15.2.14

Alla repressione di Stato si risponde intensificando la lotta e l’organizzazione

 
La settimana che sta per concludersi ha segnato un inasprimento della repressione di Stato contro le lotte “fuori dal coro” che dovrebbe essere oggetto di attenta valutazione e seria riflessione.
Perquisizioni ed arresti di disoccupati organizzati di Napoli ed Acerra, “colpevoli” di continuare a rivendicare il loro diritto sacrosanto a non sprofondare ulteriormente nella miseria, senza per questo dover confidare nelle solite, inutili e ipocrite “promesse” delle istituzioni. I compagni stanno “semplicemente”, negli ultimi mesi cercando di strappare con la lotta e la mobilitazione il più elementare diritto umano: quello di vivere. Nel napoletano tra l’altro, da mesi e mesi, la giusta lotta dei cassintegrati Fiat scatena una automatica militarizzazione ai cancelli di Pomigliano ad ogni iniziativa dei compagni, cosa che si è riprodotta di recente per un “semplice” presidio e relativo volantinaggio.
A Roma si sta sviluppando da un po’ di tempo a questa parte un “pericoloso” movimento di lotta per la casa, il quale -anche in questo caso- cerca con la mobilitazione e l’autorganizzazione di riappropiarsi degli spazi essenziali alla vita umana: un tetto sotto cui abitare, riposare, socializzare, curare gli affetti più cari. La polizia prontamente interviene, sgombrando le occupazioni “abusive”, mettendo alcuni compagni e occupanti agli arresti domiciliari, ed imponendo ad altri l’obbligo di firma…Il tutto dopo che si erano consumate le vergognose sentenze sugli scontri del 15 ottobre.
Come se non bastasse, nelle logistiche del nord, dopo cariche, arresti, fermi, fogli di via, pestaggi malavitosi ai compagni più attivi, aventi il solo scopo di stroncare una lotta che -seppur limitata ad un settore – fa già paura a tutti.. -  ecco rispolverare da parte della Questura di Piacenza una legge “fascistissima” del 1931 contro un compagno del SI COBAS perché nella mattina del 19.09.2013 “promuoveva una manifestazione del sindacato nei pressi dello stabilimento TRACONF S.r.l. in assenza del preventivo avviso da inviare almeno tre giorni prima al Questore di Piacenza”.
La “manifestazione” in questione era un normale sciopero per problemi aziendali, in primis l’estromissione di tre lavoratori iscritti al SI COBAS, di cui due dei tre delegati, lasciati a casa da settimane senza salario e senza alcuna motivazione. L’accusa sarebbe di “manifestazione non autorizzata”, dal momento che -secondo gli sbirri- la proclamazione di uno sciopero (tra l’altro dopo relativa dichiarazione dello “stato di agitazione”) viene “tranquillamente” equiparata ad un “reato”.
Dire allora che siamo in uno “Stato di polizia” non rende bene l’idea di cosa stia succedendo.
In altre epoche dello scontro sociale in questo paese è stata usata la suddetta definizione. Ma oggi c’è qualcosa di più e di peggio. Oggi la borghesia opera di “concerto” con tutti i suoi strumenti di potere; proprio perché ci troviamo in una situazione di crisi economica e sociale lunga, devastante, piena di insidie per chi comanda. Insidie di “tenuta” del quadro politico e istituzionale, tanto per usare i termini dei corifei del dominio capitalistico. Dunque ciò che viene messa in atto è un’azione -spesso- di “repressione preventiva” che ha come terminale il manganello ed il carcere, ma che viene accuratamente preparata da tutto lo spettro dei partiti e dei sindacati borghesi di ogni sfumatura.
Per questo occorre che la risposta migliore alla repressione si tramuti nella perseveranza di lotta, nella chiarezza di analisi e nella necessità di lavorare per l’unificazione politica e organizzativa dei comunisti rivoluzionari: ciò non può essere compito lasciato a un futuro indeterminato ma deve diventare un terreno da porre già oggi all’ordine del giorno.
Proprio quando il potere borghese inasprisce la sua vera natura di dominio di classe, quando sembra che si affievoliscono gli spazi per l’azione diretta degli sfruttati, i comunisti devono dimostrare di essere in grado di guardare avanti e di non farsi piegare.

NON CI FAREMO PIEGARE!
UNITI SI VINCE!

Comunisti per l’Organizzazione di Classe
15/2/’14


Perù - Mobilitazione nazionale contro gli aumenti degli stipendi dei ministri

 
Giovedì scorso, una manifestazione di più di 2000 persone ha attraversato il centro della capitale, Lima per protestare contro i recenti provvedimenti del governo miranti ad aumentare gli stipendi dei parlamentari.

Il governo ha emanato un decreto che sancisce un aumento dello stipendio di un ministro che passa da 15.600 Nuovo Sol a 30.000. Ciò equivale a 40 salari minimi, e rappresenta il più grande divario salariale nel Sud America tra classe politica e salariati.
Ma con 10.368 dollari i ministri peruviani non sono i meglio pagati nell'America Latina: i ministri cileni ne guadagnano 14.341 mentre i brasiliani 11.222.
In Perù, di fronte ad una situazione di crisi e insicurezza sociale che attraversa tutto il Paese, con milioni di disoccupati e persone prive dei mezzi basilari di sostentamento, con un 10% della popolazione che soffre di malnutrizione, il governo ha pensato bene di aumentare le indennità della sua classe dirigente. Le maggiori organizzazioni sindacali tra cui la CGTP hanno promosso le mobilitazioni di protesta fin da subito coivolgendo la popolazione, in quella che sta diventando una protesta di massa riunita sotto il movimento che ha anche un hashtag su Twitter, "# Tomalacalle" promosso dal Colectivo Dignitad.
Tra le accuse contro il governo, è da rilevare quella contro le misure portate avanti dal Ministero dell'Economia e delle Finanze che consistono nel taglio dei bonus remunerativi (3.500) concesse ai medici, discriminando i medici che lavorano nelle aree remote del paese finora rimasti esclusi da tali rimborsi.
Ad Arequipa sugli striscioni dei manifestanti c'era scritto che un insegnate col suo salario deve lavorare tre anni per arrivare allo stipendio di un mese di un ministro. Un altro striscione recitava: "Congresso nido di
topi".
Da un capo all'altro del globo l'arroganza e l'ipocrisia della borghesia non conosce limiti nè vergogna.

CG

4.2.14

"Coca-Cola es así"

Ogni secondo 18.500 lattine o bottiglie di Coca Cola vengono consumate in tutto il mondo, secondo la società . L'impero Coca Cola vende i suoi 500 marchi in più di 200 paesi . Chi lo avrebbe detto a John S. Pemberton , quando nel 1886 la inventò comeun  intruglio di successo in una piccola farmacia di Atlanta. Oggi la multinazionale non vende solo una bevanda, vende molto di più . Campagne multimilionarie di marketing , Coca -Cola ci vende qualcosa di prezioso come "felicità", "scintilla della vita" o un "sorriso" . Tuttavia, [...] la felicità non è in grado di nascondere tutto il dolore causato dalla società. Il suo curriculum di abusi sociali e del lavoro, percorrono come le sue bevande, l'intero pianeta .

Ora è il turno dello Stato spagnolo . La società ha appena annunciato una nuova politica industriale che comporterà la chiusura di quattro dei suoi undici stabilimenti , licenziando 1.250 lavoratori e la ricollocazione di altri 500. Una misura che è stata presa secondo la multinazionale, "da esigenze organizzative e produttive . Un comunicato della CCOO [Confederacion Sindical de Comisiones Obreras, ndr] smentisce tale affermazione, sottolineando che l'azienda ha avuto benefici per circa 900 milioni di euro e un fatturato di oltre 3.000 milioni di euro.

Queste cattive pratiche commerciali sono globali come il suo marchio . In Colombia dal 1990, otto lavoratori della Coca Cola sono stati uccisi dai paramilitari e più di 65 hanno ricevuto minacce di morte , dal 'rapporto alternativo della Coca Cola' dell'organizzazione 'War on Want' . Il sindacato colombiano Sinaltrainal ha riferito che dietro queste azioni c'è la multinazionale. Nel 2001 , Sinaltrainal , attraverso l''International Labor Rights Fund' e il sindacato 'United Steel Workers', hanno intentato una causa negli Stati Uniti contro l'azienda per questi casi. Nel 2003, la corte respinge le accuse sostenendo che le uccisioni sono avvenute al di fuori degli Stati Uniti. La campagna della Sinaltrainal tuttavia, aveva già ottenuto numerosi consensi.

Il sentiero degli abusi fatti da Coca Cola lo possiamo trovare in quasi ogni angolo del mondo dove opera. In Pakistan nel 2001 diversi lavoratori dello stabilimento nel Punjab sono stati licenziati per aver protestato e per aver tentato la sindacalizzazione dei lavoratori a Lahore, Gujranwala Faisa in contrasto con i piani dell'amministrazione della multinazionale. In Turchia nel 2005, i dipendenti  denunciarono Coca Cola per intimidazioni e torture utilizzando un settore speciale della polizia per tali scopi . In Nicaragua, lo stesso anno, l'Unione dei Lavoratori ( SUTEC ) ha accusato la multinazionale di non permettere la sindacalizzazione dei lavoratori minacciando licenziamenti. Casi simili si trovano in Guatemala, Russia, Perù, Cile, Messico, Brasile, Panama. Uno dei principali tentativi di coordinare una campagna internazionale contro la Coca Cola c'è stato nel 2002, quando i sindacati in Colombia , Venezuela , Zimbabwe e Filippine hanno denunciato congiuntamente la repressione subita dai loro sindacalisti dalla Coca Cola, incluse le minacce di rapimenti e gli omicidi.

L'azienda non è conosciuta solo per i suoi abusi sul lavoro, ma anche per l'impatto sociale ed ecologico delle sue pratiche . Come lei stessa ammette, "Coca Cola è l'idratazione della società. No acqua , no business." E si succhia fino all'ultima goccia ovunque si è insiedata. Infatti, per produrre un litro di coca-cola , sono necessari tre litri di acqua. E non solo per bere ma anche per il lavaggio delle bottiglie e dei macchinari...l'acqua che viene scartata come acqua contaminata produce conseguenti danni ambientali. Per saziare la sua sete, un impianto di imbottigliamento di Coca Cola può consumare fino a un milione di litri di acqua al giorno, l'azienda unilateralmente prende il controllo delle falde acquifere che alimentano le comunità locali, privandole della gestione di un bene essenziale come l'acqua.
In India diversi stati ( Rajasthan , Uttar Pradesh , Kerala , Maharastra ) sono sul piede di guerra contro la multinazionale . Diversi documenti ufficiali indicano la drastica riduzione delle risorse idriche in cui è installata [Coca Cola] mancando spesso acqua corrente potabile per l'igiene personale e l'agricoltura, mezzo di sussistenza di molte famiglie. In Kerala , nel 2004  lo stabilimento di Plachimada di Coca Cola fu costretto a chiudere dopo che venne negato alla compagnia il rinnovo della licenza oltre ad essere accusata di contaminazione di acqua e di produzione di gas di scarico. Mesi prima l'Alta Corte del Kerala stabilì che l'estrazione massiccia dell'acqua da parte di Coca Cola era illegale. La sua chiusura è stata una grande vittoria per la comunità .

Casi simili si sono verificati in El Salvador e Chiapas. Nel Salvador, l'installazione di impianti di imbottigliamento per le risorse idriche della Coca Cola sono state esaurite dopo decenni di estrazione e le falde acquifere sono state contaminate. La multinazionale ha sempre rifiutato di prendersi carico dell'impatto delle sue pratiche. In Messico, la società ha privatizzato molte falde acquifere, lasciando le comunità locali senza accesso ad essie, grazie al sostegno incondizionato del governo di Vicente Fox (2000-2006), ex presidente della Coca Cola in Messico.

Anche l'impatto della sua formula segreta per la nostra salute è ampiamente documentato. Le sue alte dosi di zucchero ci fanno diventare "dipendenti " della sua bibita. E l'uso di aspartame, dolcificante non calorico sostituto dello zucchero presente nella  Coca Cola Zero, è stato dimostrato, dal noto giornalista Marie Monique Robin nel suo documentario ' Il nostro veleno quotidiano', che consumato in dosi elevate può essere cancerogeno.[...]

I tentacoli di Coca Cola si sono così allungati che nel 2012  uno dei suoi dirigenti Ángela López de Sa, ha raggiunto la direzione dell'Agenzia spagnola per la sicurezza alimentare. Quale posizione terrà, per esempio, l'Agenzia circa l'uso di aspartame quando è l'azienda che fino a due giorni fa pagava lo stipendio dell'attuale direttore ad usarlo sistematicamente? Conflitto di interessi? Lo sottolineavamo già in precedenza con il caso di Vicente Fox. Il marchio che dice di vendere felicità in realtà condivide incubi .

Coca Cola e così, dice lo spot. Così e così abbiamo visto.

fonte:  http://esthervivas.com

Facchini ancora in piazza a Bologna

Ieri pomeriggio ancora una volta c’è stato a Bologna un corteo in solidarietà ai facchini licenziati da una cooperativa che lavorava per la Granarolo, multinazionale del latte travestita da cooperativa. La vicenda ormai è nota a livello nazionale. I facchini (tutti stranieri) sono stati licenziati per avere scioperato contro la decurtazione del salario del 35%. Subito dopo il licenziamento è scattata la mobilitazione dei facchini che, supportati dal loro sindacato, il SI COBAS hanno convocato un corteo a Bologna e attuato numerosi picchetti davanti all’ingresso dei magazzini della Granarolo e causando con questo ingenti perdite al colosso del latte. La lotta sembrava avere avuto un esito positivo con il raggiungimento nell’estate di un accordo del cui rispetto si era fatto garante il Prefetto di Bologna. L’accordo prevedeva il reinserimento dei licenziati attraverso un programma articolato in diverse scadenze (23 lavoratori entro il 30 settembre e successivamente il gruppo residuo). L’accordo è stato totalmente disatteso dalla controparte padronale, solo pochissimi lavoratori sono stati ricollocati. La rimanente parte è da lunghi mesi senza salario, alcuni lavoratori hanno ricevuto lo sfratto e il taglio delle utenze. La loro situazione economica con il passare dei mesi si è fatta sempre più drammatica (la maggioranza di loro ha famiglia a carico). Nonostante il pensiero ricorrente che vuole gli stranieri tutti criminali, spacciatori o borseggiatori, questi lavoratori per i quali lo spettro della fame sta rischiando di diventare una tragica realtà, non hanno nessuna intenzione di trasformarsi da proletari in delinquenti e rivendicano il loro lavoro dal quale sono stati illegittimamente cacciati. Hanno pertanto ripreso sin da ottobre i presidi davanti alla Granarolo e fatto un nuovo corteo a Bologna il 23 novembre. La speranza era ovviamente che questa nuova impennata della lotta spingesse il Prefetto a muovere il culo e costringere i padroni a mantenere l’impegno e riassumere i lavoratori. Niente di tutto questo si è verificato. Il nuovo Prefetto, succeduto al precedente, andato in pensione, non si è per niente attivato per dare una svolta e i padroni hanno lasciato marcire i lavoratori nella miseria più nera. Esasperati i facchini hanno ripreso con determinazione la lotta davanti ai cancelli, stavolta piazzandosi in modo stabile con un camper davanti alla Granarolo e mettendo in pratica picchetti ancora più efficaci che hanno comportato file chilometriche di camion impossibilitati a caricare la merce destinata alla distribuzione. In questo clima si sono svolti i fatti della settimana scorsa: durissimo intervento della polizia e dei carabinieri, lavoratori e solidali riempiti di botte, uso di spray urticanti spruzzati in faccia ai lavoratori, uso smentito dai vertici della polizia ma dimostrato da filmati che hanno fatto il giro dell’Italia, arresto di due facchini, delegati sindacali del Si Cobas, poi rilasciati dopo alcuni giorni, fermo di numerosi manifestanti,successivo picchetto del giorno seguente e nuovi tafferugli ai cancelli.

In seguito a questi eventi i padroni della Granarolo, atteggiandosi a vittime e lamentando ingenti perdite hanno fatto appello a tutte le istituzioni per porre termine al “clima di violenza” e per impedire i blocchi della produzione. Come d’incanto il sindaco di Bologna, il miserabile Merola che mai una sola parola aveva detto sulla situazione di infame sfruttamento a cui sono sottoposti tutti i lavoratori della logistica e non solo quelli che lavorano per Granarolo, il presidente della provincia di Bologna, il prefetto, la questura, la CISL, la CGIL, le associazioni padronali tutte, comprese ovviamente le cooperative e perfino la CNA hanno preso posizione contro la violenza e l’impossibilità per la Granarolo di svolgere la sua attività d’impresa. Deputati di destra e di sinistra(tutti ugualmente al servizio dei padroni) si sono cimentati in interrogazioni parlamentari a favore della multinazionale del latte. Con una ben orchestrata messa in pratica della “neolingua” inventata più di 60 anni fa dallo scrittore inglese Orwell si è fatto credere che i violenti fossero i lavoratori e i solidali, quando, come dimostrano tutti i filmati sono stati loro a prendere botte senza reagire se non con una resistenza passiva. Si è fatto credere che la Granarolo fosse innocente rispetto ai licenziamenti mentre sapeva benissimo e profittava del vergognoso livello di sfruttamento che riservavano ai lavoratori le coop che lavorano in appalto per essa, così come lo sanno il sindaco, il Prefetto, i sindacati di stato CGIL, CISL, UIL. Il boss della Granarolo, Calzolari ha perfino dichiarato di sentirsi minacciato e per questo dover girare sotto scorta.

Tutte queste infamie nascondono solamente la verità che ormai questa vertenza sta rendendo sempre più evidente agli occhi di tanti lavoratori, pensionati e disoccupati: i padroni hanno al loro servizio completo tutte le istituzioni dello Stato: polizia, magistratura, amministrazioni locali, partiti borghesi di qualsiasi colore, stampa di qualsiasi tendenza. Vogliono impedire che nel sistema della Lega Coop, che domina sull’economia e la politica bolognese, entri un sindacato indipendente e combattivo a rompere il monopolio della CGIL, il sindacato amico del potere locale.

Qualcuno tra i nostri lettori potrà domandarsi: avete ragione, tutto quello che dite è vero ma è anche vero che i lavoratori e i loro solidali pur non avendo commesso atti di violenza, anzi averla subita, hanno pur sempre commesso degli atti illeciti, bloccare la distribuzione dei prodotti è infatti un atto illegale. Non saremo certo noi a negare questo fatto ma noi a questo lettore non possiamo che rispondere: non è illegale anche il licenziamento di lavoratori che scioperano per difendere il salario contrattuale? E perché le forze dell’ordine, l’ispettorato del lavoro non hanno impedito che si compiesse questa azione antioperaia e antisindacale? Caro lettore cosa altro dovevano fare i lavoratori licenziati? Lasciarsi morire di fame o suicidarsi per permettere ai giornalisti al servizio dei padroni di scrivere in poche righe che un altro lavoratore è morto a causa della crisi? Dovrebbero andare a rubare e finire in carcere lasciando le loro famiglie in una miseria ancora più nera? Tutto questo mentre i padroni della Granarolo continuano a fare profitti milionari e politici e funzionari sindacali continuano a vivere in modo gaudente sulle spalle di chi si spezza la schiena per poter garantire a sé e alla famiglia una stentata sopravvivenza? Noi diciamo no a questo schifo. Noi diciamo che i facchini licenziati dalla Granarolo meritano tutto il sostegno da parte della classe lavoratrice e per questo in tutti questi mesi abbiamo appoggiato la loro lotta e anche ieri eravamo con loro in corteo a Bologna. Ieri abbiamo visto tante persone in piazza, sicuramente meno di quello che avremmo sperato, una partecipazione tuttavia sufficiente da far capire ai padroni e ai loro scagnozzi politici e sindacali che questi lavoratori non sono soli. Abbiamo appreso , con grande gioia, che cominciano a ricevere la solidarietà non soltanto di altri facchini impiegati nel settore della logistica, ma anche di lavoratori di altri settori: gli insegnanti di una scuola elementare di Bologna si sono attivati per raccogliere fondi a loro favore e lo stesso hanno fatto alcuni dipendenti del Comune di Bologna. Tali iniziative vanno estese e rafforzate: solo una generosa solidarietà della classe lavoratrice può dare forza ai facchini nella loro lunga battaglia contro il gigante delle cooperative e la sua corte di lacchè.

2/2/2014
W i lavoratori licenziati dalla Granarolo
Solidarietà militante con la loro lotta



Combat – Comunisti per l’Organizzazione di Classe