27.6.13

Marchionne fa sul serio, Landini scherza… sulla pelle dei cassintegrati!

 
Sabato mattina i cancelli della Fiat di Pomigliano sono stati il teatro dell’ennesima occasione mancata per fermare sul serio la produzione.
La scelta operata da Marchionne e compagnia di utilizzare il sabato lavorativo per far fronte ai picchi di domanda, facendo lavorare di più chi è già dentro, rappresenta un sonoro schiaffo nei confronti di quei sindacati asserviti (Cgil-Cisl-Uil) che da anni stanno illudendo i cassintegrati su un possibile rientro “indolore” in fabbrica.
Di fronte a una tale provocazione ci saremmo aspettati che almeno la Fiom, dopo aver dichiarato ai quattro venti la propria opposizione al sabato lavorativo, si muovesse di conseguenza e facesse seguire i fatti alle parole.
A dire il vero, già la prima iniziativa “unitaria” nella mattina di sabato 15 giugno in occasione del primo sabato lavorativo lasciava ben poco da sperare, con la scelta di concentrare gran parte del presidio all’ingresso 2 quando era nota a tutti l’indicazione dell’azienda di far entrare gli operai dall’ingresso 1 solitamente riservato al transito merci: il risultato fu di lasciare isolati quei gruppi di operai più combattivi che si erano dati appuntamento agli altri varchi per rallentare gli ingressi e far male sul serio alla Fiat, e di abbandonare di fatto nelle mani della brutale repressione poliziesca i compagni del Comitato di Lotta Cassintegrati e licenziati Fiat e terziarizzate che in quasi completa solitudine presidiavano l’ingresso 1 e sono stati caricati, picchiati e insultati dai tutori dell’ordine al servizio del padrone.
Alcuni compagni della Fiom, più combattivi e meno legati al burocraticismo manovriero e opportunista di Landini, ci spiegarono che tali problemi erano da ricondurre a difficoltà organizzative e ai numeri non sufficienti per bloccare tutti gli ingressi, ma si dicevano certi che il sabato successivo le cose sarebbero andate diversamente…
In effetti, quando all’alba di sabato scorso ci siamo presentati ai cancelli, l’aria che tirava sembrava decisamente diversa dal triste scenario della settimana precedente: nonostante la “notte bianca” fosse iniziata dalle 21.00 (scelta a nostro avviso inopportuna visto che il grosso degli operai sarebbero entrati nel turno mattutino ed era quindi inutile presidiare per 8 ore dei cancelli vuoti), alle 5.00 tutti i varchi, dall’ingresso principale fino all’Elasis, erano presidiati da centinaia di operai e militanti della Fiom venuti da tutta Italia, e una colonna interminabile di auto con a bordo gli operai comandati per il sabato lavorativo giaceva imbottigliata su tutte le principali arterie di Pomigliano.
Dunque, il dato che è subito apparso evidente è che la Fiom, se vuole, ha una struttura e un organizzazione più che sufficiente per far male a Marchionne.
Fino alle 6.00 tutto sembrava filare liscio e sembrava profilarsi per la Fiat una sonora sconfitta.
Ma evidentemente la sceneggiatura scritta da Landini non prevedeva questo finale!
Infatti, proprio quando mancava poco per portare a casa il risultato e molti tra gli operai comandati già pensavano di tornarsene a casa, il sommo leader della Fiom convoca i fedelissimi e ordina il dietrofront, in ciò coadiuvato dalla preziosa collaborazione di una delegazione di parlamentari e dirigenti nazionali di SEL, presenze immancabili ogni qualvolta si tratta di “convincere” gli operai a battere in ritirata e rinunciare alla lotta.  
L’ordine tassativo di abbandonare i picchetti alle 6.15 come da accordi presi tra Landini e la polizia (ovvero i vertici Fiat…) è divenuta operativa non senza qualche difficoltà: al cancello 1, dove era concentrato anche il Comitato cassintegrati e licenziati, il LP Iskra, operai Fiom, compagni dei movimenti napoletani e una delegazione dell’Irisbus di Valle Ufita, si è resa necessaria addirittura una miniassemblea in strada, nel corso della quale Landini e i capetti di SEL sono stati costretti ad intervenire in prima persona per imporre il rompete le righe ad alcuni operai e delegati Fiom che analogamente al Comitato cassintegrati non erano d’accordo a lasciare il presidio.
Come accade spesso, nonostante le perplessità sulla condotta di Landini e soci, la stragrande maggioranza dei militanti Fiom si è piegata ai diktat del capo e verso le 6.20 è andato in scena un inspiegabile fuggi fuggi generale (tra l’altro la polizia non era ancora neanche in assetto antisommossa ma le burocrazie, per convincere i lavoratori ad andarsene, avevano sparso la voce che erano già pronti a caricare): sul campo, come oramai di consueto da alcune settimane a questa parte, sono rimasti solo il Comitato di lotta cassintegrati e licenziati e (nota senz’altro positiva) una decina di militanti e un dirigente locale della Fiom.
Cinto d’assedio e circondato da tutti i lati da un’ingente e sproporzionato dispiegamento di forze di polizia, lo spezzone combattivo del Comitato di lotta non ha potuto far altro che retrocedere in maniera ordinata e compatta fino all’imbocco autostradale, per poi restare in presidio alcuni minuti e quindi sciogliersi, riuscendo comunque a rallentare gli ingressi per altri venti minuti.
La condotta dei dirigenti Fiom e della loro cinghia di trasmissione politica rappresentata da SEL, che ai più potrebbe apparire inspiegabile, per noi non ha alcun mistero: Landini e compagnia, messi alle corde senza troppi complimenti da Marchionne, sperano ancora di riconquistare quella concertazione che il padrone, dopo essersene usato a piacimento nello scorso decennio, da anni gli nega perchè non è più funzionale ai suoi profitti.
Per questo da mesi il vertice Fiom si è attestato unicamente su un livello di difesa legale-processuale dei propri iscritti; per questo ha dato il proprio assenso entusiastico allo scandaloso accordo sulla rappresentanza che prevede l’esigibilità degli accordi e restringe l’eleggibilità  in fabbrica solo alle organizzazioni sindacali firmatarie; e per questo, anche avendo a disposizione forze e strutture militanti, si rifiuta di lottare ai cancelli per bloccare la produzione!
L’obiettivo di Landini è unicamente quello di convincere la Fiat a riammetterlo ai tavoli di trattativa e cooptarlo nella co-gestione del Piano Marchionne per strappare qualche briciola più simbolica che reale.
Tra tutte queste trame e manovre di vertice, il destino delle migliaia di cassintegrati non ha alcuno spazio ne alcuna voce.
Per noi e per tutti coloro che non sono scappati dall’ingresso 1 quel tavolo non va allargato, bensì rovesciato: dunque la divergenza non attiene solo le forme di lotta, ma gli obiettivi della lotta stessa, di cui le forme non sono altro che il riflesso.
Per il rientro in fabbrica di tutti i cassintegrati a salario pieno
Per la riduzione dell’orario di lavoro: lavorare meno, lavorare tutti.

Napoli, 23/06/2013
Laboratorio politico Iskra
Comunisti per l’organizzazione di Classe- Napoli

fonte: Combat-coc.org

La repressione di stato e padroni non fermerà le lotte nella logistica!

Condannato a 3 mesi un compagno del SI COBAS e del collettivo la Sciloria per avere partecipato allo sciopero alla Bennet di Origgio.

Origgio Dicembre 2008, dopo un anno di scioperi la lotta dei facchini della Bennet  vince ottenendo aumenti salariali e condizioni di lavoro dignitose. Sarà la vertenza che aprira il ciclo di lotte nella logistica che da 5 anni si diffonde a macchia d’olio in tutta Italia.
3 mesi di carcere commutati in 1240 euro di multa per avere preso parte ai presidi, durante gli scioperi alla Bennet di Origgio. La condanna arriva nel pieno dello sviluppo della lotta dei facchini di tutta Italia e si inserisce nel clima repressivo che padroni, stato e organizzazioni mafiose presenti nella logistica stanno mettendo in campo per contrastare l’avanzare delle lotte.  Cariche della polizia, attacchi fisici a delegati e compagni, fogli di via, denunce a ogni vertenza, bavagli della commissione di garanzia sugli scioperi  e ora le prime sentenze di condanna dai tribunali.
Questa condanna arriva con perfetto tempismo se consideriamo che sempre per la lotta di Origgio e in corso un processo che vede imputati 26 compagni. Un processo basato su un castello accusatorio che vorrebbe far apparire il S.I. Cobas e le realta solidali come un’associazione che estorcerebbe accordi con la violenza.
La borghesia si attrezza preventivamente per fermare le lotte con la repressione, in particolare in questo momento deve colpire le lotte della logistica, prima che queste riescano a collegarsi alla classe intera e fare da esempio. La paura di padroni e stato che questo accada è reale come hanno dichiarato nelle ultime interviste i vertici di confindustria .
Le armi che mettono in campo sono diverse: dal silenzio mediatico attorno a queste da parte degli organi di stampa nazionale, all’uso dei sindacati confederali  sempre funzionali alle cooperative, fino ad arrivare alla repressione con manganelli e tribunali.
Non ci fermeranno mai! Le contraddizioni che la crisi sta ponendo a tutta la classe degli sfruttati  esploderanno e le lotte si moltiplicheranno come sta succedendo nella logistica. Oggi questo movimento rappresenta sempre più la testa di ponte in Italia di una situazione internazionale di grandi conflitti radicali che mettono in discussione la realta esistente. Il fatto che i protagonisti siano in gran parte immigrati traccia  un collegamento ideale con quanto succede nel Maghreb e in ultimo in Turchia.
La nostra risposta sarà nelle lotte, sara nella costruzione di nuove vertenze operaie, di vertenze contro la devastazione di territori  e nella costruzione dell’organizzazione di classe che spazzera via tutto il marciume del capitalismo.
Mentre scriviamo si sono aperte altre vertenze nella logistica a Torino e a Bologna, ecco la nostra risposta alla repressione!
Esprimiamo inoltre Solidarieta ai 3 Operai della Fiat di  Melfi , accusati di violenza Privata e Turbata libertà dell’industria, per avere bloccato la produzione durante uno sciopero.

S.I. COBAS
COLLETTIVO LA SCILORIA – RHO

Rho – 14/06/2013

fonte: Combat-coc.org

26.6.13

Orlins Zoo 2

Fra garofani e barricate - Forme di vita resistono ancora

 
Ad Istanbul continuano le assemblee pubbliche (chiamati forum) molto partecipate in una ventina di parchi della metropoli ed in molte altre citta' del paese, per molti le prime esperienze di incontro e dibattito politico senza mediazione, ma lo stesso vale anche per la presenza in piazza.
Sabato migliaia di persone hanno di nuovo riempito la piazza Taksim per onorare i morti della rivolta portandone garofoni. Dopo qualche ora la polizia ha cominciato a fare pressioni per svuotare la piazza usando alla fine gli famigerati Toma (i cannoni ad acqua). I manifestanti non hanno accettato questa mossa irrispettuosa da parte della polizia e sono rimasti a resistere nella zona attorno Taksim, Beyoğlu in cui si sono incontrati con le maschere da antigas, occhialini e caschi – le caratteristiche della figura protagonista della rivolta: il Çapulcu (it: Ciapulgiu), parola usata per i curdi ribelli negli anni '80 e poi ripresa da Erdogan per nominare i rivoltosi della metropoli, viene ora riappropriato come titolo di orgoglio da tutti i soggetti in lotta. Le sere a Beyoğlu, vedere i Çapulcu per strada, nei bar e nei locali e' ormai la normalita'. Sabato sera hanno cercato di riorganizzare cortei e la strada principale İstiklal diventa per l'ennesima volta luogo di battaglia del territorio in cui si riesce pure a costruire barricate, non più viste da una settimana. Anche se la polizia ha caricato fortemente con gas, aqua, bombe assordanti e proiettili di plastica per disperdere i manifestanti, lo spirito è stato ben alto durante la sera e la notte. Come lo slogan prometteva, continua la resistenza ad Istanbul e in altre citta' del paese. A Smirne (Izmir) e' partito un corteo dal quartiere sul mare Alsancak per onorare i morti della resistenza ed nella zona Dikmen ad Ankara sono stati scontri e si parla di 22 arresti nella capitale.
La Domenica e' partito il quarto Trans-Pride da Taksim, una settimana prima del Pride ufficiale il 30 giugno, molto partecipato e composto dai Çapulcu LGBT i quali solo la esistenza e' non compatibile con le politiche di Erdogan. I slogan del movimento si trovano anche qui (qualcuno modificato per la giornata come ”spalla a gamba contro il fascismo” facendo riferimento all'atto d'amore) e İstiklal diventa cosi anche questo giorno zona riappropriata del movimento e le forme di vite in lotta. Lo stesso vale anche per la piazza Kadiköy della parte Asiatica della citta' dove si sono ritrovati migliaia di Aleviti per ricordare il massacro di Sivas venti anni fa quando furono uccisi 37 intelletuali e artisti nel'albergo Madımak da una folla di Salafisti davanti agli occhi della polizia. La forma di vita degli aleviti non e' mai stato compatibile con l'islam dello stato e dei fascisti ed a loro sono aggiunte accompagnati da applausi gli ultras di Çarşı di Beşiktaş, protagonisti della rivolta, e gli operai del settore di aviazione in sciopero del sindacato Hava-İş.
Istanbul citta' ribelle non e' ferma ma convinta che questo e' solo l'inizio.
Taksim e' ovunque, larivolta e' ovunque. Si continua a Ciapullare, nei forum e nelle piazze.
****************
Un corrispondenza col compagno che ci ha mandato questo scritto

fonte: Infoaut.org

10.6.13

I "principi fondativi" della CGIL

 

Più che del pane, il proletariato ha bisogno del suo coraggio, della fiducia in se stesso, della sua fierezza e del suo spirito di indipendenza (K. Marx).

Mi si consenta un po’ di autoreferenzialità – come si dice, quando ci vuole, ci vuole! Nell’abissalmente remoto dicembre 1991 scrivevo quanto segue:
«Il XII congresso nazionale della CGIL ci consegna un sindacato “rosso” sempre più collaborazionista. Esso ratifica anche sul piano formale e “dottrinario” un processo di lunga lena (l’inglobamento nello Stato del Sindacato tradizionale) che negli ultimi tempi ha subito una brusca accelerazione, a cagione dei rilevanti avvenimenti che si sono registrati tanto sul piano interno come su quello internazionale […] Ciò non significa che un sindacato collaborazionista come la CGIL non svolga più alcuna funzione di tutela degli interessi immediati dei lavoratori, ma piuttosto che questa funzione sempre più programmaticamente viene subordinata agli “interessi generali del paese”, che sono poi immancabilmente e necessariamente gli interessi strategici del Capitale e del suo Stato […] “Da ciò – si legge nei documenti congressuali – discende la natura anticorporativa del sindacato”. Per “natura anticorporativa” occorre intendere quanto segue: si tratta dell’attitudine di quel sindacato a non difendere sempre e comunque gli interessi dei lavoratori, ma di far passare quegli interessi attraverso le maglie sempre più syrrette delle «compatibilità generale» e del sacro interesse nazionale. Ricordate la politica sindacale della CGIL di Lama al tempo del “compromesso storico”? Dalla prospettiva antiproletaria del sindacato “responsabile” il sindacalismo di classe deve necessariamente apparire terribilmente corporativo» (Un sindacato sempre più collaborazionista, Filo Rosso).

Seguono alcuni passi tratti da un mio post dello scorso 11 marzo:

«Quanto reazionario sia il punto di vista del segretario della FIOM lo testimonia, tra l’altro, il punto uno della sua piattaforma politico-sindacale: “La Costituzione deve rientrare in fabbrica”. Con ciò la parte più “antagonista” del sindacalismo collaborazionista ribadisce la propria sudditanza allo Stato capitalistico in guisa democratica, il quale sanzione all’Art. 1 della sua Costituzione quello che l’uomo con la barba ha sempre denunciato: la società borghese si fonda sul lavoro salariato, ossia sullo sfruttamento delle capacità lavorative di chi è costretto a vivere di salario. Che oggi per milioni di persone il salario, anche ridotto all’osso, appaia alla stregua di un miraggio, ciò non solo non cambia i termini della verità, ma piuttosto li rafforza e li rende più cinici. Per questo dal mio – scabroso? – punto di vista, più che della soluzione, la FIOM fa parte del problema che attesta l’attuale impotenza sociale dei lavoratori» (La FIOM è parte del problema).

E concludo, chiedendo scusa al lettore, come segue:

«Agli inizi degli anni Settanta, inaugurando una “opposizione di tipo nuovo” che avrebbe dovuto tirarlo fuori dal famigerato guado che lo teneva lontano dal governo nazionale, il PCI decise di seguire senza indugi la DC, il PSI e il PRI sulla strada della ristrutturazione capitalistica e del risanamento della finanza pubblica. La Cgil naturalmente seguì a ruota, abbandonando la vecchia forma di collaborazionismo sindacale adeguata al precedente status politico del PCI. Molti militanti dell’estrema sinistra allora accusarono il PCI e la Cgil di aver voluto abbandonare definitivamente il terreno della lotta di classe anticapitalistica; questa infondata posizione sorvolava sulla natura ultraborghese acquisita tanto da quel partito quanto da quel sindacato nel momento in cui il gruppo dirigente “comunista” s’inchinò allo stalinismo alla fine degli anni Venti» (Tale padre tale figlio. Da Luciano a Fabrizio una barca austera, 19 aprile 2013).
 Ora, ditemi se sulla scorta di queste premesse politiche l’accordo «di portata storica» sulla rappresentanza sindacale firmato dalle «parti sociali» può suscitare in chi scrive un atomo, un solo miserrimo atomo, di indignata perplessità o, men che meno, di sorpresa. Ecco perché mi vien da ridere quando leggo che «Per la CGIL è una resa rispetto ai propri principi fondativi», come ha scritto Giorgio Cremaschi. I «principi fondativi» della CGIL muovono la mia mano verso la metaforica pistola.
«L’accordo serve a superare ciò che ancora resta della divisione tra lavoratori garantiti e non, naturalmente estendendo a tutti la condizione peggiore. Del resto la flessibilità dei salari e degli orari è ciò che ci chiede la Commissione Europea per proseguire la politica di rigore. L’accordo è la istituzionalizzazione della austerità nei luoghi di lavoro» (G. Cremaschi, MicroMega, 1 giugno 2013). Ma non è vero! L’attacco alle condizioni di vita e di lavoro dei salariati “ce la chiede” innanzitutto il Capitale, nazionale e internazionale, sempre tenuto fermo il carattere relativo – “dialettico” – della distinzione appena stabilita. Bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e al Capitale quel che è del Capitale. Ovvero: è il Capitalismo, bellezza! Di qui, come scrivevo altrove, la necessità per i lavoratori e i proletari europei di abbandonare i sindacati collaborazionisti, di “destra” o di “sinistra”, “gialli” o “rossi” che siano, e di costruire un nuovo associazionismo centrato in modo esclusivo sui loro interessi “corporativi”, pardon: di classe.
«Per capirci», scrive ancora Cremaschi entrando nel merito politico dell’accordo in questione, «è come se la nuova legge elettorale stabilisse che possono candidarsi al Parlamento solo le forze politiche che sottoscrivono la politica di austerità, il fiscal compact e quanto altro serva». L’analogia proposta dal Nostro coglie perfettamente nel segno, ma a suo danno. Infatti, ecco cosa prescrive l’Art. 50 della Costituzione «più bella del mondo» (i gusti non si discutono, forse…): «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Qui le parole chiave sono metodo democratico e politica nazionale. Se ne ricava che la libertà dei «cittadini» è consentita solo dentro il perimetro tracciato con solchi di fuoco dalla legalità borghese, la cui forma politica più “economica” è appunto costituita dal «metodo democratico», e dagli interessi capitalistici. Il partito che, un domani, si ponesse al di là del maligno cerchio del Dominio, e contro di esso, verrebbe dunque con piena legittimità fatto oggetto delle premurose attenzioni del Leviatano, non importa se in guisa democratica o autoritaria – anche qui la distinzione va colta nei consueti termini “dialettici”.
«La ragione di fondo», scriveva Cremaschi in un articolo del 5 maggio, «è molto semplice, l’Europa non è la soluzione, ma il problema. Rovesciare questa Europa è condizione necessaria per riprendere il cammino della democrazia e della crescita sociale. Di questo si devono convincere tutte le forze democratiche che oggi siano davvero intenzionate ad opporsi al governo» (No all’Europa reale, MicroMega). A mio avviso il sindacato e la politica che ha in testa il Nostro, e chi la pensa come lui, per i lavoratori e i disoccupati non sono la soluzione, ma il problema. Il progetto di un associazionismo rivendicativo autenticamente anticollaborazionista fa a pugni con la proposta di Cremaschi di opporsi alla «vasta controriforma della Costituzione repubblicana» – per capirci, quella che all’Art 1 santifica il lavoro salariato. Quel progetto deve necessariamente affermarsi contro il feticismo “costituzionalista”, contro il «metodo democratico», contro la «politica nazionale», non importa se “serva sciocca” della famigerata Troika oppure se rigorosamente nazionalsovranista.
In linea generale non dall’euro o da «questa Europa reale» dovremmo uscire, ma piuttosto è dal Capitalismo che dovremmo per così dire prendere le distanze, puramente e semplicemente. Semplicemente… Solo l’ipnotica potenza del Capitale, la quale ci suggerisce che siamo pulci al cospetto di titani, ci tiene incatenati nella disumana dimensione dello sfruttamento capitalistico. Solo… Una volta Bergoglio disse che «il Capitalismo è l’oppio dei popoli». Difficile dargli torto.

'Per sempre uno di noi!': migliaia in piazza a Parigi per ricordare Clement

 
Cresce la mobilitazione antifascista a Parigi dopo l'aggressione di ieri sera da parte di alcuni naziskin che ha portato alla morte di Clement, studente diciannovenne e giovane militante antifascista ridotto in fin di vita dai colpi ricevuti alla testa e morto oggi pomeriggio in ospedale dopo alcune ore di coma cerebrale. Questa mattina centinaia di studenti e studentesse universitari si sono radunati di fronte alla facoltà di Scienze Politiche, la stessa frequentata da Clement, e hanno ricordato il suo impegno nella lotta antifascista intonando canti partigiani. Nel pomeriggio erano invece due gli appuntamenti lanciati per denunciare la vile aggressione e ribadire l'antifascismo parigino: alle 16.30 circa 2500 persone, tra cui un centinaio di militanti di Action Antifasciste (molti dei quali compagni di lotta di Clement) si sono radunati nei pressi della stazione Saint Lazare (il luogo dell'omicidio) e hanno esposto uno striscione con scritto 'Clement, 5-06-2013: à jamais l'un des notres' ('Per sempre uno di noi') per poi muoversi in corteo verso il luogo dell'aggressione proprio mentre dall'ospedale arrivava la notizia della morte definitiva del giovane militante. Dopo una breve e silenziosa cerimonia carica di rabbia il corteo si è poi diretto al secondo appuntamento lanciato per il pomeriggio da tutte le realtà antifasciste di cittadine, previsto per le 18.30 in piazza Saint-Michel, scandendo ripetutamente il grido 'Clement, Clement, antifa!'.
 In breve la piazza si è riempita di migliaia di persone, militanti, amici di Clement, cittadini sgomenti dalla violenza e dall'odio fascista palesatosi ieri in tutta la sua brutalità; sul posto era stato allestito un palco da cui si sono susseguiti tantissimi interventi, da quelli che ricordavano Clement come un amico o un compagno di scuola a quelli dei suoi compagni militanti. Anche il candidato sindaco per il Partito Socialista, Anne Hidalgo, ha tentato una presa di parola ma ha cambiato idea di fronte alla contestazione levatasi dalla folla che gridava al suo partito di restare fuori dalla manifestazione.
Nel frattempo erano moltissimi i presidi convocati in altre città della Francia per ricordare Clement, da Lion, a Lille, a Marsiglia, a Tolosa.
Successivamente, dalla place St Michel circa un migliaio di antifascist* hanno spontaneamente proseguito il corteo verso il sud della città;  defilandosi tra le viuzze della città, l'hanno attraversata completamente per raggiungere un locale nel 13° arrondissement ove gli assassini di Clément avevano l'abitudine di ritrovarsi.
Il locale era barricato e naturalmente vuoto ma gli antifascisti lo hanno comunque  attaccato  prima di una breve carica della polizia.

Nel tardo pomeriggio, mentre piazza Saint-Michel non accennava a svuotarsi della rabbia per quanto accaduto, il ministero degli Interni ha dato notizia di aver fermato uno dei presunti aggressori di Clement assieme agli altri 6 fermati nel corso della giornata, tutti riconducibili ai gruppuscoli di estrema destra JNR (i Giovani Nazionalisti Rivoluzionari) e Terza Via.

Intorno alle 20 un compagno di Clement ha preso parola dal palco ringraziando la piazza per la grande partecipazione e la risposta immediata, invitando tutti i partecipanti e quanti condividono la necessità di difendere i valori antifascisti ogni giorno a non abbassare la guardia in vista dei nuovi appuntamenti che saranno lanciati nei prossimi giorni.

fonte: Infoaut.org