23.11.12

Scuola & capitale: il falso mito della scuola pubblica


La nascita della scuola pubblica deve essere contesualizzata in un periodo economico ben preciso: tra il 1870 ed il 1914 all’indomani di quella che dagli storici viene chiama seconda rivoluzione industriale ed ha come sue caratteristiche proprie,rispetto alla prima l’utilizzo di nuove invenzioni tecniche operate non più dagli stessi imprenditori  o da dilettanti ma da intellettuali professionisti dai primi laureati in chimica, fisica, matematica. Tali invenzioni peraltro vengono utilizzate in settori rimasti esclusi dal boom della prima rivoluzione industriale, settori come le acciaierie, le piattaforme per estrarre materiali chimici ed energia elettrica etc…. settori che diverranno trainanti con lo scoppio della prima guerra mondiale. Ad esempio é solo con l’ invenzione del convertitore Besserman (dall’omonimo inventore) o del forno Martin-Siemens, ossia nuovi strumenti in grado di abbassare sensibilmente i costi della depurazione della ghisa dal carbonio, che la produzione d’acciaio potrà espandere il suo mercato, moltiplicare l’offerta. Vediamo come si crea quindi un primo rapporto fra industria e scuole/università: da un lato i primi ingegneri trovano chiaramente come prima fonte di guadagno la cessione delle invenzioni alle industrie dall’altro la stessa industria sente l’esigenza per il suo espandersi di avere una nuova classe di operai maggiormente formati, appunto per utilizzare i nuovi macchinari,e maggiormente disciplinati per rendere l’azienda più efficente. Da qui l’esigenza di alfabetizzare le masse. Brecht nei frammenti de “la Contraddizione” diceva :”L’introduzione della moderna scuola dell’obbligo non ebbe luogo perché i ceti dominati dell’epoca, mossi da motivazioni ideali, volessero rendere un servizio alla ragione, ma perché la capacità intellettuale dei più vasti strati della popolazione doveva essere elevata per servire l’industria moderna. Se la capacità intellettuale degli occupati venisse eccessivamente compressa, l’industria stessa non potrebbe venire salvaguardata. Perciò quella capacità intellettuale non può essere compressa più di tanto, per quanti per altri versi ciò possa apparire desiderabile ai ceti dominanti. Con gli analfabeti non si può fare la guerra. Siccome la quantità della ragione necessaria non dipende da una decisione dei ceti dominanti, non è parimenti possibile trasformare questa quantità di ragione — necessaria e quindi comunque garantita — nella qualità che sarebbe gradita ai ceti dominanti”. Non a caso dunque la scuola obbligatoria si è per prima formata nei paesi con alto tasso d’urbanizzazione ed industrializzazione come Gran Bretagna, Francia e Germania. Non a caso le resistenze in Italia alla legge Casati del 1859 (con la quale appunto veniva introdotta la scuola obbligatoria) vennero vinte con due principali motivazioni: la prima è che la condotta delle classi più povere, spesso soggette a forti sradicamenti territoriali a causa dell’emigrazione, è controproduttiva a qualunque impiego e per rabbonirli è necessario dargli un luogo come la scuola dove identificarsi. La seconda è che individui più istruiti possono essere anche lavoratori più efficenti. Inoltre l’immobilità sociale viene comunque tutelata: le classi più abbienti possono comunque o mandare i loro figli alle scuole private dalle quali esce la classe dirigente o farli accedere ai “curricula” classica altamente qualificati e selettivi; infatti la maggior parte dei figli delle classe operaia accedevano ai curricula professionali dai quali tutt’al più si formava l’aristocrazia operaia o i cosiddetti colletti bianchi. Per quanto concerne l’università anche questa è stata concepita totalmente in relazione alle nuove esigenze industriali, rispondendo dunque alle esigenze del mercato del lavoro: oltre infatti ad operai qualificati ed a impiegati servono anche ingegneri, chimici ma anche avvocati e notai e giuristi che rendano più dinamico il sistema giurisprudenziale per renderlo armonioso con le nuove transazioni commerciali sempre più complesse. Vediamo come con il passare del tempo la scuola pubblica ha svolto nel migliore dei modi il compito per il quale è stata istituita: dal ruolo chiave che ha avuto nella nazionalizzazione delle masse all’indomani dell’ unità d’Italia, alla lode al re, al fascismo ed oggi come principale mezzo per sfornare menti da impiegare nel sistema del capitale ( quale scuola pubblica od università non ha organizzato meeting con associazioni di giovani industriali, le più “fortunate” con delegati stessi di confindustria ?).
E’ per questo che la nostra lotta non si può fermare alla richiesta di una scuola pubblica migliore perchè nel contesto in cui tale richiesta si è creata e per che cosa è stata creata, non può esistere una scuola pubblica interclassista o realmente paritaria finchè esisteranno ancora le classi finchè dunque non si sarà abbattuto il modo di produzione attuale: il capitalismo. Di conseguenza la prima illusione da smentire è anche questa: che un nuovo governo possa salvarci la vita come se solo la riforma Gelmini fosse stata la colpa di tutti i mali. é dunque opportuno fare in questa sede un’analisi delle riforme della scuola che si sono susseguite negli ultimi 10 anni..
La prima è la Riforma Berlinguer-Bassanini che appunto si è basata su tre testi di legge: il primo la riorganizzazione delle scuole, il secondo sul ddl sull’autonomia e il terzo sull’accordo sul lavoro del 24 settembre 1996 dove troviamo schierati Confindustria,Cgl,Cisl,Uil. Trattando i principali punti in primo luogo è una riforma che di pari passo con la Finanziaria prevedeva di tagliare alla scuola 4800 miliardi di lire in tre anni .Si istituiva inoltre il 5 anno di materna obbligatorio senza peraltro specificare come questo sarebbe stato finanziato… (probabilmente ci si affidava alle materne private) e non trattando per nulla il problema degli asili nido ai quali in Italia si ha accesso solo su domanda individuale e non come servizio gratuito (la maggior parte dei nidi sono privati). Ma la prima apertura al campo dei privati non si ha solo nella scuola per l’infanzia, questa avviene in maniera incisiva e più subdola anche nelle scuole secondarie per la formazione professionale ove con la scusa di ridurre gli indirizzi da 11 a 5 si istituiscono curricula personalizzati dove hanno ampio spazio d’azione i CFP (corsi di formazione professionale) e le non specificate, nel lessico vago della riforma, “agenzie di formazione” . Si ha dunque di forza l’entrata della fabbrica nella scuola, con tutto il suo carico di sfruttamento reso più pesante dai contratti d’apprendistato che poco assicurano e poco garantiscono. Chiaramente per siglare accordi con le varie agenzie la scuola si deve presentare come un organo autonomo; a questo punto si inserisce  l’”utilità” del ddl sull’autonomia, che attribuisce ad ogni scuola ampia libertà d’azione sia per quello che riguarda la gestione degli appalti per l’edilizia interna, sia per poter contrattare con i vari organismi sul territorio e che incide anche sulla struttura stessa della scuola che si costituisce come azienda con a capo “un manager” (il preside d’istituto) il cui compito è quello di ottimizzare il profitto degli studenti ed un comitato a lui sottoposto d’insegnanti. Leggendo il testo della riforma Moratti, ritoviamo alcune delle parole chiave più significative della precedente riforma che vengono ricalcate dal nuovo ministro con soluzioni maggiormente drastiche: rimane l’autonomia delle istituzioni scolastiche e si fanno più netti i confini dell’”accordo sul lavoro” si parla ora di vere e proprie convenzioni con le camere di commercio,le piccole industrie d’artigianato, di stabilire accordi con i sindacati dei datori di lavoro per decidere in concerto i termini dei contratti d’apprendistato, si stabilisce che il governo deve finanziare il percorso di alternativa-lavoro e sovvenzionare le imprese private, con cui le scuole fanno accordi, appunto perchè luoghi di formazione dello studente. I crediti non vengono più assegnati dagli insegnanti ma sarà lo stesso profitto dell’allievo sul luogo di lavoro a determinarli segnando una maggiore dipendenza, oltre che rispettarli, dai vari contratti sotto pena di bocciatura.
Combat
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Solidarietà e autorganizzazione - assemblea ogni mercoledi


Un altro ennesimo record negativo è stato raggiunto in Italia: 2.774.000 disoccupati sono i crudi numeri registrati dall'ISTAT (Settembre), 62.000 posti di lavoro sono andati persi.
Analizzando più a fondo questo dato ne emerge un altro: la disoccupazione giovanile ha superato il 35 %.
Mentre la situazione è in continuo peggioramento, tutto il baraccone politico  dall'alto dei suoi palazzi e con i suoi stipendi d'oro sponsorizza come unica soluzione il solito inganno elettorale.
Questo sistema non può essere migliorato e nessuna riforma potrà farlo apparire "più umano": le basi stesse su cui poggia stabiliscono che ci sarà sempre una classe che dominerà su un'altra.
La precarietà continua che il capitalismo riserva per tutti i salariati ci mette nelle condizioni di dover essere continuamente preparati, in qualsiasi momento,  a dover cambiare radicalmente la nostra vita piegata alle esigenze della produzione.
Iniziamo col cercare assieme una risposta ai pensieri e alle emozioni che proviamo e che ci fanno passare notti insonni quando siamo alle prese con disoccupazione, precarietà e con la prepotenza padronale.
Autorganizzazione e solidarietà tra sfruttati è quello che possiamo costruire sin da subito iniziando a lottare per aumentare consapevolezza contro questo sistema e le condizioni nelle quali vuole continuare a relegarci.

Assemblea ogni mercoledi h 20 

C/O Tensione - Via Canevari 338