29.12.13

Il massacro di Wounded Knee

Wounded Knee era il nome di un torrente del Sud Dakota vicino alla riserva indiana di Pine Ridge. Alla fine del decennio del 1880, i Sioux iniziarono a praticare una religione basata sugli insegnamenti di Wowoka un capo indiano che fondò il "Movimento della Danza del Fantasma" che prometteva attraverso una danza rituale di avvicinarsi agli spiriti indiani; questo gli avrebbe consentito di recuperare le loro terre, gli antenati sarebbero tornati, i bianchi sarebbero scomparsi e infine avrebbero potuto godere di un futuro di pace e prosperità duratura.
I coloni bianchi, nel frattempo, spaventati da questi rituali chiesero l'intervento federale. La polizia della riserva credette che il capo indiano Toro Seduto fosse l'istigatore di una ribellione imminente, e lo uccise quando egli resistette all'arresto. I suoi seguaci fuggirono al campo del capo Grande Piede
Il Settimo Cavalleria costrinse i Sioux a fermarsi in un accampamento sul Wounded Knee circondati dalle mitragliatrici. Il 29 dicembre 1890 un colpo risuonò all'interno del campo subito l'esercito del governo degli Stati Uniti cominciò a sparare indiscriminatamente contro tutto l'accampamento. I soldati uccisero 150 Sioux, tra cui donne, bambini e uomini disarmati. Coloro che sfuggirono al massacro furono perseguitati e uccisi.

Gli ufficiali responsabili della strage ricevettero venti medaglie al valore militare.

14.12.13

"E' dappertutto attorno a noi!"

 
 (...)"Quale sfinge di cemento e alluminio gli ha spaccato il cranio e ha mangiato
i loro cervelli e la loro immaginazione?
Moloch! Solitudine! Sporco! Bruttezza! Ashcan e dollari irraggiungibili!
Bambini urlanti sotto trombe delle scale! Ragazzi che gemono negli eserciti!
Vecchi che piangono nei parchi!
Moloch! Moloch! Incubo di Moloch! Moloch il senza amore! Moloch
Mentale! Moloch il grande giudicatore di uomini!
Moloch il carcere incomprensibile! Moloch prigione senz'anima ossa in croce
e Congresso di dolori! Moloch i cui edifici sono sentenze!
Moloch la vasta pietra della guerra! Moloch i governi
stupefatti!
Moloch la cui mente e' puro meccanismo! Moloch il cui sangue e' denaro
che corre! Moloch le cui dita sono dieci eserciti! Moloch il cui petto
e' una dinamo cannibale! Moloch il cui orecchio e' una tomba fumante!
Moloch i cui occhi sono mille finestre schermate! Moloch i cui grattacieli
si ergono nelle lunghe strade come innumerevoli Geova! Moloch le cui
fabbriche sognano e stridono nella nebbia! Moloch i cui fumaioli e
antenne coronano le citta'!
Moloch il cui amore e' infinito olio e pietra! Moloch la cui anima e' elettricita'
e banche! Moloch la cui poverta' e' lo spettro del genio! Moloch
il cui destino e' una nuvola di idrogeno asessuato! Moloch il cui nome e' la
Mente!
Moloch nel quale siedo solitario! Moloch nel quale sogno Angeli! Pazzia nel
Moloch! Bocchinaro nel Moloch! Senzamore e senzauomo nel Moloch!
Moloch che e' penetrato presto nella mia anima! Moloch nel quale sono coscienza
senza corpo! Moloch che mi ha terrorizzato via dalla mia estasi naturale!
Moloch che io abbandono! Svegliati Moloch! Luce che urla dal cielo!
Moloch! Moloch! Appartamenti robot! sobborghi invisibili! tesori di scheletri!
capitali cieche! manifatture diaboliche! nazioni spettrali! manicomi 
invincibili! cazzi di granito! bombe mostruose!
Si sono rotti la schiena per sollevare Moloch al Cielo! Pavimenti, alberi, radio,
tonnellate! sollevando la citta' al Cielo che esiste ed e' dappertutto attorno a noi!
Visioni! presagi! allucinazioni! miracoli! estasi! portati via dal fiume americano!
Sogni! adorazioni! illuminazioni! religioni! l'intero bastimento di stronzate emotive!
Cambiamenti radicali! al fiume! capriole e crocifissioni! via con la corrente!
Esaltazioni! Epifanie! Disperazioni! Suicidi e grida di animali di dieci
anni! Menti! Nuovi amori! Generazione ribelle! giu' sugli scogli del Tempo!
La benedetta risata autentica nel fiume! L'hanno vista tutti! gli occhi selvatici! le benedette grida!
Hanno dato l'addio! Sono saltati dal tetto! nella solitudine! facendo ciao!
portando fiori! Giu' nel fiume! nella strada!"(...)

                                                                                                   Allen Ginsberg

11.12.13

Roma, 8-12-2013: "Sher Khan cerca...casa, salario, cittadinanza"

A conferma della vitalità sociale che contraddistingue attualmente la capitale, ieri la lotta per la casa a Roma non si è espressa solo con l'occupazione di un edificio ex Inail al quartiere Parioli, presto sottoposta a sgombero.
In un'altra parte della città, nel primo pomeriggio, si è svolta una manifestazione promossa dal gruppo "Sher Khan Cerca Casa". Partito da Piazza della Marranella, a Torpignattara, e culminato nel quartiere Pigneto, il corteo ha attraversato viuzze e viali, in una suggestiva alternanza tra case basse e palazzoni, tipica di quest'area fortemente caratterizzata in senso multietnico.
La scelta della location è stata quanto mai azzeccata. Infatti, la manifestazione, partecipata da oltre 200 persone, ha visto non solo la presenza di un combattivo gruppo di italiani, perlopiù giovanissimi, ma anche quella di una cospicua componente immigrata.
Del resto, l'unità tra sfruttati d'ogni dove è stato il tema dominante del corteo, richiamato nei volantini, negli interventi al megafono e negli striscioni.
A partire da quello d'apertura: "Stop sgomberi e razzismo, Sher Khan cerca...casa, salario, cittadinanza". Cui seguiva un significativo "Mai più morti in mare e senza tetto, lo Stato non deve negare la vita".
Ma non mancava uno striscione dell'Ulama Council of Italy, espressione di quella rivendicazione della libertà di culto che è sempre stata presente - a Roma - nelle iniziative degli immigrati e che continua ad essere attuale in un contesto in cui la politica alimenta di continuo campagne islamofobiche.
Dunque, la stessa composizione sociale del corteo si è tradotta in una pluralità di voci e discorsi, però mai slegati fra loro. Lo testimonia l'intervento di un mediatore culturale senegalese, che ha invitato gli italiani a superare i luoghi comuni nei confronti di coloro che non sono più da considerarsi "altri" bensì soggetti portatori degli stessi bisogni e degli stessi problemi di tanti "nativi".
E lo conferma la denuncia - effettuata da Bachcu dell'Associazione Dhuumcatu - di quelle aggressioni imperialiste camuffate da "atti umanitari", che non solo costringono milioni di persone ad abbandonare i paesi d'origine, ma, negli stessi stati occidentali che le attuano, sottraggono risorse che potrebbero essere impiegate per le politiche sociali.
Dal canto loro, i ragazzi del gruppo "Sher Khan Cerca Casa" non si sono limitati a sottolineare che i due sgomberi sin qui subiti non hanno ridotto la loro volontà di lotta, ricordando che la battaglia per il diritto all'abitare è parte integrante del conflitto sociale che oggi si dispiega nel paese, spesso al di fuori delle compatibilità vigenti, come testimoniano i casi degli autoferrotranvieri dell'AMT di Genova e dei facchini della logistica.
Ma forse il principale collante della manifestazione è stato il ricordo di un grande combattente per i diritti degli immigrati: Sher Khan, morto a piazza Vittorio nel dicembre del 2009.
Per il freddo ma anche - e soprattutto - perché debilitato dal periodo di detenzione nel CIE di Ponte Galeria che gli ha voluto riservare lo Stato italiano. 
 
Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma
 

7.12.13

[Milano] Domenica 15 Dicembre – Assemblea pubblica – Siamo tutti facchini, significato e prospettive di una lotta operaia


Da qualche anno i facchini della logistica hanno alzato la testa e aperto una stagione di lotta: spesso dura, orgogliosa, di difesa del salario e delle normative di lavoro, di conquista di dignità, di opposizione all’arroganza padronale in decine e decine di magazzini che smistano tutto ciò che noi consumiamo in Lombardia, Veneto , Emilia, Piemonte, Marche, Lazio e si estendono a macchia d’olio, organizzate da SiCobas e ADL Cobas.
A nulla è valsa la repressione padronale, con decine di licenziamenti, e quella statale, con centinaia di denunce e processi in corso (Origgio e Basiano).
Ma gran parte della classe lavoratrice continua a lavorare a testa china, sprofondando in condizioni di lavoro e salariali sempre peggiori, seppur ci sono recenti esempi che vanno nella direzione opposta.
Le lotte della logistica stanno già “contagiando” il resto della classe lavoratrice (vedi i tranvieri di Genova). Hanno però bisogno di darsi una prospettiva politica anticapitalista che favorisca l’unificazione e l’allargamento del fronte di lotta.
UNITI SI VINCE!
SABATO 14 DICEMBRE 2013 ORE 15
presso l’ Ass. “Eguaglianza & Solidarietà”, via Cadibona 9 Milano (Porta Vittoria-Molise)
Assemblea Pubblica
Sarà presente Aldo Milani, Coordinatore Nazionale del SI Cobas

promuovono: Comunisti per l’Organizzazione di Classe, Gruppo Comunista Rivoluzionario

Combat-coc.org

4.12.13

Il senso dell'avere

"La proprietà privata ci ha resi così ottusi ed unilaterali che un oggetto è considerato nostro solo quando lo abbiamo e quindi quando esso esiste per noi come capitale o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato etc., in breve quando viene da noi utilizzato... Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice aliena­zione di tutti questi sensi, il senso dell'avere"
 
                                                                                                                     Karl Marx

26.11.13

Non ci piegheranno!!

La lotta dei lavoratori delle cooperative Granarolo vede oggi a Bologna un importante momento di mobilitazione e di innalzamento dello scontro politico.

Il Governo -nella figura del Prefetto, il Potere Locale (le famose “pdiessine” Coop Rosse, di cui Granarolo è parte integrante), i Sindacati Confederali, hanno costituito una “Santa Alleanza” contro quelle che chiamano “agitazioni pretestuose” dei facchini, dirette dal SI Cobas.

“Agitazioni pretestuose” perché?
  • Perché rivendicano il diritto di far applicare i Contratti , le Leggi di Lavoro, gli Accordi, e di scioperare quando questi non vengono rispettati?
  • Perché non accettano il caporalato più infame, le ruberie in busta paga ed i licenziamenti di rappresaglia?
  • Perché esigono il reintegro al lavoro di TUTTI i licenziati di luglio (solo 9 dei 51 oggi sono stati riassunti)?
  • Perché non si piegano al ricatto poliziesco delle 179 denunce, messe lì apposta per far recedere i lavoratori dal rivendicare i propri diritti?

Se credono di stancarci e di intimidirci si illudono. Sono anni che migliaia di facchini delle logistiche dimostrano di saper tener testa alla repressione delle lotte sociali da parte dello Stato, dei suoi governi, dei suoi organi polizieschi e giudiziari. E non si fermeranno.

Proprio in questi giorni infatti gli operai hanno ripreso a picchettare i cancelli delle logistiche bolognesi, esigendo il reintegro immediato dei loro compagni licenziati per rappresaglia. E’ una lotta di lunga durata, sociale e politica, che non permetteremo a nessuno di “criminalizzare” o di far “scivolare” in una questione di “ordine pubblico”.

La nostra forza sta nell’autorganizzazione, nell’unità, nella causa per cui lottiamo.
Il segnale che oggi, nelle strade e nelle piazze di Bologna, vogliamo dare a tutti può essere così sintetizzato:
Nessuna provocazione deve passare, la lotta deve continuare fino alla vittoria!
Non un solo lavoratore deve essere lasciato indietro!
Le persecuzioni non ci spaventano; ma rafforzano la nostra determinazione, la nostra unità!

Ai lavoratori AMT di Genova, che hanno assediato la Giunta Comunale e stracciato con uno sciopero ad oltranza tutte le infami leggi di “regolamentazione del conflitto”, a tutti i disoccupati, cassintegrati, precari, a tutti i lavoratori che vedono crollare i loro salari, diciamo:
Da una giornata di lotta come questa deve ripartire un movimento di opposizione al capitalismo ed alle sue crisi, nella prospettiva del suo abbattimento.
Un movimento che si riannodi con altre recenti giornate di lotta (Napoli 27 settembre, Roma 19 ottobre) per sviluppare un “fronte unico dal basso” su questi obbiettivi immediati:


No ai licenziamenti; difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari
La difesa del salario
La garanzia di salario
La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario

Non ci piegheranno! Uniti si vince!

Comunisti per l’Organizzazione Di Classe
Gruppo Comunista Rivoluzionario


fonte: Combat-coc.org

22.11.13

Genova, a fianco dei lavoratori in lotta contro ogni cappa sindacale


Da tempo, i media sono soliti applicare l'appellativo "selvaggio" ad uno sciopero che racchiude invece in sè le caratteristiche di uno sciopero vero, ossia il blocco dell'attività produttiva cercando di causare il danno maggiore colpendo dove 'fa più male'. E' in realtà un metro di misura di come il padronato sia riuscito a spuntare nel tempo l'arma dello sciopero cercando di ridurne forza e effetti in ogni frangente.

Questa volta a Genova non è andata proprio così.

Di fronte all'annuncio di privatizzazione dell'AMT (l'Azienda Municipalizzata Trasporti) fatto dalla giunta Doria che si è rimangiata le promesse fatte dal suo candidato in campagna elettorale, gli autisti sono scesi in sciopero senza preavviso, con l'adesione totale dei lavoratori.

La questione alla base della mobilitazione (che sono anche conseguenza diretta dei malumori e dell'inquietudine che hanno da tempo i lavoratori AMT con la propria situazione lavorativa in balia di mutevoli e mai chiari piani aziendali) è la destinazione della futura gestione di AMT : da una parte l'annunciata privatizzazione aziendale e dall'altra l'aumento della quota di patrimonializzazione dell'azienda da parte del Comune e della Regione.

I sindacati confederali e il sindacato autonomo Faisa Cisal che dal 1986 è il sindacato maggioritario nel settore degli autoferrotranvieri, hanno indicato come una possibile salvezza la permanenza nel pubblico di AMT.

Ma oggi è così sicuro affermare che il rimanere nel pubblico sia meglio che ritrovarsi domani nel privato?

Sono cronaca recente gli accordi capestro fatti passare dai sindacati nel maggio scorso che hanno portato ad una riduzione salariale e normativa, oltre che ad una riduzione delle ferie, un accordo passato nonostante tutto con un'esigua maggioranza e tutt'ora ancora non digerito dai lavoratori.

Tornando allo sciopero di questi giorni, se per selvaggio si intende uno sciopero al di fuori di ogni controllo che non sia quello dei lavoratori stessi, pensiamo che, anche se questo è ciò che ci auspichiamo sempre, non sia esatto dare questa rappresentazione delle dinamiche di lotta. Il controllo sindacale c'è stato e continua ad esserci: i sindacati tra cui anche lo stesso Faisa Cisal hanno adottato una tattica di lotta extrasindacale, certamente portando la lotta in terreni a cui non sono abituati.

Le burocrazie sindacali in questo senso possono benissimo spingersi su un terreno di lotta più radicale: è proprio questa capacità che garantisce loro la sopravvivenza. Non si spiegherebbe altrimenti la loro permanenza in questo settore dopo, ad esempio, l'atteggiamento da loro tenuto all'epoca delle lotte che intrapresero gli autisti genovesi nel 2005, quando i sindacati tutti, ad un certo punto delle mobilitazioni, frenarono l' acuirsi delle lotte che erano in corso, o quando non fecero nessuna vera opposizione a suo tempo, alla legge 146 (legge che disciplina il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali; in particolare il settore del trasporti pubblico vedeva minato alla base tale diritto in quanto lo sciopero per essere valido deve essere autorizzato dalle autorità con un preavviso oltre all'impossibilità di essere totale in quanto i lavoratori devono garantire la copertura di una fascia oraria "protetta", pena la precettazione) per mezzo della quale proprio oggi sulla testa dei lavoratori AMT pendono multe per centinaia di euro per gli scioperi di questi 4 giorni . La stessa legge è già stata “interpretata” anche contro il movimento di sciopero nel settore della logistica, e in particolare alla Granarolo di Bologna. Solo un movimento di sciopero generalizzato al di fuori delle norme di regolamentazione può spazzare via le norme antisciopero.

La risposta di classe data in questi giorni dai lavoratori ha fatto emergere le potenzialità di quella che potrebbe essere la vera forza espressa da questa lotta: allargare la singola lotta ad altre realtà lavorative non solo come successo in questi giorni con rappresentanze di lavoratori AMIU e ASTER ma anche quella di altre realtà come ad esempio quella dei lavoratori del porto, e della CULMV.

In questo contesto ricordiamo anche la situazione ancora più tragica dell'azienda provinciale del trasporto pubblico ATP in grave crisi finanziaria che vede minacciare i posti di lavoro di centinaia di lavoratori.

In questi giorni, abbiamo più volte partecipato alle mobiltazioni degli autisti che hanno intrapreso iniziative di lotta quali l'occupazione del Comune di martedì, cortei, blocchi stradali. E abbiamo visto la voglia dei lavoratori delle altre realtà municipalizzate ad affiancare quella degli autisti in lotta. Una lezione di classe che dobbiamo tenere presente.

Per noi l'obbiettivo di contrastare l'annunciata privatizzazione di AMT costituisce un falso problema.

Tra chi scrive c'è chi ha lavorato alle dipendenze AMT per trent'anni e conosce bene le dinamiche interne dei sindacati, sia di quelli ufficiali che quelli di base, di questo settore.

Una vera lotta classista si pone come obbiettivo l'unione di tutte le realtà di lotta del territorio e non dovrebbe far apparire come una panacea l'alternativa del controllo "pubblico" ma anzi, mettere in guardia e difendere a tutti i livelli i lavoratori dal capitale che sia nelle vesti di "pubblico" sia in quelle di "privato" calpesta e distrugge periodicamente ogni conquista di classe. A fianco dei lavoratori in lotta. Solo la lotta paga.

Combat-COC Genova
                     

19.11.13

La repressione ha i piedi d'argilla

Gli scontri di venerdì 15 novembre a Napoli durante il corteo degli studenti medi, le cariche messe in atto dai servi dello Stato per difendere dalla rabbia della piazza la sede dell'assessorato regionale all'ambiente, tra i principali responsabili del lento genocidio compiuto contro la popolazione campana, e la caccia all'uomo scatenata nelle vie adiacenti con aggressioni a freddo e rastrellamenti di studenti fin dentro le sedi universitarie, sono l'ennesima riprova di come gli apparati repressivi stiano alzando il livello di scontro nel tentativo di colpire le avanguardie di lotta e far rientrare il movimento nella gabbia delle compatibilità e della loro legalità. Cio' in un contesto che ha visto gran parte delle citta' italiane attraversate da mobilitazioni altrettanto decise e radicali (Bologna, Torino, Milano, Palermo...) e da un analoga risposta delle forze repressive.
Il fatto che in questa occasione i porci in divisa abbiano riservato un "attenzione" particolare contro un nostro compagno è pienamente in linea con questa strategia di attacco frontale ai settori anticapitalisti del movimento (testimoniato dall'ondata di atti repressivi succedutisi nelle ultime settimane contro gli operai della logistica, i cassintegrati Fiat, lo sgombero degli occupanti casa di Via Giusti a Roma, ecc.) e più nello specifico all'area comunista rivoluzionaria.
Dunque vi è ben poco di cui sorprendersi, ma molto su cui riflettere: il peso della crisi e l'acuirsi delle contraddizioni sociali da essa generate rendono lo stato borghese e le sue istituzioni sempre più impermeabili alle richieste e alle rivendicazioni di chi lotta, finanche quelle più elementari come il diritto a non morire di tumore e a una vera bonifica dei suoli devastati da decenni di sversamenti di rifiuti tossici e disseminate di veleni di ogni tipo.
Le dimensioni del disastro ambientale in Campania, nello svelare da un lato il solido ed inestricabile intreccio di interessi tra il capitale "legale" e quello "illegale" e dall'altro il ruolo di comitato d'affari offerto ad entrambe dalle "istituzioni democratiche", sono la rappresentazione più nitida del volto putrido, corrotto e criminale di questo sistema.

Un sistema che è più che mai in agonia, ma che di certo non è disposto a farsi da parte dalla sera alla mattina, e per questo ricorre alle forme più brutali ed esplicite di criminalizzazione del dissenso.

Se e' vero che le politiche di massacro sociale, devastazione ambientale, precarietà e di attacco frontale al salario diretto e indiretto portate avanti da padroni e governi fondano la loro legittimazione nel supremo principio borghese della legalità democratica, da cio' ne deriva che la pratica dell'illegalità di classe e di massa, del rifiuto radicale delle loro regole e dei loro diktat diviene ogni giorno di più una necessità oggettiva per chiunque intenda realmente contrapporsi a questa barbarie.
Ogni giorno diviene sempre più evidente agli occhi di milioni di proletari, lavoratori, disoccupati, precari e studenti che l'azione tesa alla riappropriazione diretta di diritti e bisogni primari (casa, salute, cultura, luoghi di socialita', ecc.) e al boicottaggio attivo dei disegni padronali (scioperi, picchetti, assedi ai palazzi del potere politico ed economico) rappresentano l'unica strada realmente percorribile per resistere "qui ed ora" alla crisi e alle misure di austerity che ci colpiscono ogni giorno. La risposta studentesca e proletaria alle cariche della questura e alla blindatura dell'universita', materializzatasi nell'occupazione del rettorato della Federico II e accompagnata dall'esproprio di attrezzature all'interno dell'inutile e sfarzosa torre d'avorio in cui e' rintanato un baronato accademico sempre più complice e servo del potere, sintetizzano al meglio cio' che intendiamo per riappropriazione: una necessita' storica frutto della miseria permanente a cui ci vogliono condannare, che nel mettere in discussione materialmente il loro dominio, non solo rompe in maniera netta con gli ultimi rottami della sinistra istituzionale e del sindacalismo concertativo di CGIL-CISL-UIL (le cui condizioni comatose sono state ulteriormente confermate dallo sciopero-funerale del 12 novembre), ma segna una discontinuita' netta anche rispetto alle logiche di autorappresentazione e spettacolarizzazione del conflitto ad uso e consumo mediatico con cui per anni un certo ceto politico "di movimento" ha tentato di esorcizzare la propria crisi politica, la propria inconsistenza programmatica e la propria incapacita' di dar voce al malessere di larghi strati proletari.

Queste fiammate possono e devono essere la base di partenza per avanzare sul terreno della ricomposizione di classe ed essere all'altezza del livello di scontro che ci viene imposto dai padroni, dal loro stato e dai loro apparati repressivi: in primo luogo e' necessario allargare il fronte ed unire la lotta studentesca con quella degli operai, dei cassintegrati, dei precari, dei disoccupati e di tutti coloro che da anni pagano il prezzo della crisi; ma si tratta anche di dotarsi di un'organizzazione politica di classe che sappia andare oltre la contingenza della singola scadenza o del singolo corteo e lavori in maniera stabile e sistematica al rovesciamento dello stato di cose presenti e alla nascita di una societa' libera dalla schiavitù del profitto: una prospettiva che torna di attualita', e che non possiamo chiamare in altro modo se non con la parola comunismo.

16/11/13

COC-Napoli

5.11.13

Roma - sgomberata occupazione "Sher Khan" in Via Giusti


SGOMBERATA OCCUPAZIONE "SHER KHAN" IN VIA GIUSTI 13

Questa mattina, un numero ingente di "forze dell'ordine" ha sgomberato lo stabile occupato, in Via Giusti 13, "Sher Khan".
Tale occupazione è parte della generale lotta per la casa, in una città che vive da sempre una endemica emergenza abitativa, ora notevolmente aumentata in tempi di crisi economica e sociale.
In attesa di conoscere i risvolti repressivi di questa azione poliziesca, ribadiamo con forza che nessuno sgombero può arginare una lotta che comprende ormai migliaia di proletari, dal nord al sud dell'Italia.
ALLA LOTTA!

Gli occupanti di Via Giusti 13

3/11/2013

STATO E FASCISTI NON FERMERANNO LA LOTTA PER IL DIRITTO ALLA CASA



I compagni del Laboratorio politico Iskra e Coc-Napoli esprimono la loro piena e incondizionata solidarieta' agli occupanti della palazzina "Sher Khan" di via Giusti a Roma, sgomberati questa mattina con un blitz poliziesco che ha portato alla denuncia di 17 occupanti e al fermo di altri due.
Tutto cio' e' il risultato di un infame gioco di sponda tra gli apparati repressivi e i loro servi fascisti: solo qualche giorno fa, infatti, un manipolo di "camerati" aveva dato vita ad un'occupazione fantasma a pochi metri da via Giusti, del tutto priva motivazioni e senza la benche' minima presenza di sfrattati e/o soggetti che vivono realmente il disagio abitativo, dunque con l'unico, evidente scopo quello di spingere le forze dell'ordine ad attuare lo sgombero dell'occupazione di via Giusti. La differenza abissale che passa tra questi infami e chi quotidianamente lotta per conquistarsi il diritto sacrosanto a un tetto e' ampiamente dimostrata dal fatto che i fascisti hanno amichevolmente abbandonato la loro "occupazione" alla sola vista dei primi agenti della digos, mentre gli occupanti di via Giusti (in gran parte disoccupati e immigrati) hanno resistito attivamente e in maniera combattiva fin quando possibile, allo sgombero.
Esprimiamo la nostra più totale vicinanza e solidarieta' nei confronti degli occupanti sgomberati dallo stato borghese e invitiamo tutte le realta' di lotta, romane e non, a schierarsi al loro fianco nelle iniziative che essi metteranno in campo nelle prossime ore, e a rilanciare la più generale battaglia contro padroni e governo contro le politiche di macelleria sociale e per il salario garantito a tutti i proletari.

La casa e' un diritto, l'affitto e' una rapina!
Ogni sgombero sara' una barricata!


4/11/2013

Laboratorio Politico Iskra
Comunisti per l'organizzazione di classe - Napoli
 

3.11.13

Angelic Upstarts - Anti-nazi


Why are you asking?
Do you want to know?
Understand the meaning
A lot to know
If the answers hurt your brain
My questions feed the pain

Do you want to hurt me
For the words I say?
Don't it make you find them to play
When they call the Jew
And my band will come play

Anti-Nazi is what I am
That's the way I stay
Till I Die

A Pakistani waiter
An orthodox Jew
A homosexual I couldn't be you
A Nigerian doctor
A nurse from Taiwan
My dad's a Muslim cleric I couldn't be you

Why are you asking?
Do you want to know?
Understand the meaning
A lot to know
If the answers hurt your brain
My questions feed the pain

Anti-Nazi is what I am
That's the way I stay
Till I Die

A Pakistani waiter
An orthodox Jew
A homosexual I couldn't be you
A Nigerian doctor
A nurse from Taiwan
My dad's a Muslim cleric I couldn't be you

Stand together, all with me
Fight the Nazis, we believe

Anti-Nazi is what I am
That's the way I stay
Till I Die

23.10.13

Guerra, a ciascuno la sua scadenza!

 
Ipocrisie democratiche, sirene vaticane, mezze stagioni pacifiste
 
I tentennamenti e gli appelli alla democrazia borghese anglo-americani, uniti all’assenza di una univoca posizione europea sulla crisi siriana sono l’altra faccia del relativo declino occidentale sullo scacchiere del nuovo mondo pluripolare.
All’indebolimento del peso percentuale economico sul mercato mondiale corrisponde dialetticamente la fine tendenziale del primato militare e della funzione di gendarme della “nazione indispensabile”, e dei suoi storici alleati europei.
Le attuali “guerre per procura” stanno trasformandosi da “interventi umanitari” a guerre dei nervi in cui ogni potenza sonda le potenziali risposte dell’altra, nel comune predatorio interesse strategico e con l’utilizzo delle piu’ becere ideologie guerrafondaie, o di difesa del diritto internazionale borghese.
Nel prossimo nuovo-equilibrio post-1989 non ci saranno “gendarmi” né, probabilmente, egemonie economiche ed ideologiche.
Il piattume omologante del capitalismo sta unificando il mondo sotto il segno di una concorrenza sempre piu’ dura che presto muterà gli odierni scontri regionali in battaglie continentali per lo sfruttamento delle risorse idriche ed energetiche.
L’attuale caos nel quale le istituzioni della giurisdizione internazionale non riescono a mettere alcun ordine, è destinato ad amplificarsi a causa della moltiplicazione delle potenze e del protrarsi della crisi mondiale.
A pagare, come al solito, il proletariato, ovunque.
In occidente con il raschiamento di diritti e libertà, nelle officine del mondo con uno sfruttamento da “accumulazione originaria”, in medio oriente ed in Africa depredato da boia locali e dall’interessato “aiuto” dei continenti Russo e Cinese.
Contro tutto questo pochi ed inadeguati sono gli episodi di rivolta, troppo spesso rifluiti nell’opportunismo parlamentare o, peggio, utilizzati nella lotta tra frazioni di potere, o utili al rafforzamento di un qualche fondamentalismo.

Agli squilli di guerra ognuno risponde come può, chi adeguandosi, chi girando la testa da un'altra parte, chi, come in Italia, continuando ad occuparsi di “politica, magistratura e sistemi elettorali”.
Alla consueta ipocrisia democratica “contro l’uso delle armi chimiche”, da tutti prodotte, usate e commercializzate risponde la chiesa cattolica con l’evocazione miracolistica di una pace indistinta piovuta dal cielo.


Quanto al pacifismo, senza le moltitudini dei papa-boys mobilitati dal “movimentista” Woytila, e quindi numericamente ridotto ed ininfluente, procede in ordine sparso tra riproposizione di un antiamericanismo fuori dal mondo e la richiesta (a chi?) di trattative al posto delle armi.
E cosi’, a rimorchio della scadenza del congresso americano che dovrebbe legittimare l’intervento militare, abbiamo la scadenza del vaticano nella giornata mondiale di digiuno e preghiera del 7 settembre, e qualche scadenzuccia assembleare dei “nostri pacifisti trattativisti” figliocci di Assad.
Il proletariato, potenza “in sè” assente, sembra non avere scadenze, imprigionato in un mondo e in una vita di lavoro salariato, di sfruttamento, di crisi e di guerre.
Eppure il movimento reale esprime una sua maturità storica per un passaggio epocale ad un altro modo di produzione e di sistema sociale, senza però trovare ancora una soggettività di classe cosciente ed in grado di intercettare questa tendenza, per scioglierla nella rivoluzione.
Già, la rivoluzione! Questa è la scadenza del proletariato, e questo dovrebbe, e potrebbe essere il rimedio contro la guerra imperialista e la pace capitalista.

Per questo noi non siamo equidistanti.
Noi siamo contro tutti i padroni.
Quelli Italiani, innanzitutto.
Ma anche contro quelli Europei, Americani, Inglesi.
E contro quelli Siriani, Libici, Egiziani, Tunisini, Irakeni, Iraniani.
E contro tutti gli altri.

Lo siamo nei periodi di “pace” ed in quelli di guerra, perché la guerra e la “pace” sono ambedue utili al padrone, al suo sistema capitalista, al suo perpetuamento.
Per questo stiamo solo e sempre dalla parte del proletariato internazionale, contro la guerra e la pace dei padroni.
Perché se in pace siamo sfruttati ed uccisi dal lavoro salariato, in guerra siamo arruolati ed uccisi su tutti i fronti, sempre e comunque per il profitto.
Per questo pensiamo che “non ci sarà mai pace finchè vivrà un padrone”.

Adesso tocca alla Siria, snodo di interessi che fanno gola a grandi come a piccole potenze, ai guerrafondai continentali come ai rais autoctoni.
Si annunciano “guerre lampo” e “resistenze”, ma a pagare saranno i lavoratori siriani e quelli di tutto il mondo, intrappolati tra esercito di stato e “ribellione” fondamentalista, arruolati dietro bandiere nazionali e continentali, in concorrenza tra di loro, orfani di una propria organizzazione autonoma , capace di capire e lottare sul serio per la liberazione di classe. 

4/9/'13
Combat Roma/Viterbo

Rivoluzionari/e: Mother Jones

 
Nasce a Cork (Irlanda) nel 1830. Si trasferisce negli USA, dove fa l'insegnante e la sarta.Suo nonno viene impiccato dagli inglesi, e la famiglia perseguitata in quanto sostenitrice della causa irlandese.
Sposa un operaio, militante del sindacato ed ha da lui quattro figli. Nel 1867 la febbre gialla si porta via tutta la famiglia.
A Chicago, conosce i KOL e ne diventa militante. Dove ci sono le lotte, lei è presente e sempre in prima fila.
Partecipa alla "Grande Sollevazione" (1873) e organizza i ferrovieri a Pittsburg, Baltimora, Ohio, St. Louis. Per lei "le leggi non sono altro che l'espressione delle volontà degli industriali".
Licenziata dalla "United Mine Workers" di John Mitchell, è accolta da Bill Hayhood nella "Western Federation of Miners" e diventa leader delle principali lotte dei minatori dell'epoca.
1897 - Miniere di antracite
1901 - Sciopero contro Morgan- Carnegie
1903 - Sciopero di Cripple Creek
E' tra le fondatrici del "Socialdemocratic Party" (1898) entra poi nel "Socialist Party of America" (1904) e l'anno dopo è l'unica dirigente donna degli I.W.W.
E' l'inventrice della lotta per la "libertà di parola" all'ovest, dove attua forme di lotta di massa che coinvolgono intere famiglie operaie e spiazzano i potere costituiti.
E' richiesta ovunque ci sia scontro di classe.
E' dirigente del grande sciopero del 1913 dei minatori dell'Arizona "uno dei più importanti scioperi nella storia del movimento operiao USA" (P.Ortoleva).
Si oppone alla guerra imperialista girando in lungo e in largo il Paese per far scaturire dalle fabbriche la vera opposizione di classe. La fine degli IWW la colpisce duramente; ma non spezza in lei la voglia di organizzare i lavoratori. In tarda età è ancora attiva nei Congressi sindacali e nella sinistra americana.
Dira E. Debs di lei "Il suo solo nome è simbolo della rivoluzione". Muore il 30 novembre del 1930, all'età di 100 anni.
Nel suo testasmento, c'è scritto che "il futuro è nelle forti, ruvide mani dei lavoratori".

22.10.13

19 ottobre: Unifichiamo le lotte! Uniti si vince!

 
La giornata di oggi, che vede in piazza molte realtà di lotta impegnate a non abbassare la testa di fronte all’attacco del capitale, deve essere un momento di spinta verso l’unificazione delle lotte di tutti i settori del proletariato.
Dopo anni in cui la crisi si è abbattuta pesantemente sui salari e sulla condizioni di vita di milioni di lavoratori, precari, disoccupati e studenti, è venuto il momento di reagire con un programma di lotta comune e dandosi gli strumenti organizzativi all’altezza della sfida.
Al nord i lavoratori delle logistiche stanno tenacemente e coraggiosamente reagendo alla tracotanza padronale ed al sistema malavitoso delle cooperative. Ad essi si stanno aggiungendo Comitati per la “Garanzia di Salario” e per la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario.
Al centro-sud importanti movimenti autorganizzati si stanno producendo tra lavoratori, cassintegrati, disoccupati. A Napoli, il 27 settembre, dietro il movimento di “UNITI SI VINCE!”, abbiamo visto un primo momento di accorpamento di queste esperienze di lotta: davanti ai cancelli di Pomigliano ed in corteo per le vie cittadine. Dobbiamo radicalizzare ed estendere questi collegamenti, coinvolgendo le molte aziende in procinto di essere chiuse o pesantemente ridimensionate, rivolgendoci ai lavoratori di tutti i settori (ad esempio a quelli del Pubblico Impiego, i più pesantemente colpiti dalla “Legge di Stabilità” del governo Letta).
Non è più il tempo di chiudersi dietro ai cancelli di una fabbrica in attesa che i becchini della “triplice” siglino la nostra fine!
Non è più il tempo dell’”ognuno per se’”! Non e’ piu’ il tempo degli “scioperetti” di facciata. La lotta deve far male al padrone ed al suo stato! Dobbiamo spostare e organizzare la lotta toccando i molti aspetti della nostra schiavitù: dal salario-orario, alla casa, ai servizi sociali, ai trasporti… rivendicare insomma - come proletari -il diritto a vivere!

Se faremo tutto questo, e se le realtà di lotta che oggi mostrano a Roma tutta la loro combattività si sforzeranno di condurre “il passo successivo”, avremo creato le basi per lo sviluppo di un movimento di classe anticapitalistico in grado, anche in Italia, di iniziare un processo di ribaltamento del capitalismo: unico e vero rimedio alla miseria, alle crisi , alle guerre.

Oltre la rivolta episodica
Per la lotta quotidiana
Per la costruzione dell’organizzazione autonoma di classe!
19 ottobre: appuntamento a Roma P.za s. Giovanni (davanti al COIN), ore 14, per partecipare alla manifestazione.

Combat – Comunisti per l’Organizzazione di Classe

3.9.13

Venti di guerra? Quando gli antimperialisti confondono le carte in tavola, trascurando i proletari

Non appena soffian venti di guerra, gli antimperialisti si destano, animando campagne tanto roboanti quanto fuorvianti. Nella società capitalistica, la guerra è un’eventualità permanente che non si ferma certo con le chiacchiere. Lo sappiamo. Da un quarto di secolo, viviamo in un clima di «guerra infinita», che non è stato scosso dalle pur vivaci manifestazioni pacifiste, anzi, molti pacifisti si son poi messi la divisa, passando armi e bagagli al fronte interventista (Do you remember Bertinotti & Co.?).
Questi frutti marci non turbano gli antimperialisti che proseguono imperterriti per la loro strada, ripetendo le solite litanie. E lungo la loro strada perdono ogni riferimento a una visione proletaria della guerra e dei conflitti sociali che, pur soffocati, l’accompagnano. Riducendo l’internazionalismo ai rapporti tra nazionalismi, inter-nazionalisti, appunto.
Uno dei cavalli di battaglia degli antimperialisti è la denuncia delle balle di Washington … come se esistessero guerre giuste … E se Obama avesse ragione? Sarebbe un buon motivo per bombardare Damasco? Lasciamo perdere. Gli argomenti degli interventisti sono così pretestuosi che se ne è accorto anche Sergio Romano sul «Corriere della Sera» (Armi democratiche, 1 settembre 2013).
Percorrendo il vicolo cieco pacifista, alcuni antimperialisti giustificano regimi sanguinari come quello di Assad e, implicitamente, denigrano i «ribelli». Denigrazione che fa di ogni erba un fascio, mettendo nello stesso calderone i movimenti popolari contro Assad, cui il crash economico ha dato slancio, e le bande prezzolate che cavalcano il malcontento al soldo di racket locali e stranieri, con grandi e piccoli interessi in gioco. A uno sguardo superficiale, i movimenti popolari arabi e musulmani hanno una parvenza plebea che sommerge la componente operaia e proletaria. Che però c’è. E se qualcuno si ostina a non vederla, è un problema suo, ma non è una buona ragione per ignorarla, portando acqua al nazionalismo.

Venti di rivolta

Tra fanatismi religiosi e affarismi di bassa lega, lo scenario sociale che si delinea è assai intricato, come ha ben dimostrato Michele Basso nel suo Interrogativi sulle guerre in corso, dell’11 agosto, e in parte anch’io nel mio Egitto è il mondo del 15 agosto. La situazione è contraddistinta dalla disgregazione nazionale e sociale, che si sta diffondendo a macchia d’olio dall’Afghanistan al Pakistan dal Medio Oriente al Magreb.
E soprattutto è una situazione che apre nuovi scenari politici, che non possono essere liquidati con frasette di rito, utili solo a nascondere l’insipienza di chi le diffonde. Peggio. In realtà gli antimperialisti che sventolano lo spauracchio delle Potenze imperialiste (Usa in primis) sottovalutano (se non ignorano) la questione principale: la crisi dell’imperialismo. E, di conseguenza, non fanno altro che difendere un impossibile status quo, ormai a pezzi sotto i colpi della persistente crisi economica. Non per nulla, dopo la doccia fredda di Cameron, Obama ha preferito rimandare la decisione dell’intervento al Congresso, per avere la benedizione democratica. Lasciando Hollande in braghe di tela. Nelle guerre si sa come si entra ma non si sa come si esce. E se soffiano venti di guerra, soffiano anche i venti della rivolta proletaria.
Volenti o nolenti, gli antimperialisti privilegiano una visione in cui i proletari sono subalterni alle classi dominanti. E visto che al peggio non c’è fine, essi finiscono per legare il proletariato dei Paesi occidentali al carro delle varie borghesie. Un bel favore! Con l’aria che tira, i padroni preferiscono veder marce pacifiste piuttosto che proteste operaie, come è evidente in Germania e in Italia, con la Bonino che paventa la Terza guerra mondiale, come se già  non ci fossimo dentro! Non solo. I padroni prendono due piccioni con una fava: la pace sociale, oggi, premessa per un eventuale intervento, domani. Non ci sono santi, solo le lotte proletarie possono impedire e ostacolare le guerre, tenendo sulla corda i padroni e i loro governi. Il resto sono chiacchiere inutili e dannose. Lasciamole a Bergoglio.
Gratta gratta, ci accorgiamo infine che certi antimperialisti, con l’implicita difesa dei regimi «statalisti» (ormai presunti tali), come quello di Assad o di Mubarak, lasciano serpeggiare, e non tanto sotto traccia, il rimpianto per il capitalismo di Stato, alla cui ombra sono cresciuti molti figli della piccola borghesia antimperialista italiana.

Al banco di prova della solidarietà

Alla visione politica conservatrice (se non reazionaria) prevalente nei movimenti antimperialisti di matrice pacifista, non basta contrapporre l’equidistanza proletaria (come per esempio fanno il Centro di iniziativa comunista internazionalista e altre formazione di tradizione comunista rivoluzionaria). È una posizione apprezzabile che però scantona il problema reale: la natura sociale dei tumulti e delle sommosse in corso nei Paesi arabi e musulmani. Ci troviamo di fronte a una situazione nuova, in rapida evoluzione, che non si può affrontare con le armi spuntate del Ventesimo secolo.
Tenendo vivo il problema, ci sono cose che già ci toccano molto da vicino. Un cruciale fronte di lotta proletaria e internazionalista è aperto dai flussi migratori, destinati a crescere sull’ondata dei conflitti e della disgregazione sociale dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. I profughi siriani sono già oltre due milioni (su una popolazione di 23 milioni).
Quelli che cercano scampo in Italia, sono destinati a cadere nel pozzo senza fondo del lavoro nero, grazie al quale si ingrassano padroni e padroncini, con tutto il codazzo di faccendieri, dai caporali ai funzionari statali conniventi, con il beneplacito di politicanti e pennivendoli. Contro questo vero e proprio regime schiavistico, le lotte dei facchini della logistica stanno dando una prima e importante risposta. Ma le radici del ricatto e del lavoro nero risiedono nelle leggi razziste sull’emigrazione (la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini), fondate sulla normativa capestro dei permessi di soggiorno, sui controlli polizieschi e sulla detenzione nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie). Ma anche sui Centri di Accoglienza Richiedenti Asilo (Cara), veri e propri lager, in fase d’espansione.
Oggi, queste leggi e queste galere non sono più in grado di controllare nuovi e maggiori flussi migratori. In agguato ci sono progetti coercitivi che attendono solo l’occasione per entrare in funzione, magari con il pretesto dell’emergenza umanitaria e il placet di Cécile Kyenge. Affrontare questa imminente eventualità, è l’attuale banco di prova per l’internazionalismo e la solidarietà proletaria. Ed è un primo, concreto passo contro i venti di guerra. Il resto sono chiacchiere, inutili e dannose.

Dino Erba, Milano, 3 settembre 2013

25.8.13

Solidarietà a chi lotta per la dignità di un lavoro

11/09/13: con Matteo Valentini licenziato da Comer Industries

Mercoledì 11/09/13 alle 13.00 presso il Tribunale di Reggio Emilia si terrà la seconda udienza per il reintegro di Matteo Valentini, licenziato il 06/06/13 da Comer Industries. Alla prima udienza del 20/08/13 la controparte aziendale non si è presentata, dicono causa “mancata notifica” (fatto strano che le notifiche arrivino puntualmente solo ai lavoratori), quindi il giudice ha rinviato l’appuntamento.
In occasione della prima udienza, così come il 20/06/13 davanti alla fabbrica di Cavriago, si è tenuto un presidio di solidarietà con Matteo che ha visto la partecipazione spontanea, a fianco di operai della Comer, di disoccupati e lavoratori di diverse categorie oltre a rappresentanti CUB e SI COBAS. Mercoledì 11/09/13 torneremo insieme a sostenerlo.
Ricordiamo che il pretesto che l’azienda ha usato per il licenziamento è scaturito da un diverbio nato a causa dello stress da ritmo produttivo, tra due sue colleghe di linea. Matteo si è interposto per sedare gli animi e si è presentato alla direzione insieme alle due operaie, tentando di entrare nell’ufficio del direttore di produzione per parlare di come si erano svolti i fatti.
Matteo per anni si è battuto per tutelare la salute in fabbrica (una fabbrica nella quale negli ultimi due anni il numero degli infortuni è enormemente aumentato rispetto ai periodi precedenti), subendo le pressioni continue dei capi che volevano imporre a lui, invalido, ritmi che non era in grado di sostenere.
L’aumento del numero degli infortuni alla Comer Industries, contrariamente a quello che sostengono l’azienda e i suoi sponsor, non è dovuto alla disattenzione degli operai ma all’aumento forsennato dei ritmi di lavoro imposti.
Per manifestare la nostra solidarietà a Matteo e denunciare il peggioramento delle condizioni di lavoro di tutte e tutti.
Per difendere la salute e la dignità di tutte e tutti nei luoghi di lavoro.
Per chiedere che Matteo sia reintegrato nel posto di lavoro da cui è stato arbitrariamente allontanato.
la mattina di mercoledì 11/09/2013 saremo di nuovo in presidio davanti al Tribunale di Reggio Emilia
Disoccupati e lavoratori autorganizzati solidali con Matteo

fonte: Combat-coc.org

Colombia paralizzata dalle proteste. Settimo giorno di sciopero

Quello che era iniziato come uno sciopero nazionale nel settore agrario ha assunto forme più allargate di protesta contro il governo colombiano che in questi lunghi giorni si trova sempre più in difficoltà ad affrontare la situazione. Oggi è il settimo giorno consecutivo di proteste e la rabbia della popolazione non accenna a diminuire mentre il governo nel completo panico di ingestibilità della situazione rafforza lo schieramento dei forze dell'ordine in tutto il Paese.
Più di 220 persone arrestate, decine e decine di feriti, due morti, almeno 25 le province bloccate ad intermittenza da parte della popolazione, strade completamente chiuse, mentre non si placa la rabbia di fronte all'atteggiamento criminale e aggressivo da parte della polizia.
Da una parte il Governo che tenta la carta del dialogo con i contadini per placare le proteste, dall'altra migliaia di agricoltori, camionisti, minatori, studenti, operai e più in generale la popolazione che non intendono abbandonare le proteste fino a quando non ci saranno soluzioni appropriate. Al centro dell'attenzione le politiche economiche dell'amministrazione del presidente Juan Manuel Santos, gli undici Trattati di Libero Commercio che costituiscono una vera e propria razzia sulle terre dei contadini, ma anche l'elevato prezzo del combustibile, la riforma tributaria, progetti minerari e energetici devastanti e una situazione di malessere generalizzata che porta all'espansione a macchia d'olio delle proteste a cui stiamo assistendo in questi giorni.
Nella regione di Boyacá, dove il protagonismo della popolazione è alto, continuano ad essere bloccate le strade di accesso. A Bogotà, nella giornata di ieri una grande marcia di agricoltori ha attraversato le strade della città, mentre altre 4mila persone si sono diretti verso la strada che collega la capitale con Villavicencio. In numerose altre città continuano i blocchi ad oltranza.
Mentre il Governo ha cercato di far fronte alla crisi con le misure e manovre neoliberali più disparate, oggi quello che è chiaro, e lo dimostrano le manifestazioni e le mobilitazioni di massa, è che la popolazione non sembra essere più disposta a pagare il prezzo di una situazione caratterizzata da forme di governo e governanti che hanno una chiara responsabilità.
La nuova carta del dialogo che il Governo ha deciso di giocarsi, denota la strategia messa in atto: provare a negoziare con gli agricoltori in tavoli separati, non tenendo in considerazione il malessere più generalizzato, per non andare così ad intaccare quella struttura economica che garantisce il regolare svolgimento della governabilità del Paese.
Ma l'esecutivo di Santos non potrà ad ogni modo non tener conto dell'impatto delle politiche economiche che da anni si stanno implementando e che ormai stanno portando la popolazione a unire le forze, ad organizzarsi e a prepararsi. Si attendono quindi nuove giornate di lotta per le strade colombiane, caratterizzate da una totale avversità nei confronti del governo di Santos e da una messa in discussione di un modello politico e economico.

fonte: Infoaut

Henri Simon - Alcune considerazioni sull'organizzazione


Pubblichiamo questo scritto di Henri Simon, traduzione inedita in italiano, abbiamo precedentemente pubblicato altri suoi materiali (da Echanges e da Mondialisme) tra cui il suo scritto 'Il nuovo movimento'.
Il testo qui prodotto è un materiale che al di la del punto di vista storico di quando è stato scritto (il 1979) mette in rilievo il problema della spontaneità e della classe come oggetto/soggetto nella lotta stessa. Il raffronto tra l’organizzazione spontanea e volontarista in una dinamica vista come un processo. Dove le contraddizioni tra queste forme e la loro stessa esistenza è analizzata sulla base delle condizioni oggettive imposte dal capitale e non sulla base di giudizi morali o di prese di posizioni ideologiche. Quando Simon parla di repressione, è qui intesa in modo ampio non solo come violenza diretta ma come imposizione delle necessità capitaliste.

Se il rapporto tra organizzazione volontarista e spontanea si da sempre, come sottolinea efficacemente Simon, l’efficacia dell’azione della classe e la sua capacità di rottura è tuttavia legata in ultima istanza ai meccanismi integratori o de-integratori del capitale stesso.

Connessioni per la lotta di classe
Febbraio 2012
connessioni-connessioni.blogspot.com

 
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ORGANIZZAZIONE
Henri Simon, 1979

Tutte le citazioni e riferimenti sono stati volutamente tolti in questo articolo. Non ho dubbi che molte idee espresse qui sono già state scritte da molti altri e ci saranno ripetizioni, alcune volute, altre no. Ho anche volutamente cercato per quanto possibile, di allontanarmi dal linguaggio tradizionale. Certe parole, certi nomi producono un blocco mentale nel pensiero di questa o quella persona portandoli ad escludere tutta una parte dai loro processi di pensiero. Lo scopo di questo articolo è quello di cercare di far riflettere le persone circa l'esperienza: propria e degli altri. Non ho dubbi che questo obiettivo sarà soffi sfatto in modo imperfettamente e questo per due ragioni. La prima, e meno importante, è che ci sono coloro che ancora insistono a mettere etichette su tutto quanto e di esorcizzare ciò che si sospetta di eresia, perché le loro convinzioni non possono tollerarlo. La seconda, più essenziale, è che l'articolo dirà finalmente che le nostre convinzioni non sono quasi mai spazzate via solo per l'impatto shock con altre idee, ma dallo shock dello scontro con la realtà sociale.

Possiamo eventualmente portarci fuori dalla cittadella del nostro sistema di pensiero verso una semplice considerazione dei fatti? E non solo fatti, ma tutto ciò che appartiene alla nostra esperienza di "militanti" o "non-militanti." L'esperienza, inoltre, che non va considerata isolata nel nostro mondo individuale, ma deve essere ricollocata nel contesto delle nostre relazioni sociali, vale a dire quello che abbiamo potuto sperimentare o quello che viviamo oggi in un mondo totalmente capitalista (da un'estremità del pianeta all'altra). Eppure anche questa esperienza e ciò che possiamo sapere di altre esperienze ci porta una conoscenza parziale. Ciò è già evidente per un dato momento. E' ancora più evidente se visto in una prospettiva storica. Anche se cerchiamo di generalizzare le esperienze, osservazioni, e riflessioni e di integrarli in un tutto più vasto, non necessariamente amplieremo il nostro campo visivo. Generalizzare è una pretesa del tutto giustificabile: lo facciamo per tutto il tempo, consapevoli o meno. Facciamo i collegamenti, confrontiamo e deduciamo da nozioni più generali, che integriamo in generalizzazioni già stabiliti, o utilizziamo per modificare tali generalizzazioni, o per crearne di nuove. Una generalizzazione può servire come apertura, poiché la curiosità porta a cercare altri fatti con cui riempire i nostri vuoti. Ma può risultare come una chiusura, un processo di blocco, in quanto può portare a ignorare o eliminare tutto ciò che sfida tale generalizzazione.

Conoscenza parziale della vita sociale

La nostra conoscenza è sempre parziale perché inevitabilmente all'inizio noi apparteniamo a una generazione, una famiglia, un ambiente, una classe, una Stato ecc…, una piccola frazione di un mondo di centinaia di milioni di abitanti. E non è così facile, a meno che il sistema capitalista prenda questo in mano, per allargare il campo ristretto della"vita così come ci è stata data". Tuttavia questa conoscenza frazionaria non è così parziale, in questi giorni se guardiamo un po' più da vicino. L’uniforme processo accelerato delle condizioni sociali e degli stili di vita nell'esplosione capitalista degli ultimi 30 anni ha creato una certa uniformità di esperienze. Anche se le condizioni tecniche, economiche e politiche continuano a variare in misura considerevole oggi, le basi elementari, e meno elementari del sistema capitalista sono davvero identiche e inviolabili qualunque sia il regime in cui operano. E così le nostre esperienze ed i loro particolarismi si rispecchiano in quelli degli altri, in una conoscenza più generale.

Molto spesso la nostra esperienza ha già trovato la sua giustificazione solo nell'incontro con esperienze identiche, prima del contatto con altre esperienze differenti. E molto spesso queste esperienze sono sintetizzate dallo stesso ambiente in sistemi di pensiero che sollevano questi particolarismi al livello di ideologie. Il percorso di conoscenze sempre più generali che è fatto dal confronto delle esperienze con quelle degli altri viene ostacolato dalle ideologie. A parte momenti di violente rottura, spesso strazianti, questa situazione ci lascia bloccati a metà percorso con un sistema di idee che non può che può solo tradursi in una conoscenza pratica e concreta imperfetta della vita sociale in tutte le sue forme. Rotture violente e laceranti con il passato non sono il risultato della nostra riflessione e conoscenza che ci porta a cambiare le nostre idee precedenti: sono ciò che la nostra "posizione sociale" ci porta a fare in certi momenti, (e questi momenti arrivano sempre) quando la nostra esperienza improvvisamente e bruscamente viene collegato e confrontata con esperienze diverse. Questa situazione ci libera da tutti gli schemi e gli ostacoli ideologici e ci fa agire, a volte all'insaputa alle nostre idee, in reazione agli elementi fondanti del sistema capitalista di cui sopra, cioè ci fa agire in base ai nostri interessi di classe. E 'chiaro che, secondo la nostra posizione nel sistema capitalista, l'azione ci porta da una parte o dall'altra, in una direzione che può concordare con le nostre idee precedenti, ma che spesso ha poco a che fare con loro.

Volontarismo contro organizzazione spontanea

Il "problema dell’organizzazione" è proprio una di quelle questioni più segnate da idee preconcette su ciò che alcuni chiamano "necessità". In relazione a quanto è stato detto, due poli si possono distinguere:

- Volontarismo
- Organizzazione spontanea

Il volontarismo è quello in cui vogliamo operare (per congiungerci o creare) in relazione ad alcune idee prestabilite provenienti dalla nostra appartenenza a un ambiente, per la difesa permanente di quello che pensiamo sia il nostro interesse. Per fare questo ci riuniamo con un numero limitato (spesso molto limitato) di persone aventi la stessa pre-occupazione. La natura di questa organizzazione è, nel suo obiettivo definito da coloro che lavorano insieme, per sé e per gli altri, permanente, in cui è inscritto un sistema di riferimenti da cui si può dedurre le modalità pratiche di funzionamento. In altre parole, un certo corpo di idee conduce a certe forme determinate di azione: il più delle volte una collettività limitata parla e agisce verso una più grande, in una direzione che è inevitabilmente quella di persone che "sanno" (o pensano di sapere) verso coloro "che non sanno" (o sanno in modo imperfetto) e che devono essere persuase.

L’organizzazione spontanea è quella che deriva dall'azione di tutti i membri di una collettività in un dato momento, da una azione di difesa dei loro interessi immediati e concreti in un momento preciso nel tempo. Le forme e modi di funzionamento di tale organizzazione sono quelli della azione stessa, in risposta alle necessità pratiche di una situazione. Tali situazioni non sono solo il risultato di condizioni concrete che portano alla percezione degli interessi che devono essere difesi, ma anche del rapporto che possiamo avere in quel momento con tutti gli attivisti che sono al lavoro nella collettività. L’organizzazione spontanea è quindi l'azione comune della totalità di un gruppo sociale definito, non per sua scelta ma per il ruolo sociale di ogni individuo in quello stesso momento. Vedremo in seguito che tale organizzazione non ha alcun obiettivo da raggiungere, ma al contrario, gli obiettivi iniziali possono cambiare molto rapidamente. Vedremo anche che è la stessa cosa per le forme di azione stesse. La collettività iniziale che ha iniziato l'azione può anche cambiare molto rapidamente proprio in quel momento e in concomitanza con cambiamenti di obiettivi e forme di azione.
Da questa distinzione tra volontarismo e organizzazione spontanea, si potrebbero moltiplicare le definizioni e differenze. Chiunque è libero di farlo. Ma devo sottolineare che sto parlando di "poli". Tra questi due estremi si possono trovare tutti i tipi di ibridi la cui complessità di natura e interazione è quella della vita sociale stessa. In particolare, partendo da una organizzazione basata sul volontarismo, si può finire in una serie di "slittamenti" per arrivare ad una identificazione con un organizzazione spontanea. Si potrebbe addirittura dire che è lo scopo, dichiarato o nascosto-di tutte le organizzazioni di farci credere (è solo una questione di auto-persuasione o propaganda) o di cercare di arrivare (questo è il mito di Sisifo) alla identificazione con l'organizzazione spontanea di una collettività determinata. All'estremità opposta, una forma di organizzazione spontanea che si è creato può trasformarsi in una organizzazione di stampo volontaristico quando le forze sociali che hanno creato mutano verso altre forme di organizzazione e la precedente organizzazione cerca di sopravvivere con la sola volontà della minoranza, per bloccarsi in un quadro rigido di riferimenti.

La definizione di spontaneità

Ci sono già state molte discussioni circa il termine "spontaneo" (come la parola "autonomo", che è diventata una parola politica nel senso cattivo del termine). "Spontaneo" non significa affatto out of de clear blue sky, una sorta di generazione spontanea, in cui si vede l’emergere dal nulla di strutture adeguate per ogni tipo di lotta. Siamo tutti esseri inevitabilmente sociali, vale a dire siamo immersi con forza in una organizzazione sociale a cui inevitabilmente opponiamo un'altra organizzazione, quella della nostra vita. Contrariamente a quanto normalmente supposto, questa organizzazione della nostra vita non è fondamentalmente una forma contro l'organizzazione sociale dominante. Questa organizzazione della nostra vita è soprattutto "per sé". E' solo "contro" come conseguenza della nostra auto attività. C'è una sensazione molto precisa in ognuno di noi di ciò che gli interessi della nostra vita sono e di ciò che ci impedisce l’auto-organizzazione delle nostre vite. Non sto usando la parola "coscienza" qui di proposito perché per troppi questa parola ha il senso di coscienza morale o, che è solo una variante della stessa cosa, di coscienza "politica". Per auto-organizzazione della nostra vita come per la sua autodifesa, il sistema capitalista è il miglior agente educatore. Sempre più sta mettendo nelle nostre mani una serie di strumenti che consentono questa auto-organizzazione e il suo passaggio da forme individuali a collettive. Aumentando le sue forme di repressione sempre più raffinate, incluse tutte le repressioni preventive delle lotte spontanee, sta ponendo per questa auto-organizzazione individuale o collettiva l'assoluta necessità di trovare "qualcos’altro" per sopravvivere. Ciò che è stato acquisito da una lotta precedente non può essere conosciuto attraverso esempi o discussioni, ma attraverso l'impatto shock delle esperienze di cui ho parlato in precedenza in questo articolo. Spontaneo significa, alla fine, solo l'emergere di un'organizzazione intessuta nella vita quotidiana che, in precise circostanze, e per la sua difesa, deve passare ad un'altra fase di organizzazione e di azione, pronta a ritornare al livello precedente in seguito, o a passare ad un altro stadio, diverso dai primi due. L’espressione "rapporto di forza" deve essere collocato nello stesso ragionamento, ma descrive solo la situazione senza definire nulla circa i contenuti, l’azione e l'organizzazione di tali forze.

Termini variabili e interessi


"Spontaneo" si riferisce anche ad un altro aspetto di azione e di organizzazione. L’ho toccato quando ho sottolineato, nella definizione di organizzazione spontanea, che non ha obiettivi, forme prestabilite e che questa può essere rapidamente trasformata da un cambiamento nella collettività coinvolta. "Spontaneo" si oppone a una tattica che serve come una strategia orientata verso un obiettivo ben definito (all'interno di obiettivi secondari che definiscono fasi successive da raggiungere). Collettività, azione e organizzazione costituiscono termini variabili nella difesa degli interessi che sono anch’essi variabili. In ogni momento questi interessi variabili sembrano essere immediati così come l'azione e l'organizzazione per raggiungere gli obiettivi provvisori che appaiono necessari. Se tutto questo può accadere all'improvviso e il processo può evolvere molto rapidamente, questa spontaneità è tuttavia, e questo è stato sottolineato, prolungamento di una precedente auto-organizzazione e del suo confronto con una situazione cambiata.

Le vicende di un'organizzazione di stampo volontaristico non sono interessanti di per sé, anche quando, come spesso fanno, le appesantiscono con discussioni sul "problema organizzativo". Sappiamo tutti bene che il tipo di organizzazione si intende, soprattutto tra quelli che di solito chiamiamo "militanti". Tuttavia, sarebbe possibile discuterne criticamente in una forma che rimane puramente ideologica, mascherando il problema essenziale. La storia delle organizzazioni e dell’ "organizzazione" in relazione al movimento tecnico, economico e sociale rimane da scrivere.

La funzione dei gruppi volontaristi


Non è lo scopo di questo articolo scrivere questa storia, anche se l'articolo mette in evidenza la distanza tra la teoria di questi gruppi e la loro pratica reale o semplicemente tra ciò che pretendono di fare e quello che fanno in realtà, tra la loro "vocazione" di universalità e il loro inserimento irrisorio nella società reale. Posso solo sottolineare alcuni possibili assi di riflessione quali:
1) La funzione dei volontaristi e dei loro gruppi. Cosa fanno nella attuale società capitalistista, imitando i partiti politici e i sindacati (i grandi modelli di questo tipo di organizzazione), indipendentemente dalla scuola politica a cui si riferiscono (comprese le più "moderne"), indipendentemente dalla loro radicalismo? (Il radicalismo non è mai fine a se stesso, ma spesso è un modo diverso di raggiungere lo stesso fine come per le organizzazioni legalitarie.)
2) Il comportamento di una organizzazione di volontaristi. E 'indipendente dalle sue finalità generali o particolari e della sua pratica (autoritario o "autonoma"). Inevitabilmente il mondo capitalista definisce la sua funzione (in relazione agli obiettivi e la prassi che ha scelto per sé). Questo stesso rapporto con un mondo capitalista impone una separazione che un partigiano di tale organizzazione volontaristi definirebbe "suo malgrado" come segue: "il problema di come mettere in relazione e attivizzare cioè teso a costruire coscienza della storia attuale e il problema del rapporto tra rivoluzionari e masse rimangono aperti"
3) L'impossibilità delle organizzazioni volontariste di sviluppare se stesse, anche quando la pratica quotidiana delle lotte mostra le loro stesse idee. In più, lo sviluppo dell’organizzazione spontanea porta al rifiuto delle organizzazioni volontariste o alla loro distruzione, in alcune circostanze, anche quando queste organizzazioni volontariste si assegnano un ruolo. La conseguenza è che queste organizzazioni volontariste sono costantemente portate a respingere aree riformiste o capitaliste e costrette ad avere una pratica che è sempre più in contraddizione con i loro principi dichiarati. Proprio come quanto scritto di cui sopra dimostra che diventa sempre più difficile per queste organizzazioni di assegnarsi una funzione da identificare con l’azione e l'organizzazione spontanea. Alcuni si sforzano di "rivedere" alcune parti della loro azione, mantenendone altre (teoria, violenza, atti esemplari, la pratica della propria teoria, ecc.). Eppure non è una questione di revisione, ma di una sfida totale da parte del movimento stesso a tutte le nozioni "rivoluzionarie" sostenute per decenni, e anche per oltre un secolo ormai. Non sono in questione i dettagli, ma le idee fondamentali.

L'idea della collettività

Nella distinzione che è stata fatta tra l’organizzazione volontaristica e l'organizzazione spontanea, l'idea di collettività è essenziale. Di che collettività stiamo parlando e quali sono gli interessi attorno ai quali si manifestano azioni e organizzazioni?
Una collettività può essere definita come tale da quanti volontariamente la formano, essi rendono espliciti i loro interessi comuni, gli obiettivi da raggiungere ed i mezzi della collettività, non nella azione, ma come preparazione all'azione.
Qualunque siano le dimensioni e il carattere di una tale collettività, questa caratteristica è propria di tutte l'organizzazione volontaristiche. Oltre a coloro ai quali questo comportamento è indirizzato, la collettività può solo occuparsi di:
(1) gli interessi dei suoi soli partecipanti
(2) difendere gli interessi apparentemente comuni ai membri e non membri
(3) difendere gli interessi dei suoi membri dominando i suoi non-membri, che immediatamente crea una comunità di interessi contrapposti ad un altra.
Secondo la situazione, avremo anche per esempio una comunità di vita, come una comune, un movimento di tipo sindacale o un partito politico (molti gruppi sarebbero iscrivibili in questa categoria), o una impresa capitalistica (una cooperativa di produttori sarebbe inclusa in questa categoria anche se rimane esente dal dominio interno di una minoranza, ma sarebbe costretta, per poter funzionare, a ricorrere alla mediazione del mercato, che presuppone una relazione di dominio con i consumatori). Forme di organizzazione volontarista, apparentemente molto diverse fra loro in realtà sono tutte contrassegnate da questo tipo di iniziativa volontaristica, che si concretizza in un certo tipo di relazione. La conseguenza di questa situazione è che tutte le organizzazioni volontaristiche devono, in un modo o nell'altro, essere conformi agli imperativi della società capitalistica in cui si vive e si opera. Questo è accettato da alcuni, pienamente assunto da altri, ma respinto da altri ancora che pensano di poter sfuggire o semplicemente non pensarci. In alcune situazioni cruciali, l'impresa capitalistica non ha altra scelta, se vuole sopravvivere, ma per fare ciò che il movimento dei capitali impone su di essa. Dal momento che esiste come organizzazione, la sua unica scelta è la morte o la sopravvivenza capitalista. In altre forme, ma allo stesso modo inesorabile, tutte le organizzazioni volontariste sono vincolate dagli stessi imperativi. Il dimenticare, il nascondere questa situazione o il rifiuto di guardarla in faccia crea violenti conflitti interni. Questi sono spesso nascosti dietro i conflitti personali o ideologici. Per un certo tempo possono anche essere dissimulate dietro una facciata di "unità", che viene sempre presentata, per ragioni di propaganda, ai non membri (da qui scaturisce la regola che all'interno di tali organizzazioni conflitti interni sono sempre risolti all'interno del organizzazione e mai in modo pubblico).
E' possibile che collettività volontarista derivi da una organizzazione spontanea. Questa è una situazione frequente a seguito di una lotta. Il volontarismo qui consiste nel cercare di perpetuare sia gli organismi formali che la lotta ha creato o di tenere il passo ad un tipo di collegamento che la lotta aveva sviluppato in una specifica azione in testa. Tali origini non preservano in alcun modo l'organizzazione sviluppando le caratteristiche di una organizzazione volontarista. Al contrario, questa origine può apportare un contributo prezioso nel dare all’organizzazione volontarista la necessaria facciata ideologica per le sue azioni successive. La costruzione di una nuovo sindacato dopo uno sciopero è un buon esempio di questo tipo di cose.

In opposizione alla collettività che si auto definisce, la collettività a cui, malgrado sé, uno appartiene, è definita da altri, dalle diverse forme che il dominio reale o formale del capitale ci impone. Noi non apparteniamo al risultato di una scelta, ma dall'obbligo (costrizione) della condizione in cui ci troviamo. Ogni persona è così sottomessa, chiusa in uno (o più) dei quadri istituzionali in cui si esercita la repressione. Lui fugge, se egli cerca di scappare, solo per essere messo in un'altra gabbia istituzionale (prigioni per esempio). Anche se abbandona la sua classe e il quadro di quella classe, è solo per entrare in un'altra classe dove è sottoposto alla gabbia di quella classe. All'interno di queste strutture un certo numero di individui si vede imporre le stesse regole e gli stessi vincoli. Coesione, azione, e organizzazione derivano dal fatto che è impossibile costruire la propria vita e auto-organizzarsi. Chiunque, qualunque sia il suo orientamento, si scontra con lo scoglio degli stessi limiti, degli stessi muri. Le risposte, cioè la comparsa di un preciso interesse comune, dipendono dalla forza e dalla violenza della repressione, ma non sono in alcun modo volontarie. Scaturiscono dalla necessità. Gli ostacoli incontrati e le possibilità offerte portano ad un'azione in una forma di organizzativa o in un altra. È questa stessa attività che produce le idee su cosa dovrebbe o non dovrebbe essere fatto. Tale organizzazione non significa una comune concertazione formale o consultazione e adozione di una forma definita di organizzazione. Sarebbe difficile descrivere in termini di struttura la generalizzazione dello sciopero maggio 68 in Francia, l'azione collettiva dei minatori inglesi nello sciopero del 1974, il saccheggio di negozi a New York nel recente blackout, il grado di assenteismo al lavoro il giorno dopo una festa nazionale, ecc. Tuttavia, queste, tra le altre, sono azioni che hanno un peso molto maggiore rispetto a molte forme "organizzate" di lotta costruite dalle organizzazioni volontariste. L’organizzazione spontanea può essere molto reale, esiste sempre in questa forma non strutturata e apparentemente secondo i criteri usuali, non "esiste". Questa organizzazione spontanea, nel corso dell’azione e secondo le necessità di questa azione, può darsi forme ben definite (sempre transitorie). Essa non è altro che il prolungamento di una organizzazione informale che esisteva prima e che può tornare in seguito, quando le circostanze che hanno portato alla nascita dell'organizzazione sono scomparse.
Nell’organizzazione volontarista , ogni partecipante ha bisogno di sapere in anticipo se tutti gli altri partecipanti alla collettività hanno la stessa sua posizione. Le decisioni formali devono essere prese per sapere in ogni momento se quello che stiamo andando a fare è in accordo con i principi base e con gli obiettivi dell'organizzazione. Niente di tutto questo accade in una organizzazione spontanea. L’azione, che è una procedura comune senza adesione formale, è tessuta insieme attraverso stretti legami, da un tipo di comunicazione, il più delle volte senza parlarne (sarebbe spesso impossibile, considerando la rapidità del cambiamento degli obiettivi e delle forme di azione ). Spontaneamente, naturalmente, l'azione si dirige verso obiettivi necessari per raggiungere un punto comune, che un’oppressione comune assegna a tutti, perché tocca ciascuno nello stesso modo. Lo stesso vale per organismi specifici che possono sorgere per compiti precisi nel corso di questa azione. L'unità di pensiero e azione è la caratteristica essenziale di questa organizzazione, è questo che durante l'azione dà origine ad altre idee, altri obiettivi, altre forme che forse una persona o alcune persone hanno proposto, ma che hanno la stessa immediata approvazione entusiasta nell’avvio immediato dell’azione. Spesso l'idea non è formulata, ma è compreso da tutti per l’avvio dell’azione in un'altra direzione rispetto a quella seguita in precedenza. Spesso anche questa azione si verifica in molti luoghi traducendo allo stesso tempo l'unità di pensiero e di azione di fronte alla stessa repressione applicata agli stessi interessi.
Mentre l’organizzazione volontarista è direttamente o indirettamente sottoposta alla pressione del sistema capitalista che impone su di essa una linea piuttosto che una scelta, l’organizzazione spontanea rivela solo la sua azione e le sue forme apertamente aperte a tutti, se la repressione rende necessario difendere e attaccare. L’azione e le forme saranno tanto più visibili tanto più sarà importante l'impatto di queste sulla società e sul capitale. La posizione della collettività che agisce in questo modo nel processo di produzione sarà determinante.

Non esiste formula per la lotta


Ogni lotta che cerca di strappare al capitalismo quello che non vuole dare ha molta più importanza di quanto costringe il capitale a cedere una parte del suo plusvalore e ridurre i suoi profitti. Si potrebbe pensare che una tale formula privilegi le lotte nelle aziende e nelle fabbriche dove c'è in effetti una stabile organizzazione spontanea che nasce direttamente con le proprie leggi nel cuore del sistema-il luogo di sfruttamento-, assumendo quindi la sua forma più aperta e chiara. Ma in un'epoca in cui la ridistribuzione dei profitti svolge un ruolo importante nel funzionamento del sistema e per la sua sopravvivenza, in un'epoca di dominio reale del capitale, le lotte esprimono l'organizzazione spontanea delle collettività in luoghi diversi dalle fabbriche, distribuzione e terziario risultano rivestire lo stesso ruolo per il sistema.

I loro percorsi potrebbero essere molto diversi e meno legati a scontri diretti, ma la loro importanza non è inferiore. L'insurrezione dei lavoratori di Berlino Est nel 1953 era all'inizio un movimento spontaneo contro l'aumento delle norme di lavoro. L'organizzazione spontanea che nasce da questa collettività coinvolta, un gruppo di lavoratori edili, darà vita ad una collettività di tutti i lavoratori della Germania dell'Est. La semplice dimostrazione di una manciata di lavoratori diede il via all'attacco ad edifici pubblici, gli obiettivi di un semplice annullamento di un decreto provocò quasi la caduta del regime, gettando le basi per l’auto-organizzazione dei consigli dei lavoratori; tutto questo nel spazio di due giorni. L'insurrezione polacca del giugno 1976 era solo una protesta contro l'aumento dei prezzi, ma in due punti, la necessità di mostrare la loro forza in due occasioni ha portato in poche ore all'organizzazione spontanea dei lavoratori occupando Ursus e bloccando tutte le comunicazioni -una situazione pre- insurrezionale- incendiando il quartier generale del partito e saccheggiando Radom. Il governo ha ceduto subito e immediatamente l'organizzazione spontanea è ritornata alle posizioni precedenti. Il blackout di energia elettrica di New York immersa nel buio ha improvvisamente generato una organizzazione spontanea di una collettività di consumatori "frustrati" che immediatamente si diedero al saccheggio, ma è scomparsa con il ritorno della luce. Il problema dell’assenteismo è già stato menzionato. Questi grandi gruppi di persone che lavorano in un luogo ricorrono all’assenteismo in questo modo poichè la repressione diventa impossibile, si rivela una organizzazione spontanea in cui sono definite le possibilità di ogni persona dalla percezione comune di una situazione, dalle possibilità di ogni persona. Questa coesione si rivelerà all'improvviso se la direzione tenterà di sanzionare queste pratiche, attraverso l’apparizione di una lotta aperta spontanea e perfettamente organizzata. Potremmo citare molti esempi di eventi simili apparsi sotto forma di scioperi selvaggi per tutto ciò che riguarda i tempi di lavoro e la produttività, soprattutto in Gran Bretagna.
Negli esempi appena citati l'organizzazione spontanea è interamente auto-organizzazione di una collettività senza che alcuna organizzazione volontarista interferisca. Nel guardare da più vicino possiamo vedere il costante flusso e riflusso delle azioni che hanno luogo, dall'organizzazione alla realizzazione degli obiettivi nel modo descritto sopra. Ma in molte altre lotte in cui l'organizzazione spontanea svolge un ruolo importante, l’organizzazione volontarista può coesistere con essa, e sembra andare nella stessa direzione dell'organizzazione spontanea. Il più delle volte lo fanno per giocare un ruolo repressivo nei confronti di questa organizzazione, ruolo che le strutture preposte normalmente dal sistema capitalista non possono assumere. Lo sciopero della durata di due mesi, di 57.000 lavoratori dell'auto della Ford apparentemente non ha rivelato alcuna forma di organizzazione al di fuori dello sciopero stesso. Al contrario, un esame superficiale farebbe dire che organizzazioni volontariste, come i sindacati, i delegati sindacali, ed anche alcuni gruppi politici hanno svolto un ruolo essenziale nello sciopero. Tuttavia, ciò non spiega come lo sciopero spontaneamente è iniziato a Halewood né la notevole coesione di 57.000 lavoratori, o l’effettiva solidarietà dei lavoratori dei trasporti che ha portato al blocco totale di tutti i prodotti Ford. La spiegazione è che l'organizzazione spontanea della lotta, se trova espressione nella non formalità e apparenza, a costantemente imposto la sua presenza e efficacia su tutte le strutture capitalistiche e soprattutto sui sindacati. Nel caso Ford, l'organizzazione spontanea non è stata osservata in particolari azioni eccetto, ed era singolarmente efficace in questa situazione, dall’assenza dal luogo di lavoro. Nella lotta dei minatori del 1974, troviamo la stessa coesione in uno sciopero coperto anche dal sindacato, ma se fosse rimasto lì l'efficacia della lotta sarebbe comunque stata ridotta a causa dell'esistenza di stock di energia. L'azione offensiva tramite l’organizzazione di picchetti volanti in tutto il paese ha rivelato una organizzazione spontanea, anche se questa auto-organizzazione ha beneficiato dell'aiuto della organizzazione volontarista. Senza l'efficacia, dell'organizzazione spontanea degli stessi minatori, questo supporto sarebbe stato ridotto a ben poco. In un identico campo, le miniere di carbone, abbiamo visto una simile auto-organizzazione da parte dei minatori americani la scorsa estate durante lo sciopero dei minatori degli Stati Uniti.

D'altra parte, in una situazione diversa, i 4.000 minatori delle miniere di ferro di Kiruna in Svezia è andato in sciopero totale dal dicembre 1969, alla fine di febbraio 1970. La loro organizzazione spontanea ha trovato espressione in un comitato di sciopero eletto dalle maestranze escludendo tutti i rappresentanti sindacali. La fine dello sciopero poteva essere ottenuto solo dopo la distruzione di questa commissione e il ritorno a forme di auto-organizzazione precedenti alla lotta stessa. Lo sciopero della LIP in Francia nel 1973 ha avuto un'eco enorme tra gli altri lavoratori, perché 1.200 persone hanno osato fare una cosa insolita: rubare prodotti e materiali dell’impresa per pagare il loro salario durante lo sciopero. Questo è stato possibile solo grazie all’organizzazione spontanea della lotta, ma questa organizzazione spontanea è stata interamente mascherata da una organizzazione volontarista interna (l'Inter-Union Committee) e da quelle esterne (i molti comitati di sostegno). Nel corso degli ultimi anni, l'organizzazione spontanea è stata a poco a poco dissolta, spesso a prezzo di tensioni durissime fra due organizzazioni, nel quadro istituzionale del Capitale, -una organizzazione formale e l’altra informale-, tranne in rari momenti. Anche un'altra situazione, il maggio 68 in Francia ha visto l'arrivo di diversi tipi di organizzazione. Molto è stato detto circa i movimenti volontaristi, il Movimento 22 marzo, i comitati d'azione, i comitati di quartiere, i comitati di lavoratori-studenti, ecc Molto meno è stato detto dell'informale auto-organizzazione della lotta che è stata molto forte nell’estendere lo sciopero in pochi giorni, ma che ripiegò su se stesso con la stessa rapidità, senza che si esprimesse in organizzazioni o azioni specifiche, lasciando così il via libera a varie organizzazioni volontariste, per la maggior parte, i sindacati o partiti.

L'Italia dal 1968 fino ad oggi e la Spagna tra il 1976-1977, hanno visto situazioni simili a quelle sviluppate nel maggio 68 in Francia, in cui esiste la co-esistenza di organizzazioni spontanee, con quelle tradizionali (partiti e sindacati), ma anche con organizzazioni volontariste di una nuovo tipo, con forme nate dalla situazione creata dal movimento spontaneo. I movimenti possono svilupparsi spontaneamente in categorie sociali soggette alle stesse condizioni, senza essere tutti coinvolti in un primo momento, ma senza essere organizzazioni volontariste per tutti loro. Esse sono l'embrione di un movimento spontaneo più grande che a seconda delle circostanze si attesterà giornalmente al livello di quel giorno o darà luogo ad una organizzazione formale, se si diffonderà su scala molto più ampia. Gli ammutinamenti degli eserciti inglesi, francesi, tedeschi e russi nella guerra del 1914-18 ha avuto queste caratteristiche e ha avuto conseguenze molto diverse. Il movimento di diserzione e di resistenza alla guerra in Vietnam nell'esercito americano era qualcos'altro che divenne alla fine uno degli agenti più potenti per la fine di quella guerra. Tutti possono provare in questo modo in tutti i movimenti di lotta a determinare il ruolo svolto da un'organizzazione spontanea e quello giocato dall’organizzazione volontarista. E 'solo una delimitazione per categorie, per nulla facile, che ci permette di capire le dinamiche dei conflitti e delle lotte interne ad esse. E così la frase che ho citato più indietro, rivelando uno irrisolto "problema" tra "rivoluzionari e masse" assume il suo significato complesso. Il problema è quello di un conflitto permanente tra "rivoluzionari e le masse", vale a dire tra l'organizzazione spontanea e organizzazione volontarista.

Naturalmente questo conflitto esprime una contraddizione che esiste, malgrado sia molto diverso da quello che le organizzazioni volontariste vorrebbero che fosse. Questo conflitto è mantenuto in gran parte nel fatto che, in una lotta, organizzazioni volontariste e organizzazioni spontanee co-esistono, ma il rapporto non è lo stesso in entrambe le direzioni. Per l'organizzazione spontanea, quella volontarista può essere uno strumento temporaneo in una scena d'azione. Necessita solo della dichiarazione dell’organizzazione volontarista di non essere risolutamente opposta a ciò che vuole la spontanea. E' spesso così con un delegato sindacale o con i diversi comitati creati parallelamente alla organizzazione spontanea intorno a un'idea o un obiettivo. Se l'organizzazione spontanea non trova utile un tale strumento crea i suoi propri organismi temporanei per raggiungere l'obiettivo del momento. Se lo strumento rifiuta la funzione assegnatagli dall'organizzazione spontanea, o diventa inadeguata perché la lotta ha spostato il terreno e le richieste con altri strumenti, l'organizzazione volontarista è abbandonata. E' la stessa cosa per la forma definita di un momento specifico dell’organizzazione spontanea.

Masse come soggetto/oggetto

Per l'organizzazione volontarista, le "masse", vale a dire l'organizzazione spontanea, comprese le sue forme definite temporanee, è un oggetto. Ecco perché si cercano di dargli il ruolo che essi hanno definito. Quando una organizzazione spontanea utilizza una organizzazione volontarista, quest'ultima cerca di mantenere l'ambiguità di base il più a lungo possibile, mentre allo stesso tempo cerca di piegare l'organizzazione spontanea verso la propria ideologia e i propri obiettivi. Quando l'organizzazione spontanea è abbandonata cercherà con tutti i mezzi in suo possesso per di portarla sotto la sua ala. I metodi utilizzati certamente variano a seconda dell'importanza della organizzazione volontarista e del potere che detiene nel sistema capitalista. Nel volume di propaganda di alcune organizzazioni e di commandos sindacali statunitensi che attaccano gli scioperi, per esempio, c'è solo una differenza di dimensioni. Questa dimensione è ancora più tragica quando l'organizzazione spontanea crea i suoi propri organismi di lotta, la cui esistenza implica la morte delle organizzazioni volontariste e dell'intero sistema capitalistico con esse. Dalla Germania socialdemocratica alla Russia bolscevica, dalla Barcellona dei ministri anarchici da cui viene la distruzione dei consigli operai, a Kronstadt e i giorni di maggio 1937. Tra assemblee, comitati di sciopero, consigli e collettività da un lato e organizzazioni volontariste, dall'altro, le frontiere sono ben disegnate nello stesso modo di quelle tra organizzazioni spontanee e volontariste.

La creazione stessa di organizzazioni spontanee può conoscere lo stesso destino delle organizzazioni volontariste. Le circostanze di una lotta quasi sempre guidano il movimento dell’organizzazione spontanea a ripiegare su se stessa, per tornare a forme più sotterranee, a forme più primitive si potrebbe dire, anche se queste forme sotterranee sono ricche e utile tanto quanto le altre. Qui siamo spesso tentati di rintracciare una gerarchia tra diverse forme di organizzazione, quando in realtà sono solo lo specchio del legame, l’una all'altra, del costante adattamento alla situazione, cioè alla pressione e alla repressione. Lo spostamento delle organizzazioni spontanee lascia dietro di sé sulla sabbia, senza vita, le forme definite che hanno creato. Se non muoiono tutti insieme e cercano di sopravvivere con l'azione volontaria di alcune persone, si trovano esattamente nella stessa posizione delle organizzazioni volontariste. Essi possono anche eventualmente fare uno sviluppo notevole in questa direzione, perché possono costituire una forma di organizzazione volontarista, se l'ultimo, quella spontanea, ha raggiunto un livello pericoloso per il sistema capitalista.

Non esistono ricette dal passato

In questo senso non esiste una ricetta dal passato per la creazione dell’organizzazione spontanea per la sua manifestazione in futuro. Non possiamo dire in anticipo quale forma determinata di organizzazione spontanea assumerà per raggiungere i propri obiettivi del momento. Nei suoi diversi livelli di esistenza e manifestazione, l'organizzazione spontanea ha un rapporto dialettico con tutto ciò che si trova sottoposto alle regole del sistema (tutto ciò che cerca di sopravvivere nel sistema) e finisce presto o tardi essendo per essere opposto ad esso, compresa l’opposizione all’organizzazione volontarista creata per lavorare nel proprio interesse, e contro le organizzazioni che sono sorte dalle organizzazioni spontanee che nel sistema capitalista si accumulano in organismi permanenti.
Per concludere su queste brevi considerazioni sull’organizzazione si è portati a credere che uno sguardo realistico sul problema è stato dato e che può essere fatta una conclusione provvisoria o definitiva. Lo lascio alle organizzazioni volonariste. Come il movimento spontaneo di lotta, la discussione su di esso non ha frontiere definite né conclusioni.

La crisi dell'organizzazione tradizionale


Sarebbe anche una contraddizione del movimento spontaneo considerare che lo schematismo necessario all’analisi contenga un qualche giudizio di valore delle idee e una condanna dell'azione dell’organizzazione volontarista. Le persone coinvolte in tali organizzazioni esistono perché il sistema di idee offerto corrisponde al livello delle relazioni tra la loro esperienza e quelle delle persone che li circondano e di quelle che conoscono. L'unico problema in questione è di collocare il loro posto in questa organizzazione, il posto di questa organizzazione nella società capitalistica, la funzione di questa in eventi in cui l'organizzazione può essere coinvolta. Queste sono precisamente le circostanze che attraverso l'impatto shock di esperienze portano una persona a fare ciò che il suo interesse dominante impone in un dato momento. Al fine di inquadrare meglio la questione, vediamo le crisi delle "grandi" organizzazioni volontariste, perché sono ben note e mal mimetizzate (e ricorrono sempre), ad esempio nel Partito Comunista Francese. Negli ultimi anni le crisi interne sono state provocate nel PCF dall'esplosione di organizzazioni spontanee in eventi come l'insurrezione ungherese (1956), la lotta contro la guerra d'Algeria (1956-1962) e il maggio 68.

L’organizzazione spontanea non si afferma tutta in una volta, secondo lo schema tradizionale delle organizzazioni volontariste. Si ricostruisce all'infinito e, secondo le necessità della lotta, sembra scomparire, per riapparire in un'altra forma. Questo carattere incerto e sfuggente è allo stesso tempo un segno della forza della repressione (la forza del capitalismo) e di un periodo di affermazione che esiste da decenni e che può essere molto lungo. In tale periodo intermedio le incertezze trovano espressione nelle esperienze limitate di ciascuno di noi, nella parcellizzazione di idee e azioni, e la tentazione è quella di mantenere una "acquisizione" delle lotte. La stessa incertezza è spesso interpretata come una debolezza che porta alla necessità di trovaci con altri che hanno la stessa esperienza limitata in organizzazioni volontariste. Ma tali organizzazioni, tuttavia, non differiscono molto da quelle del passato. Quando guardiamo alle "grandi" organizzazioni volontariste di mezzo secolo fa e più, alcune persone rammaricano la dispersione e la polverizzazione di tali organizzazioni. Ma essi esprimono solo, tuttavia, il declino dell'organizzazione volontarista e il sorgere dell'organizzazione spontanea,-una fase transitoria in cui le due forme di organizzazione spalla a spalla si confrontano in un rapporto dialettico-.

Ogni persona si pone, se può e quando può, in rapporto con questo processo, cercando di capire che le sue delusioni sono le ricchezze di un mondo a venire e i suoi fallimenti sono la vittoria di qualcos'altro molto più grande di ciò che deve abbandonare (e che ha poco a che fare con la "vittoria del nemico di classe" temporaneo). Qui la conclusione è l'inizio di un dibattito molto più grande che è quello dell’idea di rivoluzione e di un processo rivoluzionario in sé, un dibattito che in effetti non si pone come preambolo all’organizzazione spontanea, ma che si pone, come azione, come condizione e fine di azione in azione.