa da 1.608.000 voti a 1,318.619; la SEL da 183.000 voti a 104.374. Il M5S arriva a 832.720 voti. Se passiamo alla Camera, sempre in Lombardia, dove “pesa” di più il voto giovanile, abbiamo questo quadro (Lombardia 1-2-3): PdL=2.059.333 nel 2008 contro 1,089.871 di oggi; Lega Nord= 1.327.892 contro 689.861. PD= 1.727.545 contro 1.341.287 ecc. ecc. Il M5S prende 1.020,680 voti. Monti supera di un punto in % la quota nazionale del 10% (460.000 voti). Se andassimo a vedere gli altri dati regionali potremmo rilevare il trend già in parte descritto all’inizio, con significative perdite del PD anche nelle zone “rosse” e la man bassa dei voti utili del M5S un po’ dappertutto (meno in Lombardia).

Sul M5S avremo modo di ritornare. Quello che emerge di diverso dagli altri “eventi” di rottura elettorale, oltre al discorso quantitativo del voto (inquadrato in un’ottica percentuale e non in cifra assoluta), é la diversità economico-sociale del paese. E’ la crisi capitalistica in cui questa “scossa” deve essere inserita.

La cesura di Tangentopoli, datata vent’anni orsono, era pur sempre in un quadro di crisi politica di un imperialismo che, approcciandosi all’Europa ed alla moneta unica, non poteva più permettersi svalutazioni competitive e modelli limacciosi e “datati” di decisionismo politico. In più c’era l’effetto dirompente del crollo del Muro e della globalizzazione operante. Ma non c’era assolutamente questa “sofferenza” sociale, avvitata su sé stessa, senza “spiraglio” alcuno, sorda, piena di sacrosanto odio e rancore; che portano a collegare direttamente la “bella vita” dei soliti noti con la caduta a picco di milioni di proletari, ma non solo.

Dunque, oltre all’astensionismo ed al rifiuto del voto (A+B+N), anche il “grillismo” contiene dentro di sé una “rivolta anti-sistema”, seppur schedaiola ed interclassista. E’ una componente, attenzione, che non dobbiamo però “isolare” da tutto ciò che M5S esprime; e, direi, non dobbiamo neppure prendere l’abbaglio di ritenere che questa componente sia l’elemento prevalente del movimento.

Secondo una fresca indagine del Censis (vedi “Il Manifesto” del 26 febbraio), il livello sociale della platea che affollava Pza S. Giovanni a Roma in occasione del comizio di chiusura di Beppe Grillo, era così composto: alto livello di istruzione (29,1% di laureati e il 56% di diplomati), occupati per il 59%; disoccupati ed in cerca di prima occupazione o in cassa integrazione per il 13,6%, studenti in gran parte universitari per l’11,6%, pensionati per il 10,4%, casalinghe per il 5,3%. Fra gli occupati la maggior parte ha un impiego a tempo indeterminato nella P.A. (26,6%) o presso imprese private (30,6%). La presenza di lavoratori autonomi nelle professioni, artigianato, commercio e imprenditori raggiunge in complesso il 27,6%. Mentre l’area del lavoro precario assomma l’11,2%. Il voto per il M5S é motivato, soprattutto tra i più giovani, dalla speranza che possa offrire una soluzione alla crisi che attraversa il paese (61,6%), mentre per il restante 38,4% é un’espressione di protesta. Una base sociale “attiva”, se si fa fede a questi rilievi del Censis, che esprime certamente il disagio e la rabbia sociale di cui si parlava. Ma un partito, un movimento, non é puramente e semplicemente espressione di essa (già di per sé assai composita). E’ nel programma (oltre che nei mezzi d’azione), anzi negli assi portanti di esso, che si può meglio capire la direzione in cui il soggetto politico si muove. E questo programma si caratterizza su: ambientalismo, “recupero” del territorio e dell’acqua, nonché della scuola, della sanità e dei trasporti pubblici (attenzione= più efficienza, meno costi, meno sprechi), tagli dei costi della politica, tagli e sgravi fiscali, credito ed incentivi alle piccole imprese, “onestà” e “trasparenza” nella gestione della “cosa pubblica”. Il tutto dentro una linea di “sviluppo sostenibile” che respinga il nucleare, che riveda lo spending review ed il patto di stabilità e sottoponga a referendum il permanere nell’euro dell’Italia. Dentro questo canovaccio, e solo dentro di esso, ci stanno l’abolizione della Legge Biagi (ma anche la “semplificazione” della legislazione del lavoro), la riduzione dell’orario di lavoro, il “salario di cittadinanza” (=”nessuno deve essere escluso”). Se tanto ci dà tanto, questi ultimi punti programmatici, fermo restando il problema della forma e del contenuto che essi potrebbero assumere, sarebbero facilmente “affogati” nel baillame piccolo-borghese dei “nuovi investimenti” per lo “sviluppo sostenibile” e per tutti i patteggiamenti interborghesi inerenti a come stare nell’UE, oppure a come uscirne (che non lascerebbero margini, come mai del resto é successo, a “trattative” minimamente classiste). Anche in relazione al fatto che i nuovi deputati “grillini” sono espressione di una “rivolta meritocratica” (=un capitalismo “pulito” basato sulle competenze piuttosto che sulle rendite) e non di una “rivolta classista”. Li ho ascoltati in tivù uno ad uno, sul palco di pza S. Giovanni prima del comizio di Grillo: giovani, tecnicamente pronti e istruiti, “informatizzati”, tematici, concreti, costituzionalisti, legalitari, pacifisti. Loro “spazzeranno via il marciume, e ridaranno il futuro all’Italia”. Non fanno punta “ideologia”, cioé richiami “ideali” a qualcuno. Si presentano candidamente, con poche ed a volte impacciate parole. La loro lotta é il voto, l’ingresso in parlamento e la denuncia dei disonesti, senza guardare in faccia nessuno. Di 20-25 candidati per il Lazio, solo due hanno timidamente accennato al “reddito di cittadinanza”. Alla disoccupazione un pò di più… ma chi non lo fa?

Sembrano più giovanotti, e non “politici di carriera”, che cercano un riconoscimento alle loro “competenze” che la “casta del malaffare” nega loro, piuttosto che i rappresentanti dei milioni di proletari praticamente rovinati dal capitalismo e da tutti i suoi governi (anche da quelli fuori d’Italia che i grillini “stimano”).

Gli scenari che si aprono sono secondo me: 1) nuove elezioni tra pochissimo, dopo un governo “di emergenza” che verrebbe messo su solo per andare al voto con una nuova legge elettorale. E su questo il M5S potrebbe puntare per “cavalcare l’onda”, ma non é ciò che vogliono i due poli, che temono di uscirne stritolati; 2) un governo di “larga coalizione” di più lunga durata, mettendo in primo piano gli “imperativi dell’ora” che l’UE ci imporrebbe, magari adeguatamente accompagnato dallo spauracchio dei cali di Borsa e dell’aumento dello spread. Potrebbe essere anche occasione per “cucinare a fuoco lento “ la parte “più responsabile” del M5S, spaccandola e facendone emergere le contraddizioni ed il neofitismo; 3) se la situazione dovesse proprio “sfuggire di mano”, non é peregrina neppure l’ipotesi di un “commissariamento” dell’UE, aprendo scenari di conflittualità politica dagli esiti imprevedibili: con lo scatenamento di forze autarchiche, nazionaliste, localiste di ogni tipo ( è bene ricordare che il movimento di Grillo in più occasioni si è presentato come ultimo baluardo di difesa della “nostra” piccol-media impresa in chiave protezionista e appunto nazionalista). Una balcanizzazione politica che avrebbe ripercussioni a catena non solo in Italia, ma in tutta l’UE.

Comunque sia, la Seconda Repubblica é finita e si apre lo scenario fortemente instabile e ad alta fibrillazione della Terza. Non basterà una nuova legge elettorale a sistemare le cose. Non sono le leggi elettorali che sistemano le contraddizioni sociali; é il contrario. In Italia c’é una forte, agguerrita, numerosa, diffusa piccola borghesia -improduttiva e non- che non ci sta a pagare i prezzi dell’euro e dell’unità europea. Ora che dopo vent’anni gli si chiede pegno, essa si rivolta (la questione non è solo e tanto il proletariato, quindi). E gran parte di essa é ancora raggruppata sotto le ali protettrici del Cavaliere. Una quota di quella “produttiva” invece si é staccata, ed é andata con Grillo. Qui a Bergamo ad esempio Confimi Impresa, di Paolo Agnelli (20.000 imprese per 330.000 dipendenti, con un fatturato aggregato di 70 miliardi di euro), fa il tifo per Grillo. Odiano i “salotti buoni” dei finanzieri di alto bordo e degli intellettuali “liberal”, e pure gli industriali che preferiscono la Borsa alla produzione manifatturiera. Ambienti che invece tanto piacciono a Monti e Bersani. E questa massa sociale, che condiziona fortemente la politica italiana (Grillo ha rispolverato “l’Italia dei distretti” !!!), che non ci sta più a pagare gli alti costi inutili del suo ceto politico ed i diktat tedeschi, metterà facilmente in riga qualsiasi “velleità” dei neofiti del M5S che uscisse dal coro del “contenimento del costo del lavoro” (altro punto del programma di Grillo), e cioé che osasse trasbordare, bene che vada, da un “onesto” reddito di cittadinanza tal quale esiste in quasi tutti i paesi d’Europa (eccetto appunto l’Italia e la Grecia). Siamo spesso nell’ordine di poche centinaia di euro, a volte a termine, vincolati ad una serie di condizioni che comunque sono ben altra cosa dal salario garantito che noi rivendichiamo.

Certo, come detto prima, elettoralmente il M5S raccoglie anche da strati salariati “incazzati” per come vanno le cose, o da precari e disoccupati. Ma: 1) non ne é diretta espressione; 2) non li organizza per la lotta ma li svilisce col voto; 3) é pronto a “svenderli” al primo offerente in nome della “democrazia”, più o meno “partecipata”.

Dunque nessuna attesa e nessuna illusione che il M5S ci faccia cadere sul piatto cose che tocca a noi andarci a prendere. Casomai questo fenomeno nuovo, che attira ed attirerà molte giovani energie, deve essere incalzato, smascherato, messo alle strette ed in contraddizione dai rivoluzionari solo con la pratica della lotta coerentemente classista e dell’autorganizzazione.

E neppure eccessive attese che il dato elettorale di “protesta”, o “populista” che dir si voglia, possa di per sé rappresentare una rabbia che abbia già rotto le catene della passività sociale proletaria e che non attenda altro che noi per potersi esprimere appieno. No compagni, la strada é come quella di ieri. E’ ancora tutta in salita. E richiede che noi dobbiamo contare per ora, purtroppo, quasi esclusivamente sulle nostre forze e sulle nostre volontà.

G.G.

fonte: Combat.coc.org

27.2.13

Egitto. L'autogestione di Port Said e le lotte operaie

Una realtà senza precedenti si sta realizzando nella città di Port Said: una completa autogestione, un rifiuto di tutto ciò che rappresenta l'autorità. Una realtà che i protagonisti delle lotte egiziane di questo momento – i lavoratori - stanno cercando di riprodurre anche in altre città.

Port Said è diventato un luogo completamente nelle mani del popolo. All'entrata della città, se in passato molti erano i posti di blocco della polizia, adesso si trova un check-point formato però dagli abitanti, soprattutto lavoratori in sciopero, autoproclamatisi "polizia popolare". La stessa cosa vale per il traffico: non più vigili urbani, ma giovani, studenti e lavoratori che autogestiscono il traffico urbano.

Disobbedienza civile: ciò che caratterizza adesso la città è un completo rifiuto del governo di Morsi in tutte le sue forme, dunque cacciata della polizia, rifiuto del lavoro e del sistema scolastico governativo.Per quanto riguarda il fattore "sicurezza", con l'autogestione, le strade risultano adesso più sicure che mai. La polizia - a seguito delle proteste di piazza, della rabbia popolare seguita alle 21 condanne a morte legate alla strage di Port Said e alle 40 vittime dei successivi scontri – la settimana scorsa si è vista costretta ad accettare di lasciare la città nelle mani del popolo.
Il governo Morsi ha accettato di richiamare la polizia sia per le inconfutabili prove video che mostrano poliziotti del regime sparare ed uccidere a sangue freddo i manifestanti, ma anche perché convinto che una città da sola non avrebbe potuto autogestirsi e che Port Said avrebbe richiesto l'intervento del governo per sedare le probabili rivolte. Invece la realtà è molto diversa e mostra che una città senza le "forze dell'ordine" è più sicura e vive meglio.

Vi è poi un tacito accordo che permette all'esercito (maggiormente rispettato dal popolo in quanto tradizionalmente meno legato al regime rispetto alla polizia, emanazione questa del potere e dei servizi segreti) di presidiare i punti nevralgici della città, ma senza potere di intervento.

Dunque la realtà è questa: militari inermi a presidiare luoghi come il tribunale e l'importantissimo porto (adesso in sciopero) e la "polizia popolare" che si occupa della sicurezza nella città.
Il rifiuto di tutto ciò che rappresenta l'autorità si ritova nella pratica di non pagare tasse governative e bollette, rifiutando anche qualunque comunicazione con il governo sia centrale che locale.

La chiusura del governo centrale e l'autorganizzazione di mezzi e modi di produzione, rendono l'esperienza di Port Said una realtà senza precedenti ed una sperimentazione di un nuovo modo di vivere, di produrre, di esistere.

Le fabbriche sono chiuse, il traffico marino è bloccato, si produce ciò solo che serve e rimangono aperti solo i servizi necessari.
Si produce il pane (nella foto a destra un negozio che vende pane a prezzi popolari; i cartelli indicano le ragioni della protesta); gli alimentari, gli ospedali e le farmacie rimangono aperti. In ogni fabbrica, sono gli operai a decidere se continuare la produzione o meno e la risposta generale adesso è NO. Prima giustizia, prima completamento della rivoluzione e poi, semmai, ripartirà la produzione.

Una nuova forma di autorganizzazione si sta sperimentando anche nelle scuole. Queste rimangono aperte ma le stesse famiglie di Port Said rifiutano di mandare i propri figli nelle scuole del governo. Proprio in queste ore insegnanti e comitato popolare stanno cercando di organizzare scuole popolari nella piazza centrale, rinominata la Piazza Tahrir di Port Said, in cui, accanto alle materie scolastiche si vorrebbero insegnare la giustizia sociale e i valori della rivoluzione egiziana.

Una realtà che può sembrare impossibile. Anche sulle pagine di questo portale abbiamo in passato raccontato l'esperienza di Port Said con altri occhi. Ma dopo la condanna a morte dei 21 imputati per la mattanza dello stadio, una nuova coscienza popolare è sorta in questa città, probabilmente in passato molto tradizionalista. Infatti, ad essere condannati sono stati 21 giovani, prevalentemente studenti, mentre la colpa della mattanza va ricercata in ambito politico; la sentenza sembra essere stata più un contentino dato a chi cercava giustizia. Nessuno degli imputati proviene dalle fila della polizia o dello stato e dei suoi servizi segreti. Questo Port Said l'ha capito e, appena le condanne a morte sono state emesse, sono scoppiati forti proteste che hanno portato all'uccisione di una quarantina di manifestanti, alcuni dei quali addirittura durante i funerali delle vittime degli scontri di piazza. Da qui è iniziato lo sciopero, la disobbedienza civile.

Una realtà che anche noi stessi, prima di vederla con i nostri occhi, non avremmo mai immaginato.


Una rabbia, inizialmente nata da una voglia di giustizia per le condanne a morte e per le successive 40 vittime, ma che poi è cresciuta ed è diventata politica. Il forte protagonismo operaio, la crescita di coscienza della popolazione di Port Said hanno reso questa protesta una lotta senza precedenti che tanto fa tremare il regime di Morsi. Una lotta che, se realizzata anche in altre città, potrebbe veramente mettere il regime in ginocchio.

Adesso non si chiede più, come era appena una settimana fa, di non punire i cittadini di Port Said per colpe che invece ha commesso il regime. Adesso si chiede una giustizia per tutte le vittime della rivoluzione, adesso si chiede a gran voce la caduta del regime.

Nella giornata di lunedì una grande manifestazione si è tenuta nelle strade di Port Said:

sindacato indipendente dei lavoratori, studenti, movimento rivoluzionario, in molti sono scesi in piazza, in molti sono partiti dal Cairo per portare solidarietà ai lavoratori ed alla città in lotta. Un grande corteo ha invaso le strade della città, appellandosi ad uno sciopero generale in tutto il paese.

Intanto altre città egiziane hanno in queste ultime settimane sperimentato grandi scioperi: a Mahalla, Mansoura, Suez gli operai di molte fabbriche hanno incrociato le braccia per settimane. Allo stesso modo in centinaia sono scesi in piazza per invocare lo sciopero generale in tutto il paese, molte le scuole e le università che hanno annunciato un prossimo sciopero generale. Molti i lavoratori ed i settori sociali che stanno scioperando senza però riuscire – per adesso – a generalizzare lo sciopero e la lotta, come avvenuto invece a Port Said.

Non si sa quanto quest'esperienza, chiamata "la comune di Parigi egiziana", possa continuare. Sicuramente è difficile portare avanti una lotta di questo genere in un momento in cui il potere centrale potrebbe staccare acqua ed elettricità e, per ora, se non lo fa è solo perché teme maggiori espolosioni di rabbia. Inoltre, il proseguimento o meno dello sciopero dei lavoratori, è fortemente legato alla possibilità che questo si generalizzi e si riproduca anche in altre città.

Inizialmente gli abitanti di Port Said avevano annunciato di voler continuare lo sciopero fino al 9 prossimo marzo – data in cui verranno confermate le 21 condanne a morte – adesso, con il protagonismo dei lavoratori, il futuro si presenta incerto, ma sicuramente ricco di potenzialità.
Le difficoltà al momento potrebbero sembrare tante, ma la presa di coscienza di tutto il popolo (dunque non solo operaia), la pratica del rifiuto del regime, l'autorganizzazione, sono tutti elementi che sembrano dare delle prospettive positive a queste lotte.

La corrispondente di Infoaut dall'area mediorientale
 
fonte: Infoaut.org

26.2.13

"Vecchia democrazia"

Un altro errore teorico e politico dei socialisti consiste nell’incomprensione del fatto che le forme della democrazia si sono inevitabilmente trasformate, nel corso dei millenni, a partire dai germi che se ne ebbero nell’antichità, man mano che a una classe dominante se ne sostituiva un’altra. Nelle antiche repubbliche della Grecia, nelle città del medioevo, nei paesi capitalisti progrediti, la democrazia ha diverse forme e diversi gradi di applicazione. La maggiore assurdità sarebbe di credere che la rivoluzione più profonda nella storia dell’umanità, il primo passaggio che mai si sia avuto del potere da una minoranza di sfruttatori alla maggioranza degli sfruttati, possa avvenire nell’ambito della vecchia democrazia borghese parlamentare, possa avvenire senza le fratture più nette, senza la creazione di nuove forme di democrazia, di nuove istituzioni, che ne incarnino le nuove condizioni di applicazione,(...)

                                                                                                          Lenin, marzo 1919

A Rosarno arriva chi ha perso il lavoro. In Veneto o in Libia

L’ennesima “emergenza” Rosarno è in buona parte frutto di una doppia crisi e dell’incapacità italiana di gestirla. I braccianti che arrivano in Calabria hanno perso il lavoro in Veneto o in Libia e vogliono trascorrere l’inverno guadagnando qualcosa per sé e per i parenti in Africa. Eppure, nell’indifferenza generale, è di nuovo emergenza umanitaria.
ROSARNO (RC) – Lavoravano tutti. Nelle fabbriche del Nord Est o nella Libia di Gheddafi. Due crisi molto diverse li hanno portati nelle campagne italiane. Eppure i giornalisti autori di articoli pietisti e troppi politici frettolosi sono convinti di trovarsi di fronte l`atavica povertà africana. «Non esistono frontiere entro cui convogliare le grandi masse che spingono alle porte dei paesi industrializzati», dice il presidente della provincia di Reggio. Un concetto simile a quello espresso a Saluzzo, provincia di Cuneo, da un assessore comunale: «Si tratta di migrazioni epocali» che non possono essere gestite con le risorse di un piccolo comune. La questione epocale, nello specifico, era trovare un tetto a un massimo di 180 lavoratori per qualche settimana.
Dalle campagne del Piemonte a quelle della Calabria, non c`è nessun esodo di massa. La fame è quella prodotta dallo sfruttamento che è alla base del nostro sistema economico. Un sistema abbrutito dalla crisi che colpisce maggiormente il migrante, privo di reti familiari e amicali che possano sostenerlo, emarginato da leggi discriminatorie create negli anni della deriva securitaria e xenofoba e mai riformate. Non sono poveri perché africani. Sono africani perché poveri. La tendopoli e le condizioni abitative estreme sono il prodotto dei mali italiani.
Intorno al 2008 il bracciante di Rosarno era arrivato da poco a Lampedusa, era passato dal centro di Crotone e quindi alle campagne calabresi. Con in tasca un diniego o un permesso temporaneo, con una scarsa padronanza della lingua, aveva poche possibilità di sottrarsi a condizioni di vita estreme. Viveva alla Cartiera o alla Rognetta, fabbriche diroccate dove solo l`assistenza dei volontari impediva di morire di freddo. Poi sono arrivati gli uomini delle fabbriche. Licenziati dalle ditte del Veneto, avevano i documenti in regola, abitavano in normali appartamenti e non erano disposti a subire umiliazioni o – peggio – atti di violenza gratuita. A loro, quest`anno si sono aggiunti quelli dell`«emergenza Nord Africa». Sono i profughi della guerra in Libia, anche loro operai, ma nello Stato di Gheddafi.
La guerra è ampiamente finita, ma in Italia l`emergenza decisa dal governo è stata prorogata fino a febbraio. Così abbiamo visto gente per mesi e mesi in attesa di un responso o costretta a fare ricorso dopo un diniego. Oppure 'liberata` con un permesso temporaneo che li rende ricattabili: devono accettare qualunque lavoro e qualunque condizione. Da Mineo a Napoli, dalla Calabria alla Basilicata, dal Lazio al Veneto li hanno distribuiti ovunque. Alberghi e abitazioni di ogni tipo. Sul Pollino e sulle Dolomiti, in Sila e a Marcellina (alto Lazio), a Matera e nel centro della Sicilia. Preferibilmente in posti isolati, lontani da opportunità di lavoro. Del resto, chi è in attesa di asilo politico non può lavorare. «Non siamo venuti in Italia per dormire» hanno scritto alcuni di loro durante una protesta di qualche mese fa alla Stazione Termini. La polizia li ha sgomberati rapidamente.

terrelibere.org - autore dell"articolo Antonello Mangano          13 gennaio 2013

La Spezia, all’alba perquisita casa di un militante antifascista

Questa mattina all’alba è stata perquisita l’abitazione di un nostro compagno, la Digos pisana è entrata alla ricerca di alcuni indumenti ed altri materiali. Dopo esser stato portato in questura per un paio di ore è stato subito rilasciato.

Il nostro compagno è indagato per danneggiamento e accessione di materiale pirotecnico, durante il corteo di commemorazione della morte di Franco Serrantini.

Esprimiamo solidarietà e complicità ribadendo che gli unici colpevoli sono chi inquisisce, incarcera, uccide, sfrutta e fa guerre.

Autonomia Spezzina

25.2.13

Alonzo ft. Soprano & S.Teban - The world needs you


Recensioni: Giorgio Sacchetti – Lavoro,democrazia,autogestione. Correnti libertarie nel sindacalismo italiano (1944-1969)

Un quarto di secolo di sindacalismo libertario

Per lo storico Giorgio Sacchetti, autore di numerosi articoli e pubblicazioni sulla storia del movimento anarchico, quest’ultimo lavoro rappresenta una sfida impegnativa, sia per l’argomento specifico che per il periodo analizzato: un quarto di secolo di intervento militante dei libertari nel movimento sindacale. Argomento ostico e complesso, su cui pesa come un macigno il fatto di affrontare un periodo in cui l’influenza anarchica nel proletariato è in netta fase calante rispetto ai decenni che precedono il secondo conflitto mondiale. Una sfida raccolta (e vinta) dall’autore, che d’altronde aveva già dimostrato di conoscere in profondità il movimento libertario. Movimento che, con la fine della Resistenza, si presenta nell’arena della lotta di classe non più come protagonista, bensì ridotto a poco più di testimonianza residuale.
Sacchetti affronta tanto le cause esterne quanto quelle interne di questo declino. Se tra quelle esterne la principale è l’inedita composizione di classe che ha stravolto memoria ed identità delle vecchie organizzazioni ed il tramonto dell’operaio di mestiere soppiantato dal “fordismo” (“modo di produzione che genera – insieme a nuovi sistemi di relazioni industriali – la figura dell’operaio irrigimentato, dequalificato e spersonalizzato delle catene di montaggio, più docile per le organizzazioni autoritarie”), quelle interne sono fortemente riconducibili ad un fattore generazionale.
Basti dire che alla fine della guerra sono ancora i “vecchi” ad essere protagonisti dell’«anarcosindacalismo», o meglio, di ciò che rimane di questa corrente: i Gervasio, i Sassi, i Marzocchi, i Sacconi, i Castrucci, militanti di ferro ma tutt’altro che giovani, con alle spalle anni di galere, confino, clandestinità. Costoro, oltre a dover affrontare sul fronte interno (del movimento anarchico) gli attacchi di personaggi e correnti facenti capo agli “antiorganizzatori”, si trovano ben presto di fronte ad un bivio, ovvero se operare all’interno della rinata Cgil tricolore – che nel frattempo al sud ha già schiacciato la Cgl rossa – oppure rifondare la gloriosa Usi soppressa nel 1926. Pressoché tutti sceglieranno la prima strada, e prenderanno atto dell’errore solo dopo decenni passati all’ombra dei direttivi egemonizzati dagli scaltri stalinisti, quando ormai sarà troppo tardi. L’Usi – ultraminoritaria – verrà rifondata comunque da altri, ma non andrà oltre la piccola ombra di sé stessa.
Anarchici e libertari operano nella Cgil organizzati in corrente (“difesa sindacale”), ottenendo posti di responsabilità, dirigendo categorie come quella dei minatori, organizzando lotte significative ed esemplari come quella del Valdarno. Gli unici nuovi, giovani quadri rappresentano l’eccezione, ovvero l’espressione di singole realtà come quella di Genova; molti di questi quadri si separeranno di lì a poco definitivamente dal movimento anarchico, iniziando un percorso maturato sul campo che li porterà ad approdare al marxismo (Lorenzo Parodi), oppure al riformismo socialdemocratico pur di sottrarsi all’egemonia stalino-togliattiana.
Anche nell’ambito sindacale si verifica dunque la stessa situazione delle ribellioni partigiane: quei libertari che nel dopoguerra affronteranno a muso duro il Pci e lo stalinismo lo faranno solo a condizione di allontanarsi progressivamente dal campo anarchico. Per chi, al contrario, rimarrà in quel campo, il destino è quello di una sudditanza al Pci ed ai suoi quadri nel sindacato, a tratti persino umiliante ed offensiva. E su tutto ciò, a tutt’oggi il movimento anarchico, pur avendo accumulato un notevole patrimonio bibliografico – ben superiore a quello del comunismo eretico – non ha ancora riflettuto, né tantomeno fatto autocritica. Anzi, episodi recentissimi, come ad esempio la presentazione del libro su Gervasio fatta alla sede cigiellina della Camera del Lavoro di Milano dicono tutto, ma proprio tutto su una sudditanza che continua…
Decisamente raccomandiamo la lettura di questo libro, che presenta, se proprio la vogliamo trovare, un’unica lacuna: non vengono mai citati gli internazionalisti, che pure operano, fino ad essere espulsi, nel sindacato e nei luoghi di lavoro, rifiutando cariche elettive, denunciando il Pci e portando nelle lotte parole d’ordine rivoluzionarie: gli anarchici evitarono in varie occasioni di portare le differenziazioni alle estreme conseguenze per non essere accusati di essere “disgregatori”, termine che invece gli internazionalisti rivendicarono per sé. Fu pressoché totale la mancanza di azioni comuni tra anarchici ed internazionalisti all’interno della Cgil: un mancato contatto che favorì l’isolamento e la persecuzione degli internazionalisti da un lato, la sudditanza degli anarchici nei confronti del Pci dall’altro; sudditanza che portò i libertari ad accettare acriticamente meccanismi di spartizione, e “contentini” di poter votare qualche volta contro gli odg approvati a larga maggioranza.
Lorenzo Parodi ne «L’Impulso» del 25 novembre 1956 riportava un intervento di Attilio Sassi “Bestione” che ben inquadrava il generoso intervento di questi compagni – autodidatti – in un sindacato totalmente interclassista e subalterno: ”sin da quando si cominciò a creare in Italia l’organizzazione sindacale andò maturando una concezione particolare sul proletariato, sulle organizzazioni dei lavoratori, sulla lotta di classe. La maggior parte degli uomini più o meno colti, che si infiltrano nei partiti più o meno «sovversivi» o di avanguardia, risentirono di siffatta mentalità che li porta ancor oggi ad avere lo stesso dubbio di ieri: quello di credere che il proletariato da solo non sia capace di incamminarsi verso le mete finali della propria emancipazione”.

Il libro successivamente si addentra nelle delle trasformazioni nelle fabbriche nel corso degli anni ’50, nello scontro con il modello contrattuale perseguito dalla Cisl, nel comunitarismo padronale di marca olivettiana – esperienza cui partecipò più di un anarchico – nella nuova stagione dell’operaismo, nel movimento del ’68, nell’esplosione di creatività in cui le nuove leve di libertari, più o meno eterodossi, trovarono nuova energia. Argomenti e capitoli di stagioni più vicine ai giorni nostri, trattati anch’essi con cura e rigore.
Notiamo con piacere che tra i documenti in appendice viene riportato un nostro scritto, apparso sulla rivista «Collegamenti Wobbly» nel 2008, sull’estromissione dei macchinisti anarchici dalla direzione dello storico giornale nazionale di categoria, considerato eretico e poco controllabile dagli apparati del Pci; scritto in cui, tra l’altro, abbiamo rilevato il nodo dello scontro generazionale tra i lavoratori nell’immediato dopoguerra.

A.P.

LAVORO
DEMOCRAZIA
AUTOGESTIONE
CORRENTI LIBERTARIE NELSINDACALISMO ITALIANO
(1944-1969)

ARACNE 2012
376 pagine, 21 euro

fonte: Combat-coc.org

Per Habtamu

Habtamu, 14 anni, di origine etiope adottato assieme a suo fratello minore da una famiglia italiana, si è suicidato. Dopo essere scomparso il 15 febbraio pochi giorni dopo è stato ritrovato impiccato nei pressi di Biassono (MB).
Non conosciamo la tua storia, non ti abbiamo conosciuto, nè possiamo immaginare ciò che provavi e che ti ha portato alla tua giovane età, a compiere una scelta così grave e definitiva. Quel poco che sappiamo lo abbiamo letto nei giornali. Spesso quando sono coinvolti dei sentimenti, questi sono travisati nelle fameliche e banalizzanti righe di una notizia che tende a ridurre od enfatizzare drammi personali a seconda di quanto possono essere accattivanti per i lettori. Si dice che avevi nostalgia dell'Africa, quello che è certo è che già scappasti una volta  per raggiungere la Sicilia, e da qui la tua terra natale. Quella volta ritornasti.
Abbiamo un rimpianto: Non sappiamo se avresti fatto lo stesso la tua scelta, ma forse ci avresti pensato su. Se qualcuno ti avesse detto forte e chiaro che questa parte di mondo, terra e cielo, sono tuoi a pieno titolo, che non esistono patrie migliori di altre, che i confini li hanno creati per dividerci e dominarci, e che la vita non può essere rovinata a causa di ciò che pensano dei razzisti ottusi. Un giorno, avresti potuto ridere di loro. Ciao Habtamu non ti scorderemo. Lotteremo anche per te.

Combat Genova

Portavoz ft Stailok - El otro Chile


"Non urlare"

Se vuoi essere uccello, vola, se vuoi essere verme, striscia, ma non urlare quando ti schiacciano.

                                                                                                         Emiliano Zapata

Caro compagno Carlo Marx

Caro compagno Carlo Marx,

Non avresti mai immaginato, Tu che hai dedicato, insieme al Tuo amico Federico, la Tua vita e le Tue opere a noi, di essere ricordato, riscoperto ed evocato proprio dai rappresentanti di quella classe sociale che hai sempre combattuto.
E pensare che per un secolo gli hai agitato i sogni ai padroni, o no?
E già, caro compagno, ricorrono a Te perché con tutte le loro “teorie” non sanno piu’ che pesci pigliare, non sanno come risolvere la loro crisi, e perpetuare il proprio sistema. E’ per questo che studiano i Tuoi scritti, rispolverando i Tuoi libri, usandoli per i loro scopi, per spiegarsi le insanabili ed endemiche contraddizioni della loro società. C’è però, un piccolo, odioso, particolare che devi sapere. I borghesi ed i loro servi Ti riscoprono solo per le Tue analisi, per la Tua critica della filosofia politica, per la Tua capacità di prevedere l’odierno processo di internazionalizzazione capitalista.Per il resto, resti morto.
Per il resto, non Ti devi “aggirare”, nemmeno come fantasma!
Per la rivoluzione, la società senza classi, il comunismo, l’organizzazione proletaria internazionale, per tutte queste Tue pratiche e conseguenziali conclusioni inscindibili dal tuo pensiero, niet, non c’è spazio, non se ne parla.
E se qualcuno ci prova, a parlarne, c’è pronta la repressione, e la galera.

A Te, certo, a questo punto, per l’arguzia che Ti è propria, non torneranno i conti. E, sagace, Ti domanderai: ma in tutto questo quadro, noi operai, che fine abbiamo fatto, parliamo di Te, Ti studiamo, Ti seguiamo, mettiamo in pratica i Tuoi insegnamenti? Insomma, noi operai, ce l’abbiamo fatta?
Beh, dobbiamo deluderTi.
Siamo ancora divisi in classi.
E siamo ancora sfruttati, anzi, ci siamo moltiplicati e diffusi in ogni angolo del pianeta, al contrario della nostra coscienza di classe. Gli sfruttatori, anche loro, magari con colori e bandiere diverse, sono aumentati, ed hanno affinato i loro strumenti di comando, di oppressione, di controllo. Pensa, caro compagno Carlo Marx, che alcuni di questi sfruttatori, tra i piu’ grandi e crudeli, si dicono “comunisti”, e sfruttano in nome del “popolo”. Gli altri, la maggioranza, sono democratici. Certo, ci abbiamo provato.
Resistenze, lotte, scioperi, manifestazioni, scontri.
Ci siamo battuti, lasciando sul terreno molti nostri compagni ed anche qualche padrone. Abbiamo conquistato diritti e libertà che da un lato, come succede oggi, ci vengono puntualmente rimangiati, dall’altro, comunque, hanno lasciato inalterati i rapporti di sfruttamento, e tutta la società che li difende. Insomma, a tratti, e temporaneamente, siamo riusciti a farci sfruttare un po’ meno, o un po’ meglio.
Si, lo sappiamo, è pochino, rispetto al Tuo programma di fine del sistema del lavoro e del salario. Ma tant’è, questo ci hanno permesso le condizioni storiche in cui abbiamo vissuto e viviamo.
Ma anche, perché nascondercelo, questo è quello che hanno prodotto i nostri ritardi, i nostri errori, le nostre sconfitte.
D’altra parte, ce lo hai insegnato Tu, noi operai “vinciamo ogni tanto”.
Magari in un prossimo futuro…

Salutaci Federico, Wladimiro, Karl, Clara, Rosa, Leone, Amadeo, Antonio e tutti gli altri fantasmi che continuano ad aggirarsi ormai non piu’ solo per l’Europa.

Distinti Saluti

le compagne ed i compagni del pianeta Terra - 1/8/'012

fonte: Combat-coc.org

Solidarietà con gli attivisti sindacali algerini arrestati

Mercoledì 20 febbraio 2013 ad Algeri la polizia ha circondato e bloccato l'ingresso della sede dei sindacati, impedendo lo svolgimento del primo Forum Magrebino contro la disoccupazione e la precarietà. Le delegazioni tunisina, marocchina e mauritana sono state angariate dalla polizia, che ha arrestato un disoccupato algerino e tre membri dell'Ufficio Nazionale dello SNAPAP, sindacato autonomo del pubblico impiego (Algeria) e fermato dopo perquisizioni in albergo tutte le delegazioni straniere al Forum.
Il Sindacato Intercategoriale Cobas, esprime la sua piena solidarietà con gli attivisti sindacali del Maghreb colpiti dalla repressione governativa, auspicando un collegamento e sempre più stretti legami tra le organizzazioni dei lavoratori dei paesi del Nordafrica e dell'Europa per una lotta comune a difesa delle condizioni dei lavoratori, in una prospettiva anticapitalista.

Mercredi, Février 20 2013, à Alger la police a encerclé et bloqué l'entrée du siège des syndicats, ce qui a empêché la tenue du premier Forum du Maghreb contre le chômage et la précarité. Les délégations de la Tunisie, du Maroc et de la Mauritanie ont été victimes de vexations par la police, qui a arrêté un chômeur algérien et trois membres de l'Office national du SNAPAP, Syndicat indépendant des employés du secteur public (Algérie) et, après la perquisition de l'hôtel, a arrêté toutes les délégations des pays étrangers au Forum.
Le Syndicat interprofessionnel Cobas exprime son entière solidarité avec le militants syndicaux du Maghreb touchés par la répression gouvernementale, dans l'espoir d'une connexion et de liens plus en plus étroits entre les organisations de travailleurs dans les pays d'Afrique du Nord et en Europe pour une lutte commune pour la défense des conditions des travailleurs, dans une perspective anticapitaliste.

S.I. Cobas – Milano, Italia

fonte: SI-Cobas.org

La lotta dei richiedenti asilo è quella di tutti

Nello scenario della devastante crisi capitalistica i governi occidentali, hanno rilanciato un ciclo di guerre in Africa. La popolazione Maliana è solo l’ultima il cui sangue è stato nuovamente sacrificato sull’altare del profitto. Ma, prima dell’attuale intervento in Mali, un’ altra guerra ha costruito corpi e menti sofferenti tra coloro che sono nati in Mali e in molti altri paesi africani: stiamo parlando dell’ingresso a gamba tesa degli interessi occidentali nel mezzo delle rivolte del nord-Africa e del vicino Oriente, ovverosia la guerra in Libia.
La guerra “umanitaria” iniziata nella primavera del 2011, ha costretto migliaia e migliaia di lavoratori, originari di ogni parte d’Africa ed immigrati in Libia (dove riuscivano a portare a casa salari di più di 1000 dinari libici -circa 600€- con alloggio e utenze pagate e un costo della vita decisamente inferiore all’ Italia), a fuggire, quando non obbligati con la forza, attraverso il mediterraneo nuovamente fossa comune per i dannati della terra.

Nel 2011 sono arrivati in Italia circa diciottomila uomini e donne; le stesse istituzioni che li hanno costretti a giungere fin qui hanno deciso che sarebbero dovuti diventare carne fresca per i più svariati usi, dalle speculazioni politiche razziste al rinverdimento delle casse di “umanitarie” cooperative e di normali albergatori. Un flusso di denaro gigantesco (1mld e 300mln) ha visto come pretesto passivo la permanenza di migliaia di persone all’interno di un circuito di centri di accoglienza, strutture pubbliche e private, capannoni allestiti in condizioni pessime, il tutto in quadro normativo e operativo di emergenza. Ora il Governo dichiara chiusa l’emergenza: il 28 febbraio, quanti sono ancora all’interno dei campi (come li chiamano loro), dovranno ufficialmente abbandonare le strutture. In questi mesi di evidente inadeguatezza, malagestione, clientelarismo, untuosa carità e razzismo, le istituzioni (governo,comuni e prefetture) hanno provato a liquidare il problema cercando di dividere i rifugiati e richiedenti asilo, con processi di etnicizzazione (dalla separazione su base nazionale e etnica nelle strutture alle trattative separate) e cercando di proporre illusorie soluzioni individuali. Le organizzazioni, che hanno intascato 46€ al giorno per ogni richiedente asilo per quasi due anni e che avrebbero dovuto garantire corsi di lingua, inserimento abitativo e lavorativo, hanno invece solo rinvigorito i loro portafogli ed, al massimo, trasformato in problema di ordine pubblico le proteste e le rivendicazioni degli “ospiti”. Così è successo in occasione della sollevazione alla “Casa a Colori” di Padova per la quale cinque rifugiati, dopo essere stati in carcere, sono ora agli arresti domiciliari.
Promettendo “buonuscite” di 500€, che suonano ridicole rispetto ai soldi già spesi in questi anni, e raccontando storie alquanto fantasiose sulle possibilità di movimento e le opportunità di lavoro nel resto d’Europa, prefetti e uffici comunali hanno spinto molti a uscire dalle strutture e spesso a partire per altri paesi. Molti di coloro che sono partiti hanno anche già fatto ritorno, rispediti, secondo le regole dell’accordo DublinoII, nel primo paese europeo su cui sono approdati; altri hanno iniziato un nuovo percorso di sofferenza nelle periferie europee, nei campi del sud italia, nelle stazioni e sotto i portici di molte città. Ora sono a disposizione dello sfruttamento più brutale che non poteva sperare in niente di meglio che in nuova forza-lavoro, prostrata da anni di inedia, resa fortemente ricattabile e che non ha avuto il modo di costruirsi reti di solidarietà, apprendere la lingua e gli strumenti giuridici di autodifesa.

C’é però chi non si è fatto illudere dalle false promesse istituzionali e a pochi giorni dal limite ultimo del 28 febbraio ha deciso di non abbandonare i luoghi che ha iniziato a conoscere, in cui ha stretto un minimo di relazioni sociali e in cui ha trovato qualche compagno, che invece che speculare sulla sua condizione vi ha visto la propria, presente o futura.

Non possiamo accettare che nuove migliaia di lavoratori finiscano ad ingrossare le fila del lavoro nero, sottopagato, ipersfruttato e pericoloso, perché questo significa peggiorare le condizioni di tutti i lavoratori, disoccupati o futuri tali, esasperando la competizione al ribasso che è protagonista della guerra fra poveri a cui vogliono costringerci. Ai presenti e futuri lavoratori immigrati in Italia, sta arrivando una grande forza dalle lotte nel settore della logistica, che hanno dimostrato che è possibile conquistarsi salari più dignitosi e diritti fino a ieri negati, resistendo a colossi del calibro di IKEA, favorendo processi di autorganizzazione e protagonismo dei lavoratori che con lo sciopero della logistica del Marzo prossimo proveranno a mettere alle strette un settore dove lo sfruttamento è intensissimo, il potere padronale grande e i profitti anche.
Il 23 Marzo poi sarà il ricatto della legge Bossi-Fini ad essere messo al centro della grande manifestazione di migranti che ci sarà a Bologna, ma già da ora non possiamo permettere che siano (non)soluzioni individuali a precipitare migliaia di lavoratori nelle condizioni disastrose in cui li vogliono padroni e Governo. In caso contrario la forza del movimento dei lavoratori immigrati verrà indebolito e così minore sarà la forza di chi ogni giorno lotta sul posto di lavoro, nei territori, nella difesa dagli sfratti e dagli sloggi, dei disoccupati e degli studenti, forza lavoro in formazione.

Prima del 28 febbraio, manifestazioni e momenti rappresentativi dovranno cercare di conquistare una proroga dell’accoglienza, ma in situazioni abitative che consentano ai rifugiati di emanciparsi dalle condizioni di dipendenza in cui le strutture assistenzialistiche li hanno costretti in questi mesi, quindi non presso quelle strutture ferreamente gestite dalle cooperative speculatrici, ma in alloggi sotto il diretto controllo dei rifugiati. Queste proroghe dovranno servire per organizzare la mutua solidarietà, la costruzione di reti di supporto e l’elaborazione di strategie di riappropriazione di spazi abbandonati nei quali sopperire alla necessità di un luogo in cui dormire riparati e porre le basi per riconquistarsi un esistenza sociale e politica.

Chiediamo a tutte le compagne e tutti compagni, ai lavoratori tutti, ai collettivi, alle organizzazioni non assistenziali animate da una vera solidarietà di classe di partecipare alle mobilitazioni e sostenere la lotta dei richiedenti asilo, portando anche la propria capacità organizzativa e la propria fantasia.

Attuali e futuri lavoratori della Baracca – Padova

fonte: Combat-coc.org

24.2.13

I facchini della Coop Adriatica vincono la lotta

In un clima soffocato dall’inutile squallida retorica di politicanti avulsi dalla realtà, lontani dalle esigenze reali della gente e tutti concentrati nel solito teatrino pre-lettorale, una lotta importante raggiunge un grande obiettivo. Nel magazzino generale di Coop Adriatica che rifornisce i supermercati dell’emilia più di centocinquanta facchini della cooperatiiva Aster per due giorni sono scesi in sciopero ed hanno bloccato le merci.

Aster Coop che ha vinto l’appalto della gestione del magazzino a Gennaio aveva peggiorato le condizioni di lavoro dei facchini inserendo nuovi periodi di prova (2 anni di formazione!); aumentando i ritmi di lavoro, raddoppiando i caporali; opponendosi all’attività sindacale svolta dal sindacato non compiacente, convocando i lavoratori individualmente e a piccoli gruppi in finte assemblee allo scopo di intimidire, di indurre al silenzio le proteste.

Ed infine i primi licenziamenti effettuati il 20 febbraio nei confronti di tre lavoratori. Nessuna motivazione se non quella di un generico mancato superamento al giudizio di idoneità alla propria richiesta di diventar soci (una beffa visto che la richiesta è imposta!). Dopo anni di lavoro(sic!)
Credevano le Coop, che nessuno li avrebbe contestati. Credevano nella forza dei loro infami ricatti. Non avevano però fatto i conti con la determinazione con la quale i facchni hanno portato avanti la loro lotta. Appena avuta la notizia dei licenziamenti, tutti si sono astenuti dal lavoro. I due giorni seguenti nonostante la neve incessante, il gelo e la stanchezza hanno bloccato merce e il personale che doveva sostituirli.

Sempre compatti, decisi a difendere i propri colleghi, determinati a portare avanti le proprie istanze, a testa alta e fieri della loro lotta, non hanno ceduto un secondo.
A cedere invece è stata la controparte, che stamani ha convocato in trattativa il loro rappresentante sindacale Fulvio Digiorgio (Si.cobas) assieme ai delegati. Dopo qualche ora l’accordo. Reintegrati i lavoratori sospesi e cancellato il famigerato art.8 (quello riguardante la prova) .

Una vittoria, il primo passo, non certo l’ultimo. Ma soprattutto una vittoria che in questi due giorni elettorali riporta all’ordine del giorno l’agenda delle lotte e non quella delle urne! 
fonte: Infoaut
                                   i lavoratori appena usciti dalla trattattiva

23.2.13

165 e non sentirli

Il 21 febbraio 1848 in Germania escono le prime copie della prima edizione del "Manifest der Kommunistischen Partei" (Manifesto del Partito Comunista). Da quella data fino ad oggi, si sono susseguite migliaia e migliaia di nuove edizioni, così come il numero delle traduzioni in quasi tutte le lingue esistenti al mondo.
In questi 165 anni molte sono state le trasformazioni e i cambiamenti avvenuti nel mondo, ma povertà, emarginazione, insicurezza, alienazione e altri mali del capitalismo non solo non sono migliorati, sono peggiorati.
Quello spirito di emancipazione, la ricerca di dignità, l'aspirazione verso una completa emancipazione dell'uomo tanto materiale quanto spirituale contenuti nel Manifesto, mantengono oggi tutta loro forza: non è cambiata la natura di questa società divisa in classi come non è cambiata la necessità di lottare.

22.2.13

"Da occidente cadeva neve rossa"

Vladimir Vladimirovič Majakovskij non condivide l'entusiasmo per l'entrata in guerra del suo paese nell'agosto del 1914: il conflitto porterà solo dolore e morte

La guerra è dichiarata


Edizione della sera! della sera!
Italia! Germania! Austria!!»
« E sulla piazza, tetramente listata di nero,
sprizzò uno zampillo di sangue purpureo! .
Il muso a sangue si ruppe un caffè,
imporporato da un urlo ferino:
«lntossichiamo col sangue i giuochi del Reno!
li tuono dei cannoni sui marmi di Roma!».
Dal cielo, lacerato sulla punta delle baionette,
sgocciolavano lacrime di stelle, farina in un setaccio,
e la pietà gridava, pestata dalle suole:
«Ah, lasciatemi, lasciatemi, lasciatemi!».
Sul piedistallo sfaccetiato i generali di bronzo
supplicavano: «Liberateci e noi andremo!».
Scalpitavano i baci della cavalleria in partenza,
e i fanti volevano la vittoria assassina.
Alla città ammucchiata, mostruosa venne in sogno
la voce di basso del cannone sghignazzante;
da occidente cadeva neve rossa
in brandelli- succosi di carne umana.
Si gonfiava nella piazza una compagnia dietrp l'altra,
sulla sua fronte irata le vene erano turgide!
«Aspettate, tergeremo le spade
sulla seta delle cocottes!! nei viali di Vienna!».
Gli strilloni si sgolavano: «Edizione della sera!
.Italia! Germania! Austria!».
Ma dalla notte, listata tetramente di nero,
sprizzava uno zampillo di sangue purpureo.

                                                                 Vladimir Vladimirovič Majakovskij, 1914

Recensioni: Demetrio Vallejo – Le lotte ferroviarie che commossero il Messico

Ci sono episodi della lotta di classe i cui insegnamenti per le generazioni successive rimangono intatti con gli anni.
La serie di lotte che i ferrovieri messicani condussero tra il 1958 e il 1959 rientra in questa categoria. Caratterizzate inizialmente da rivendicazioni salariali, assunsero un significato politico quando l’obiettivo principale divenne quello di poter farsi rappresentare da delegati non compromessi con le imprese e lo Stato. Ne seguì la reazione violenta dell’apparato borghese. L’esercitò attaccò i ferrovieri in sciopero, si ebbero morti, feriti e centinaia di arresti. Gli organizzatori delle agitazioni subirono pesanti condanne; i due principali, Demetrio Vallejo e Valentin Campa, rimasero in carcere per oltre dieci anni.

Nel corso della prigionia Vallejo scrisse una memoria sulle cronache della vertenza intitolata Las luchas ferrocarrileras que conmoveron a México (orígenes, hechos y verdades históricas), pubblicata nel 1967 a Città del Messico dal Movimiento de Liberación Nacional.
Oggi quello scritto è ritornato alle stampe, inedito nella nostra lingua, grazie alla serie dei quaderni di Pagine Marxiste, corredata da una presentazione e una cronologia specifica che abbraccia un periodo lungo un secolo, fino alla successiva ondata di lotte del 1971-1973 promossa dal Movimento Sindical Ferrocarrilero, sorta di “cobas” guarda caso promosso dal neo scarcerato Vallejo.
Davvero tanti gli spunti che derivano dalla lettura di questo quaderno, e non solo per i comunisti rivoluzionari che operano politicamente e sindacalmente negli ambienti di lavoro ferroviari, o agli appassionati di storia sindacale; così come tanti sono i riferimenti alla situazione attuale e gli insegnamenti per il presente.
L’autore, Demetrio Vallejo Martínez, era originario dello stato messicano di Oaxaca, nella zona dell’istmo. La madre era zapoteca, zapoteca era la lingua parlata in famiglia; studiò fino al terzo anno della scuola primaria, sviluppando contemporaneamente una profonda cultura da autodidatta; studiò la lingua spagnola, rimase ben presto attratto da “Il Capitale” di Marx e dalla teoria del plusvalore. Profondamente condizionato dall’ambiente sociale che lo circondava, caratterizzato da profonde disuguaglianze sociali, senza mai recidere il legame con le proprie origini indigene – che anzi rivendicava – rafforzò progressivamente il convincimento a lottare per l’emancipazione dei lavoratori. Assunto nelle ferrovie, a 24 anni si iscrisse alla sezione 13 (Matías Romero) del Sindicato de Trabajadores Ferrocarrileros de la República Mexicana (STFRM) ed al Partido Comunista Mexicano (PCM). Sei anni dopo il PCM espulse i due dirigenti di Partito Valentín Campa e Hernán Laborde, colpevoli di essersi opposti all’assassinio di Leone Trotzky, ed avviò in molti stati un processo di espulsioni a catena che colpì anche Vallejo. I fuoriusciti fondarono il gruppo di Acción Socialista Unificada, che nel 1951 divenne il Partido Obrero y Campesino Méxicano (POCM).

Fu proprio la sezione 13 del STFRM a dare il via alla grande lotta ferroviaria del 1958-59, di cui Vallejo fu il principale dirigente. Ben presto la lotta si estese, e le unità sindacali di base travolsero le strutture ufficiali ribaltando i dirigenti charros1 con una vasta mobilitazione. Il governo rispose reprimendo le manifestazioni, militarizzando le ferrovie, arrestando centinaia di manifestanti e licenziando centinaia di scioperanti. Eletto nel 1959 segretario generale del STFRM con 59.760 voti contro i 9 ottenuti dal candidato charro legato al partito di governo (PRI), Vallejo venne fatto arrestare dal presidente Adolfo López Mateos con l’accusa di “sovversivismo” e condannato per “dissoluzione sociale”.
Il cambio della natura della lotta non venne affatto compreso dai tre partiti, il PCM, il POCM e il Partido Popular, che pretendevano di rappresentare la classe operaia messicana. La sconfitta dei ferrovieri e la conseguente repressione provocò da un lato l’allontanamento definitivo dei ferrovieri da quei partiti, dall’altro fece sì che un numero sempre maggiore di militanti mettesse sotto accusa la condotta opportunista delle organizzazioni politiche di riferimento. Fu soprattutto nel PCM che si svilupparono le critiche più accese alla linea opportunista della direzione e alla condotta tenuta dal Partito nel corso della vertenza ferroviaria; i principali critici, Josè Revueltas, Enrique Gonzàlez Rojo, Eduardo Elizalde ed altri, per questo vennero tutti espulsi. Revueltas (1914-1976), intellettuale approdato alla seconda metà degli anni ’60 a posizioni filo-trotzkiste dopo un percorso iniziato su posizioni di riformismo di sinistra e continuato nel filone dello stalinismo, nel suo famoso testo El Proletariado Sin cabeza sostenne che le formazioni di sinistra e soprattutto il PCM non compresero il contenuto politico della lotta dei ferrovieri di scontro aperto con l’apparato borghese, lasciando in tal modo i ferrovieri disarmati teoricamente ed organizzativamente. Il punto centrale della sua elaborazione fu la denuncia della mancanza di indipendenza politica del proletariato messicano rispetto alla propria borghesia nazionale.
Nelle parole di Vallejo non si potrà non notare il prevalere dello spontaneismo che, inevitabilmente, contribuì a condizionare gli esiti della vertenza. Vallejo stesso si pone delle domande se vi fossero o meno le possibilità di evitare la feroce repressione governativa sui ferrovieri; le conclusioni cui arriva, rispetto all’ingerenza negativa dei Partiti della sinistra messicana, rappresentano la prova del suo tentativo generoso di portare la lotta su un piano di indipendenza di classe, ma con i limiti di una visione puramente sindacalista.

Il movimento operaio messicano e le sue avanguardie si muovevano su un terreno impregnato del cosiddetto “nacionalismo rivoluzionario”, che li portava a riconoscere un carattere progressista a settori della borghesia nazionale, in virtù anche del mancato completamento della rivoluzione democratico borghese del 1910. Un aspetto, quello dell’influenza dell’elemento “nazionale”, da tenere costantemente presente, ovvero anche nelle lotte più aspre, passate ed attuali, comparivano e compaiono riferimenti costanti ai danni creati all’economia del Paese dall’imperialismo statunitense.
Anche il panorama sindacale odierno del Messico vede alcune organizzazioni di categoria attuare forme di protesta molto decise. Si distinguono in tal senso gli insegnanti del Sindacato Nacional Trabajadores de l’Educacion (SNTE), la cui sezione XXII di Oaxaca vanta gloriose tradizioni di lotta, con blocchi stradali, cortei, scioperi ed agitazioni a singhiozzo, manifestazioni ed iniziative a sostegno dei prigionieri politici, raccolte alternative di viveri e medicinali da inviare negli Stati vicini colpiti da calamità naturali. E’ delle scorse settimane la notizia della grande marcia di 200mila insegnanti dopo un mese di lotta e le cariche contro migliaia di insegnanti che occupavano strade e piazze dello Stato rivendicando le libertà sindacali. E nella zona dell’istmo, dove è originario Vallejo, è tutt’ora attiva la confederazione COCEI, che organizza operai, contadini e studenti, anche se la sua azione si è molto stemperata nel Partido de la Revolucion Democratica (PRD).
Negli ultimi quindici anni le ferrovie messicane hanno subito un forte processo di liberalizzazione, che ha comportato lo smembramento dei 16 mila km di rete in tre grandi regioni, assegnati alle varie compagnie private, la fine delle vecchie Ferrovie Nazionali, la chiusura di linee considerate improduttive, il crollo del traffico passeggeri e la forte diminuzione del personale. Il tutto è avvenuto con il consenso della direzione del Sindacato di categoria STFRM; l’opposizione alla linea sindacale di capitolazione è stata organizzata da vecchi ferrovieri già militanti del MSF.
Ma anche oggi, come nelle lotte ferroviarie descritte nel quaderno, manca l’“insostituibile” partito rivoluzionario che esprima una linea indipendente di classe, necessaria per impedire gli sbandamenti dopo le sconfitte; in tutti questi anni, e tutti i tentativi emersi nelle varie categorie di lavoratori di sganciarsi dal controllo statale esercitato attraverso i charros sono rimasti nell’ambito sindacale; le soluzioni cercate nel formare nuove organizzazioni sindacali indipendenti hanno mostrato il limite o di non poter reggere la forte repressione, o di essere a loro volta ridotte a un tradeunionismo assorbibile nel sistema
A noi rimane la straordinaria lezione di quelle lotte, più che mai attuale, rispetto alla denuncia del ruolo della dirigenza del sindacato “ufficiale” e dell’opera disgregatrice e corruttrice degli agenti della borghesia fra i lavoratori.
La grande lotta dei ferrovieri del 1958-59 è rimasta praticamente semi-sconosciuta al di fuori dei confini della repubblica messicana. Ne abbiamo avuto conferma nelle difficoltà che abbiamo incontrato anche solo reperire una copia originale dello scritto di Vallejo; scritto che, dopo infiniti tentativi andati a vuoto, abbiamo rintracciato in una libreria che si trova negli USA specializzata sull’America Latina. Tutti gli appelli che abbiamo diramato in tal senso a “mezzo Messico” sono rimasti senza risposta.
Vallejo, come tanti altri protagonisti messicani della lotta di classe, come il suo conterraneo Ricardo Flores Magón, ha subito in questi anni la campagna di “iconizzazione”; a lui sono state dedicate commemorazioni ufficiali e scuole; Vallejo è l’ispiratore del protagonista dell’ultimo romanzo della scrittrice messicana di origine polacca Elena Poniatowska, che visitò il dirigente sindacale in prigione.“ 2
Pubblicare queste memorie significa non solo far rivivere episodi fondamentali della lotta di classe, ma far tesoro degli insegnamenti che quegli episodi portano con sé.

Dopo mezzo secolo, quegli insegnamenti li facciamo nostri, nella battaglia quotidiana che portiamo avanti per smascherare i charros di casa nostra ed i loro finti oppositori, nella battaglia quotidiana che conduciamo per la costruzione del partito comunista rivoluzionario.
Fuori dall’oblio, dunque, la lotta dei ferrovieri messicani.

Nuclei Ferrovieri Internazionalisti
(2005)

Note:
1. Il termine charro sta ad indicare i sindacalisti “ufficiali”, legati alla politica dei governi e da questi ultimi imposti ai lavoratori, spesso con metodi tipici dei gangster; tale fenomeno, sviluppatosi a partire dal 1948 sotto la presidenza di Miguel Alemán, viene denominato charrismo. I termini charro, charrismo, charrista, charrazo (quest’ultimo indica il colpo di mano dei sindacalisti corrotti per impossessarsi della direzione) compaiono nel quaderno come dicitura originale.

2. Elena Poniatowska, El Tren pasa primero, Alfaguara, 2005
www.combat-coc.org

Aggressioni e fermi preventivi al comizio di Bersani. L’Italia “giusta che avanza”

Questa sera ai margini del comizio di Bersani a Napoli in Piazza Plebiscito per la chiusura della campagna elettorale abbiamo assistito ad una pessima prova di democrazia da parte di chi si candida a governare il paese.
Circa 40 persone tra precari, giovani e disoccupati sono stati preventivamente fermati ed aggrediti con calci e testate dalle forze dell’ordine e dalle guardie del corpo di Bersani che si accingeva ad intervenire dal palco.
Un primo gruppo di precari Bros (B.S.C), è stato fermato nelle vicinanze del Palazzo Reale e condotto in stato di fermo per diverse ore all’interno del Palazzo, mentre svolgevano un semplice volantinaggio con le maschere di V per Vendetta e la maglietta della campagna per l’astensione elettorale.
Un secondo gruppo di disoccupati ed operatori sociali, contemporaneamente e con simili modalità, veniva fermato all’interno della galleria Umberto. La digos dopo avergli strappato uno striscione, ancora chiuso su cui c’era scritto “Reddito per tutti voto per nessuno, No alla Tav”, li ha prelevati con forza e tradotti in questura fino alla fine del comizio. Tra questi anche alcuni studenti rilasciati poco dopo che hanno subito minacce ed intimidazioni.
Un terzo gruppo composto da studenti e lavoratori presenti vicino il palco, senza alcun motivo, sono stati accerchiati e poi violentemente spintonati all’interno della Prefettura, identificati e trattenuti fino alla conclusione del comizio.
Il risultato della brillante operazione “preventiva”: il sequestro di un pericoloso megafono ed un inaccettabile striscione astensionista che solidarizzava con il movimento NO Tav e rivendicava un reddito per tutti.
Tra le persone fermate, anche una giornalista francese, sgomenta dal comportamento affatto democratico delle forze dell’ordine che le avevano inizialmente sottratto immagini testimonianti le rudi modalità dei fermi.
La inverosimile blindatura della Piazza di questa sera, voluta dal partito democratico, rappresenta chiaramente l’idea di gestione preventiva del dissenso ed il reale volto democratico di chi si candida al Governo del paese.
La bella prova di democrazia subita questa sera, rafforza ulteriormente la nostra campagna astensionista e la convinzione che nessuno ci rappresenta!
Il cambiamento è nelle piazze e nelle lotte, non in una cabina elettorale!

Campagna astensionista napoletana

fonte: Combat-coc.org

Torino - Portiamo il C.I.E. nel salotto della città

La costante offensiva condotta dalle istituzioni statali nei confronti dei poveri, dei migranti, degli sfruttati ha avuto una fase di inasprimento quando, precedute da una campagna elettorale bipartisan all'insegna delle ordinanze anti-lavavetri e delle crociate contro “zingari” e "clandestini", le elezioni politiche 2008 hanno consegnato l'Italia al governo pseudofascista PdL-Lega.

Tale governo ha dispiegato una serie di provvedimenti (i cosiddetti Pacchetti Sicurezza) palesemente volti a difendere i privilegi dei più ricchi fomentando la guerra tra poveri e l'odio verso il diverso e lo straniero: l'introduzione del reato di clandestinità, l'aumento dei tempi di detenzione nei CIE, le ronde dei militari, i controlli asfissianti nelle strade, sui mezzi pubblici, nei campi rom.

Provvedimenti applicati spesso con brutalità dal braccio armato dello stato, come dimostrano i morti durante inseguimenti o pestaggi di polizia, i casi di morte o suicidio di migranti fuori e dentro i CIE, nelle carceri, nelle camere di sicurezza delle questure, fino ad arrivare alla barbarie dei respingimenti in mare che hanno accompagnato le già tristemente note cronache degli affondamenti dei barconi carichi di uomini donne e bambini diretti verso le coste italiane.

Moltissime persone in tutta Italia si sono indignate e molte si sono mosse per resistere a questa offensiva, cercando di contrastare concretamente le misure del Pacchetto Sicurezza insieme a coloro che in prima persona ne subivano l'applicazione.

Per quanto riguarda la città di Torino, la sera del 23 maggio 2008, mentre a Roma veniva approvato il primo Pacchetto Sicurezza, nel CIE di corso Brunelleschi Fatih Nejl, 41 anni, tunisino, si è sentito male; nonostante le grida di allarme dei suoi compagni di reclusione il personale in turno della Croce Rossa lo ha lasciato agonizzare fino alla morte. Nei giorni seguenti il direttore del CIE, il colonnello della Croce Rossa Antonio Baldacci (tuttora in carica), ha difeso il mancato soccorso da parte dei suoi dipendenti affermando che i compagni di cella erano poco credibili perchè "abituati a mentire" in quanto clandestini. Compagni di cella repentinamente espulsi dall'italia nei giorni successivi in quanto scomodi testimoni dell'accaduto.

A partire dal presidio sotto il CIE di domenica 25 maggio, nato in risposta alla notizia della morte di Fatih, decine di iniziative di lotta si sono susseguite in città. Una parte è stata promossa dalla cosiddetta "assemblea antirazzista", sciolta nel maggio 2009 e il cui sito (www.autistici.org/assembleaantirazzistatorino) seppure incompleto è un'utile fonte per la ricostruzione di quanto accaduto all'epoca. Molte altre iniziative sono state portate avanti da singoli o altri gruppi di compagni/e.

Per frenare la mobilitazione nel febbraio 2010 la Procura di Torino ha ottenuto delle misure cautelari a carico di alcuni attivisti/e formulando l'ardita ipotesi di un'associazione a delinquere, ipotesi poi caduta nei mesi successivi. Ora, a quasi cinque anni dalla morte di Fatih, è imminente l'apertura del processo nei confronti di (complessivamente) 67 compagni/e coinvolti a vario titolo nelle specifiche iniziative, processo a quanto pare ostinatamente voluto da alcuni magistrati, che per appesantire il carico hanno inserito anche episodi non direttamente inerenti la lotta antirazzista. Inoltre, forse allo scopo di ottenere un effetto di aumento delle eventuali condanne, il processo è stato artificiosamente suddiviso in due tronconi: il primo si apre il 27 febbraio ore 9 aula 46, il secondo il 17 giugno ore 9 aula 55, sempre al Tribunale di Torino.

Segue un elenco delle iniziative di lotta contestate. Al netto di alcuni episodi marginali che riguardano singoli compagni, si tratta di un elenco di 41 eventi, racchiusi nel periodo tra il maggio 2008 e il gennaio 2010. Di questi, 20 sono presìdi sotto il CIE di corso Brunelleschi.

In stampatello gli episodi del troncone di febbraio, in corsivo quelli di giugno:

- 25 maggio 2008 presidio sotto al CIE
- 2 giugno presidio sotto casa del direttore del CIE Antonio Baldacci (Chieri via Zandonai 8)
- 6 giugno contestazione a Baldacci all'inaugurazione del centro Croce Rossa di Settimo
- 18 giugno presidio sotto casa del dirigente della Croce Rossa Antonino Calvano (via XX Settembre 65)
- 28 giugno presidio al CIE
- 29 giugno presidio al Museo Egizio di Torino per denunciare l'uccisione di due lavoratori immigrati da parte del padrone
- 17 luglio contestazione a Ilda Curti in Piazza d'Armi per sgombero rom da una palazzina occupata
- 17 luglio presidio serale al CIE
- 6 agosto manifesti contro la polizia a corteo per la morte di Aiad, minorenne magrebino annegato nel Po durante un inseguimento
- 19 agosto presidio serale al CIE
- 25 agosto presidio al CIE

- 30 agosto presidio serale al CIE
- 11 ottobre scritte contro i militari a Porta Palazzo
- 10 novembre boicottaggio farmacia-spia piazza Statuto 4
- 12 dicembre occupazione consolato greco dopo l'uccisione di Alexis da parte di un poliziotto ateniese
- 14 febbraio 2009 presidio serale al CIE
- 19 febbraio presidio al CIE
- 21 febbraio presidio al CIE
- 28 febbraio manifestazione contro il Pacchetto Sicurezza (telecamere oscurate e scritte sui muri)
- 20 marzo presidio davanti alla lavanderia del personale Croce Rossa del CIE
- 21 marzo irruzione con secchiata di merda al ristorante il Cambio
- 6 aprile presidio al CIE
- 13 maggio presidio al CIE
- 24 maggio azione davanti alla sede provinciale della Lega Nord (via Poggio)
- 26 maggio corteo spontaneo in Barriera contro arresto nel pomeriggio di quattro compagni/e
- 9 giugno presidio al CIE
- 21 giugno volantinaggio in difesa del mercato abusivo di Porta Palazzo
- 23 agosto presidio al CIE
- 6 settembre contestazione festa nazionale Lega Nord a Torino Esposizioni
- 8 settembre occupazione e assemblea alla sede regionale Croce Rossa via Bologna
- 11 settembre contestazione a dirigente CGIL Chiaromonte in via Pedrotti per sue dichiarazioni in difesa aguzzini Croce Rossa
- 11 settembre presidio al CIE
- 13 settembre presidio al CIE
- 19 settembre occupazione Croce Rossa Moncalieri
- 28 settembre presidio serale al CIE
- 8 ottobre presidio contro sorveglianza speciale e Lega Nord (largo Saluzzo)
- 28 ottobre presidio al CIE
- 4 novembre presidio al CIE
- 6 novembre presidio al CIE (danneggiamento telecamera)
- 28 novembre presidio al CIE
- 25 gennaio 2010 occupazione sede Lega Nord largo Saluzzo

Al di là dei singoli episodi e dei capi d'imputazione ad essi correlati è evidente che tutto questo è un unico processo politico dove lo stato cerca di mettere sotto accusa la pratica antirazzista, ovvero le iniziative che cercano in qualche modo di frenare concretamente la guerra contro i poveri e gli immigrati portata avanti dalle classi più abbienti con l'appoggio di polizia e magistratura.

Questa pratica antirazzista in realtà non si è mai fermata nè si fermerà in quanto è determinata dalla stessa situazione sociale, e non sarà certo un processo a cambiare le cose.

Anzi casomai è la controparte a dover essere messa sotto accusa, dentro e fuori dal tribunale, per tutte le ingiustizie di cui si è resa e si rende responsabile, dalla morte di Fatih a tutto il resto.

Pertanto si invita tutti/e a sostenere le ragioni dell'antirazzismo e a rilanciarne le pratiche, partecipando ai vari percorsi di mobilitazione in programma a Torino.

TI RICORDI DI FATIH?

Antirazzisti contro la repressione  


fonte: SI-Cobas.org