24.5.13

Infamous Mobb - Muzik 4 the User


Eurogendfor, cos’è la gendarmeria europea?


Il potere dell’Unione Europea non si manifesta solo sulla nostra politica finanziaria ma ora anche su un aspetto importante del nostro convivere civile. Importante ma clamorosamente sottaciuto, ma che noi riteniamo fondamentale affrontare ai fini di capire il quadro complessivo dell’attuale situazione europea.
L’argomento è poco conosciuto, trattato esclusivamente da pochi siti web e completamente marginalizzato, se non proprio ignorato, dai media mainstream nazionali. Parliamo dell’Eurogendfor. Cos’è l’Eurogendfor? Perché è importante Capire di cosa si tratta?

Innanzi tutto, potremmo sostenere con ferma certezza che l’Eurogendfor è la prova provata di quanto la stragrande maggioranza dei cittadini italiani siano completamente all’oscuro del contenuto dei trattati e degli accordi comunitari. L’Eurogendfor viene istituita il 18 ottobre del 2007 a Velsen, in Olanda, con un omonimo Trattato firmato da Italia, Francia, Spagna, Paesi Bassi e Portogallo; a cui in un secondo tempo si è aggiunta la Romania nel 2008. L’arma è formata da agenti provenienti dalle polizie militari dei paesi firmatari, nel caso dell’Italia il corpo dei Carabinieri e ha la sua base operativa sul territorio del nostro Paese, precisamente presso la Caserma “Generale Chinotto” di Vicenza.

Sul sito istituzionale si legge che viene: “costituita per Trattato con lo scopo di rafforzare le capacità di gestione delle crisi internazionali e contribuire alla Politica di Difesa e Sicurezza Comune (PSDC). Eurogendfor può essere considerata come uno strumento integrato finalizzato a condurre missioni di polizia in diversi teatri, inclusi quelli destabilizzati, a supporto dell’Unione Europea (EU), l’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (NATO), le Nazioni Unite (UN), l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europea (OSCE) o eventuali coalizioni ad hoc.”

Fino ad ora questa forza di polizia europea è stata utilizzata prevalentemente in missioni all’estero, come nel 2007 in Bosnia- Herzegovina, nel 2009 in Afghanistan sotto la guida della NATO e nel 2010 ad Haiti in supporto alle Nazioni Unite. Sempre sul sito istituzionale si legge che i compiti principali dell’Eurogendfor riguardano la sostituzione delle forze di polizia locali o il loro rafforzamento nelle situazioni di crisi d’ordine pubblico e impiego in operazioni umanitarie. Quello che potremmo definire il “lato oscuro” di quest’istituzione europea, nascosto dietro la facciata delle missioni umanitarie e del motto: “Lex Paciferat”, è molto preoccupante. Gli agenti dell’arma, che può agire naturalmente sul territorio dei Paesi comunitari, rispondono esclusivamente al Cimin, il Comitato Interministeriale composto dai Ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi firmatari. L’EGF nelle sue missioni ha compiti quasi illimitati: supervisioni, arresti, indagini penali, attività d’intelligence, controllo delle frontiere, formazione di personale, pubblica sorveglianza, protezione di beni e persone; ma, in cima alla lista della mansioni, come sottolineato anche sul sito istituzionale, troviamo le “missioni di ordine pubblico”.

Non pochi intravedono un sottile richiamo in questi scopi principali alla UEO e in particolare alla questione sorta con la dichiarazione Petersberg del giugno 1992, quando il Comitato Interministeriale, riunito appunto a Petersberg (Bonn), approva una Dichiarazione che individuava una serie di compiti, precedentemente attribuiti alla stessa UEO, da assegnare all’Unione Europea; le cosiddette “missioni Petersberg”: missioni umanitarie o di evacuazione, missioni intese al mantenimento della pace, nonché le missioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace, o meglio note come Peacekeeping.
Non è azzardato immaginare come questa forza potrà in futuro essere utilizzata anche in caso di forti scontri di piazza o in caso di rivolta popolare contro il governo in carica, o contro la stessa UE presumiamo. Nei giorni più accesi degli scontri avvenuti ad Atene, nell’ottobre del 2011, molti blog d’informazione greci e anche una radio hanno dato notizia dell’approdo di un contingente dell’Eurogenfor sull’isola di Igoumenitsa. Questa notizia, naturalmente segnalata come falsa e priva di fondamento dal governo greco, è stata ripresa e ritenuta affidabile anche dal documentarista della BBC, David Malone, sul suo blog: “Che differenza c’è esattamente tra Eurogendfor e qualsiasi altra forza mercenaria? Il governo Greco potrebbe ‘invitare’ qualsiasi esercito privato. Non importa come inquadrare Eurogendfor ,la realtà è che il popolo Greco non ha votato a favore di questo trattato e di certo non gli è stato chiesto se è d’accordo che delle forze straniere quasi militari possano operare in Grecia. Se questa storia si rivela essere vera, allora significa che il governo Greco, come tutti i governi nel corso della storia che hanno perso ogni legittimità con la loro stessa gente, cerca il sostegno militare di forze esterne con cui reprimere il proprio popolo. Una volta vista in questo modo, alla fine entra in gioco la parola tirannia. E questa parola ha conseguenze estremamente gravi.”
Leggendo il trattato che istituisce la gendarmeria, i timori espressi da molti prendono consistenza. Secondo l’art. 21 i locali, edifici, archivi, atti, file informatici, registrazioni e filmati di proprietà dell’arma sono da ritenersi inviolabili; l’art.22 garantisce un’immunità da provvedimenti esecutivi dell’autorità giudiziaria dei singoli stati nazionali, estesa alle proprietà ed ai capitali del corpo di gendarmeria, mentre l’art.23 dispone che le comunicazioni non possano essere intercettabili, l’art.28 chiarisce come i Paesi firmatari, rinunciano a chiedere un indennizzo per danni procurati alle proprietà nel corso della preparazione o esecuzione delle operazioni, l’indennizzo non verrà richiesto neanche in caso di ferimento o decesso del personale di Eurogendfor. Infine, ma forse di maggior importanza, l’articolo 29 enuncia: “I membri del personale di Eurogendfor non potranno subire alcun procedimento relativo all’esecuzione di una sentenza emanata nei loro confronti nello Stato ospitante o nello Stato ricevente per un caso collegato all’adempimento del loro servizio”.
Il Parlamento italiano ha ratificato il Trattato il 14 maggio 2010. La Camera dei deputati lo ha approvato con voto unanime: presenti 443, votanti 442, astenuti 1. Hanno votato sì 442. Di lì a poco, anche Palazzo Madama si è adoperato per far passare il trattato che in poco tempo riceve il via libera dell’aula. Il 12 giugno 2010 il Trattato di Velsen entra in vigore nel nostro Paese, all’oscuro dei cittadini, senza alcun dibattito o discussione al riguardo e con il benestare di tutta la nostra classe politica, senza alcuna differenza di partito.

Mario Grigoletti

13 aprile 2013

fonte: Sotto le bandiere del marxismo

13.5.13

Oltre il consentito

 
I rivoluzionari, se non si preparano alla rivoluzione, non sono rivoluzionari
La libertà di questa società ci consente tutto, tranne una cosa: cambiarla!
E’ consentito governare e fare opposizione, aggiungere un posto alla tavola parlamentare o fondare nuovi soggetti politici, indignarsi, votare o astenersi, tifare per qualche strabico giustiziere, fare cortei, agitare pugni chiusi,
lanciare qualche insulto, o qualche secchio di vernice.
O anche qualche sasso, magari a caro prezzo.
Quello che non è consentito è combattere la proprietà,
i suoi padroni e la società costruita sulla proprietà.
La rivoluzione sociale non è consentita.


D’altra parte, la rivoluzione sociale non è frutto di alcuna trattativa, ma dello scontro tra le classi.
La rivoluzione sociale è un atto di forza, superiore a quella che subiamo ogni giorno.

La planetizzazione capitalista è causa ed effetto della crisi.
La possibile via d’uscita dalla crisi sta nell’effetto traino delle “fabbriche del mondo” dell’est e del sudamerica, nell’accelerazione del processo costitutivo dei blocchi economici continentali, e nel conseguente riequilibrio dei rapporti di potenza mondiali.
Un nuovo equilibrio pluripolare postYalta e postcrisi che, se da un lato viene fatto pagare a tutte le sezioni regionali del proletariato mondiale, dall’altro non può che essere prodromo di nuove contraddizioni sempre piu’ ravvicinate e sempre piu’ esplosive, sul terreno della crisi e sul terreno della guerra imperialista.
Un’equilibrio instabile, quindi, come tutti i precedenti, che soffrirà della presenza “in se’” di una classe operaia mondiale già in formazione, estensione, contaminazione migratoria, concentrazione nella metropoli ed in palestra di lotta economica offensiva ad est e di resistenza ad ovest.
In questa situazione, decisiva diventa la coscienza di classe organizzata, come elemento di scioglimento rivoluzionario della contraddizione, e di superamento del sistema capitalistico.
Noi, che non siamo mai stati abbagliati da alcuna “mitica scadenza” temporale, crediamo comunque che il tempo della rivoluzione si avvicini, fino a diventare ormai storicamente attuale, da leggere e mutuare nei tempi politici di insediamento e rafforzamento dell’organizzazione autonoma di classe nella metropoli imperialista.

Di fronte a questa realtà, e a questi compiti obbligati del proletariato, dimostra tutta la propria impotenza e complicità con il potere l’intero cielo politico-sindacale nostrano.
A fronte di un sindacato di stato che si ricompatta intorno alla blindatura della rappresentanza sindacale (e la Fiom? ), chi pensava che con il voto si potessero cambiare le cose ( magari mandandoli tutti ‘affanculo….) in Italia, è stato costretto a ricredersi, di fronte alla ripetitività di accordi ed inciuci riproposti con i medesimi protagonisti ed il solito programma made in U.E..

E la “rivoluzione del web”?
Abile ed arruolata nelle comode poltrone parlamentari, magari con una spolverata di sobrietà e qualche sparuta rinuncia al superfluo.

“L’infermità che riempe gli sfortunati che sono vittime della convinzione solenne che il mondo, la sua storia ed il suo avvenire, siano retti e determinati dai voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l’onore di annoverare tra i suoi membri”
F.ENGELS

Adesso, al traguardo delle regionali di maggio, mentre si moltiplicano liste e candidati, il crogiuolo degli sfigati di destra e di sinistra produce “nuove soluzioni” tanto inutili quanto già viste.
Proprio nel momento storico della piu’ forte insufficienza politica cosi’ asservita all’economia capitalista, proprio quando le decisioni vere vengono prese fuori dagli scranni parlamentari e sempre piu’ spesso fuori dalla nazione, proprio quando gli stessi governi si fanno scrivere il programma a Bruxelles o a Berlino, la ricerca della poltrona perduta diviene quasi ossessiva, risolutoria com’è della propria esistenza personale.
E allora la “creatività” tipica di chi scambia lucciole per lanterne assolutizzando il proprio IO apre e moltiplica i soliti “cantieri senza operai” a destra ed a sinistra, in un profluvio di concorrenti nei mille municipi della falsa democrazia partecipata e del vero parassitismo sociale.
E’ un mescolarsi “plurale” di politicanti e sindacalisti di mestiere, cosche fasciste svendute come “forze nuove”, vecchi “partiti comunisti” appassiti piu’ che rifondati con un minimo comune denominatore: tutti interni al sistema e con nessuna intenzione di trasformarlo.
Sono li a tentar di raggranellare qualche voto nella affollata disputa comunale.
Sono in tanti, liste e candidati, piu’ di sempre.
Proprio ora che regioni, comuni e municipi sono ridotti a carrozzoni parassitari senza piu’ nulla da mungere, se non tasse e prebende ai cittadini.
Proprio ora, in tempi di snellimento funzionalizzante degli apparati periferici della macchina statuale, anch’essa precettata e sovradeterminata dal vincolo europeo.
Nel momento in cui servono di meno, si moltiplicano gli aspiranti consiglieri.
Alla ricerca della poltroncina perduta non arretrano di fronte a nulla, nemmeno alla strumentalizzazione della strage di donne condite col solito letame della sicurezza.
E gli altri, gli “oppositori”, scornati, sfiniti e dispersi in Italia, tentano le strade piu’ strambe incapaci di confrontarsi con la dura realtà di tutti i giorni.

Noi abbiamo tutto un altro programma, quello di stare dentro il movimento reale che impone i tempi della rivoluzione, astenendoci dal parlamentarismo, lottando per resistere e riconquistare diritti e libertà, costruendo l’organizzazione autonoma di classe.

CONTRO LA METROPOLI IMPERIALISTA!
NON VOTARE,  COMBATTI!

Il “dolce stil novo” democristiano di Enrico Letta

 
Appena insediato, il capo del “governissimo” Enrico Letta, nipote di Gianni Letta, “vaticanista andreottiano”, incassa subito il sostegno del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi in merito alla querelle IMU sì- IMU no che vede Berlusconi farne un cavallo di battaglia “a prescindere”.
Il presidente degli industriali, incontrando il premier Enrico Letta (il quale a sua volta aveva visto in precedenza Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia), ha dichiarato che “il taglio delle tasse sul lavoro viene prima che su quelle della casa”. Secondo la Confindustria, bisogna ridurre del 9% la tassazione sul lavoro, facendo perno sulla “neutralizzazione del costo del lavoro dal calcolo degli imponibili Irap.”
La Triplice sindacale si allinea con PD e Confindustria; mentre tocca a Renato Brunetta (capogruppo del PdL alla Camera), ed al presidente di Confediliza Corrado Sforza Fogliani, alimentare le polemiche…Pensate un po’! Polemiche ovviamente nel campo delle priorità borghesi.
Brunetta sostiene che i due obbiettivi di detassare lavoro e casa “sono complementari”, anche perchè: “ per quanto riguarda il lavoro, la legge di stabilità per il 2013 ha già previsto un fondo di 1,2 miliardi per la detassazione dei salari di produttività e ha stanziato un miliardo all’anno per la riduzione dell’Irap. Se a ciò si aggiunge la riforma della legge Fornero e la detassazione delle nuove assunzioni di giovani, tutto è in linea con le richieste delle imprese.”
E -di rinforzo- aggiunge Fogliani: “ Non si strumentalizzi un’alternativa fra lavoro e immobiliare. Le imprese, come accertato in sede ministeriale, godono già di agevolazioni fiscali per una somma che supera il gettito annuale IMU.”
Come si vede, ecco delineato -“pronti via”-  un terreno di scontro tra frazioni borghesi DENTRO l’attuale maggioranza che tira e molla, molla e tira, arriverà in modo “doroteo” ( il grande “Zentrum Democristiano” di andreottiana memoria) a scaricare ancora una volta i costi reali della classe dominante sui proletari.
Come? Semplicemente ritorcendo le diatribe sul “chi paga?” dentro la “flessibilità” del lavoro. Anche se ormai é assodato, ultra-assodato, che da quel versante non uscirà NESSUNA “stabilizzazione” reale per milioni di giovani disoccupati, NESSUNA “garanzia di “buona” occupazione, NESSUNA “tutela” in più nei confronti della voracità infinita del profitto.
La riforma Fornero, passata col consenso Bipartisan in parlamento appena un anno fa, era stata presentata per dare “tutele” ed “opportunità” ai giovani, ricordate? Era stata fatta -tra lacrime ipocrite e manganellate nelle piazze- per “rompere i tabù ideologici” (alias Articolo 18) e “favorire la crescita”, ricordate? Era stata fatta penalizzando “un po’ i padri” affinché essi cedessero qualche briciola dei loro “privilegi” a tutto vantaggio dei “figli”, ricordate? Si era fatta marmellata dei pensionandi e degli “esodati” per “creare lavoro”, ricordate? Una vera e propria operazione di “didattica sociale” condotta da Mario Monti e dai suoi “tecnici”, sotto le ali di Napolitano I…E quelli che oggi lanciano “grida di dolore” per una disoccupazione che si avvicina ai livelli spagnoli, che sono costretti a rimandare sempre più in là un’agognata “ripresa” (che non verrà), che invocano “LAVORO” come ultima spiaggia della “coesistenza sociale”, e che fanno vertici di polizia per “scongiurare” il pericolo “dell’insorgenza”…ieri erano lì a votare la Fornero e a dire che, in fondo, guai a non sostenere quella “riforma”.
Bene, questa gente oggi dov’é? Semplice. E’ sempre lì, a sostenere “il dolce stil novo democristiano” di Enrico Letta. Che suona così: quando non sai proprio uscire dai dilemmi dei “sette vizi capitali”, prenditela col Diavolo che non sbagli mai! Chi é il Diavolo? E’ il “costo del lavoro” perdinci! E come lo si affronta? Con la preghiera ed il digiuno (degli altri). Tradotto: rimettendo mano alla riforma Fornero per renderla più idonea sulle assunzioni “IN ENTRATA”…
Uno dei principali “difetti” imputati alla legge Fornero é la modifica delle pause che devono intercorrere tra un contratto a termine e l’altro. Gli intervalli vennero dilatati da 10 giorni a 60 giorni per i contratti di durata fino a sei mesi; e da 20 giorni a 90 per quelli superiori a sei mesi. Invece di “facilitare” le assunzioni” questa dilatazione ha solo moltiplicato “l’usa e getta” da parte delle imprese. Letta vorrebbe “riabbreviare” le pause, ma -ATTENZIONE- dentro una revisione del cosiddetto “CAUSALONE”, ovvero dell’apposizione della motivazione per l’accensione del contratto.
La Fornero l’aveva eliminato per il PRIMO contratto (liberalizzando di fatto i contratti a tempo determinato).
Ora Letta vorrebbe eliminare le causali (cioé la specificazione da parte dell’azienda dell’assunzione a termine “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”- DLG 368/2001) “semplicemente” ABOLENDOLE ANCHE PER I CONTRATTI SUCCESSIVI !
Siamo all’Ultra-Liberalizzazione delle assunzioni “in entrata”, fatta sempre per agevolare le aziende e far sì che esse “offrano” lavoro ai giovani…
E siccome siamo a parlarne, Letta intende pure eliminare l’aggravio di costo (l’1,4% in più di contributi, indirizzati al finanziamento dell’ASPI) messo dalla Fornero a carico delle imprese che stipulano contratti a termine! Era il paravento della Fornero: via l’ Articolo 18, ma tu impresa paghi di più il precariato! (Era prevista la possibilità  del rimborso fiscale fino a 6 mesi nel caso di stabilizzazione del precario).
Pensate un po’: siamo al punto che il premier PD, attacca da “destra” una legge vergognosamente e spudoratamente antioperaia come quella della Fornero !!!
E questi non è il “rampante” Matteo Renzi, che strizza l’occhiolino al PdL, ma colui che fino a neppure un mese fa era “vice” di Bersani…quindi in tutto e per tutto compartecipe della direzione del partito.
Quando allora diciamo che non ci troviamo ormai più di fronte un problema “opportunista” nel movimento operaio, riconducibile in qualche  modo al “riformismo socialdemocratico” od allo stalinismo del XX° Secolo, ci riferiamo esattamente a vicende di questo tipo; dove, non si tratta più di affrontare un nemico “con una larga e radicata influenza operaia”, ma partiti borghesi  IN TOTO.  Da battere “strappando” sempre le masse all’influenza borghese -su questo il compito generale tale era e tale rimane- ma dentro un quadro profondamente cambiato sia nelle condizioni materiali delle masse stesse, sia nelle forme ideologiche predominanti, e negli approcci necessari per intercettarle e sconfiggerle.
Ma tornando alle intenzioni sul “lavoro” del governo Letta, l’ipocrisia non ha fine.
Egli intenderebbe infatti “mascherare” la “ACAUSALITA’” dei contratti a termine fissando una percentuale massima, o “percentuale tetto” di essi sul totale degli occupati.
Quando tutti sanno che i Contratti Collettivi GIA’ PREVEDONO proprio tali percentuali, le quali non hanno mai garantito un bel nulla o quasi…Anzi, hanno sprofondato nel più bieco aziendalismo la stragrande maggioranza del movimento operaio: sviluppando da un lato concorrenza ed individualismo nella classe, dall’altro una burocrazia piramidale, collusa e corrotta sul versante dei sindacati “storici”…
“Il Manifesto” del 7 maggio richiama giustamente la Spagna:
“Queste politiche generano un effetto “sostitutivo” in peggio nelle condizioni di lavoro, ma NON “AGGIUNTIVO” in termini occupazionali. In Spagna, ad esempio, la percentuale dei contratti a termine sul totale degli occupati è doppia rispetto al resto dell’Europa (circa il 26%), ma doppia o tripla, aggirandosi ormai sul 30%, è anche la disoccupazione totale…”
Peccato che lo stesso quotidiano, cantore della “sinistra-altra” di stampo nazional-riformista, arrivi subito dopo a sostenere la liceità del “buon uso” capitalistico degli stessi contratti a termine !!!
Il che è perfettamente coerente con questi spezzoni “tardo-riformisti” che prima si toglieranno tra i piedi e meglio sarà per il proletariato tutto.
Se pure un magnate finanziario come Mario Draghi, presidente della BCE, arriva a fare il suo bravo discorso “socialista” secondo cui:  “In Europa, da quasi vent’anni, è in atto una tendenza alla concentrazione dei redditi delle famiglie che penalizza i più deboli” ( “lectio magistralis” all’Università Luiss Guido Carli di Milano -6/05/’13) , non abbiamo certo bisogno dei pannicelli caldi di nessun riformista di sacrestia.
Noi chiediamo a tutti di cosa stanno parlando, se la stessa ISTAT “smentisce” le previsioni di governo ed U.E., dal momento che il PIL sarà di segno negativo per tutto il 2013 (-1,4%). E se anche nel 2014 si avesse una “ripresa” dello 0,7%, l’occupazione (quella ufficiale) COMUNQUE passerà dal 11,9% di quest’anno al 12,3% dell’anno prossimo!
Tra l’altro, queste misure “per l’occupazione” di Enrico Letta, ben si sposano con il novello “ricompattamento” confederale (in sintonia col governissimo) sul divieto di sciopero e sul verticismo assoluto dei sindacati di Stato rispetto alla contrattazione ed alla legislazione del lavoro.
Non è un caso che i compagni ed i lavoratori delle Logistiche in lotta per un “semplice” rinnovo contrattuale, o per la difesa di quello già esistente, debbano scontrarsi quotidianamente ai cancelli dei mega-magazzini del Nord Italia non solo con la polizia e le istituzioni, ma anche con l’aperto crumiraggio, per non dire peggio, di CGIL-CISL-UIL.
Non è un caso che a Napoli, città massacrata da una miscela esplosiva di disoccupazione, corruzione e devastazione ambientale e territoriale, i compagni che scendono sul terreno della lotta di classe conseguente debbano fronteggiare la collusione e la ciurmaglia residua dei Confederali: vuoti di rappresentanza operaia, quanto “pieni” dell’ appoggio degli organi statali di repressione (come sempre coadiuvati dai fascisti).
Un Mix micidiale di violenza antiproletaria, che chiama a raccolta i suoi mercenari per non essere a sua volta spazzato via dalle rivolte degli sfruttati che la crisi monta ogni giorno che passa.
Ad esso, dobbiamo opporre lucidità, duttilità e fermezza politica. Coniugare piattaforme di lotta su obbiettivi generalizzati e unificanti (garanzia di salario, riduzione dell’orario a parità di salario, gratuità dei servizi essenziali per i proletari, lotta contro il degrado ambientale) ad un lavoro di conquista al comunismo di proletari e di giovani.
Dobbiamo sviluppare, organizzazione rivoluzionaria per gli appuntamenti decisivi di una lotta che finirà solo con l’abbattimento del capitalismo.

G.G.

9.5.13

Governo Letta e l'escalation repressiva

 
La repressione è una costante per tutti i compagni che lottano quotidianamente in maniera autonoma ed indipendente costruendo l’opposizione sociale e politica – nei territori, nelle scuole, nelle università e nei posti di lavoro – alle politiche di macelleria sociale portate avanti da governi di centro-destra come di centro-sinistra (ancor più da governissimi o “tecnici”).
Ma è sotto gli occhi di tutti come – in poche settimane – la necessità di rappresentare un clima di concordia nazionale e di pacificazione sociale “nell’interesse del paese” rende fondamentale per questo nuovo governissimo reprimere violentemente sul nascere qualsiasi forma di dissenso e contestazione a ministri, governatori locali e sindacati concertativi.
Dopo gli eventi del Primo Maggio a Napoli come in altre città – ampiamente commentati e documentati – e le cariche agli studenti all’interno della Statale di Milano durante lo sgombero dell’Ex-Cuem (biblioteca autogestita) oggi ennesima giornata a Napoli fatta di aggressioni fasciste e cariche della polizia (giusto per dimostrare ancora una volta – qualora fosse necessario – da che parte stiano i fascisti vecchi e nuovi e quale “protezione” e complicità godono delle forze del disordine). Tra i fascisti c’erano esponenti “conosciuti” dell’estrema destra campana (in particolare Salvatore Lezzi, fondatore di Forza Nuova Napoli a processo nel 2003 per aver chiesto tangenti ai disoccupati delle cooperative in combutta con cammorristi) non vergini a queste dinamiche: ricordiamo gli avvenimenti del 10 ottobre 2011 a via Marina di fronte ad uno dei palazzi dell’università che vedono imputati 10 antifascisti che saranno sottoposti alla prima udienza il prossimo lunedì.
Infatti a differenza da quanto detto dai media che nuovamente mistificano la realtà, non c’è stato nessuno “scontro tra studenti e lavoratori” ma cariche congiunte di fascisti e polizia contro chi lotta ed in particolare contro chi questa mattina in presidio era a piazza Plebiscito, fuori la Prefettura, dove era presente il neo-ministro dell’Istruzione, per solidarizzare con i compagni di Milano ieri vittime di cariche violente nell’Ateneo. Le cariche gratuite sono partite dopo il lancio di un casco da parte di un esponente di estrema destra ed alle diverse cariche sono seguiti fermi a diversi compagni, sui quali si sono scagliate inaccettabili violenze ed intimidazioni all’interno della Prefettura.
Ancora nel pomeriggio l’ennesimo episodio che ha visto come protagonista Fiorillo, Vicequestore di Napoli – già resosi “famoso” per le sue violenze ed i suoi atteggiamenti squadristi durante il primo maggio o ancora prima con la repressione preventiva durante il comizio di Bersani in campagna elettorale a p.zza Plebiscito (per approfondire, vai alla nota sotto). Infatti intorno alle 16:00 – mentre il ministro Maria Chiara Carrozza era al Conservatorio San Pietro a Majella – un centinaio di studenti si sono mossi dall’università per fare un volantinaggio itinerante per il centro riguardo agli accaduti della mattina. Una volta giunto a via San Sebastiano, il corteo si è trovato di fronte uno schieramento di una ventina di celerini, capitanati da Fiorillo, che non ha esitato a caricare improvvisamente, senza alcun motivo e in maniera brutale gli studenti. Nella violenza della carica, il signor Fiorillo non si è risparmiato di aggredire, minacciare e rompere la strumentazione ad un giornalista di Napoliurbanblog (video). Intanto gli abitanti e i commercianti di via San Sebastiano, resisi conto dell’assurdità del comportamento delle forze dell’ordine, solidarizzavano con gli studenti.

Oggi ancora più di ieri: Pagherete caro, Pagherete tutto!

fonte: Combat-coc.org

8.5.13

12 maggio 2008 - La retata di Postville

Stati Uniti. Il 12 maggio del 2008, 390 immigrati (di cui 314 uomini e 76 donne) vennero arrestati nello Stato dell'Iowa per il reato di clandestinità. Il reato di clandestinità consiste nell'entrare irregolarmente nel territorio Usa. A causa della volontà di infrangere frontiere chiuse create dal capitale a difesa di fortezze sempre più putride, per questi compagni di classe si aprirono le porte del carcere.
Provenivano per lo più dal Centro America. La maggiorparte di loro per superare il confine dovette pagare ingenti somme di denaro, spesso i risparmi di una vita, a dei "protettori" sorta di bande mafiose locali che gestiscono la fase del superamento del confine trasformandolo in un vero e proprio business.
Dei 390 lavoratori arrestati quel giorno in Iowa, 290 provenivano dal Guatemala, 93 dal Messico, tre da Israele e 4 dall'Ucraina. Tutti lavoravano per conto della Agriprocessors Inc., la più grande industria di imballaggio di carne kosher.
Il raid dell'arresto è avvenuto di mattina,  messo in atto dagli agenti federali dell'ICE (Immigration and Customs Enforcement), un corpo speciale federale che si occupa oltre che del controllo delle frontiere anche del perseguimento dei reati legati alla clandestinità.
Per il numero di persone arrestate, stando a quanto affermato all'epoca da Tim Counts un portavoce dell'ICE [fonte:Henry C.Jackson, The Associated Press], si trattò dell'operazione "più grande di questo genere mai effettuata negli Stati Uniti".
Questi arresti seguirono altre numerose analoghe operazioni, tutte compiute nei mesi precedenti, contro centinaia di immigrati.
Un raid simile fu compiuto anche l'anno prima, quando gli arrestati furono 361, molti dei quali furono successivamente "espulsi e separati dalle loro famiglie" [fonte:'The Des Moines Register', 13 maggio 2008].
I responsabili dell'ICE precisarono che gli arresti erano di tipo "amministrativo": come se l'essere imprigionati per quei lavoratori potesse assumere un significato diverso, meno grave e "meno importante".
Quel lunedì mattina, dall'esterno della fabbrica, qualcuno provò col megafono ad avvisare i lavoratori che stavano entrando che gli agenti dell'ICE erano lì ad aspettarli. "Molti nella fabbrica hanno provato a nascondersi. Alcuni hanno provato a scappare" ma il raid era ormai iniziato. I lavoratori provarono a cercare rifugio nella vicina chiesa cattolica di Postville, a St.Bridget nella quale dopo gli arresti alcune famiglie si rifugeranno con i rispettivi bambini. Nella fabbrica, gli agenti dell'ICE, armi in mano, urlavano di uscire fuori dai nascondigli. Mentre perquisivano, ordinavano di togliersi di dosso qualsiasi indumento pesante, e infine ammenettavano gli operai. [fonte: 'The Des Moines Register, 13 maggio 2008].
L'Agriprocessors venne informata dall'Amministrazione sulla Sicurezza Sociale di discrepanze amministrative per ogni tassa annuale dal 2000 al 2005 riguardanti la posizione contributiva dei suoi dipendenti.
Giudici e avvocati affermavano che la Agriprocessors non poteva non sapere che alle sue dipendenze c'erano immigrati clandestini.
Un'indagine del Dipartimento dei trasporti arrivò a scoprire che un supervisore dell'Agriprocessors costringeva i lavoratori a comprare macchine da lui registrando successivamente le macchine sotto falsa identità.
Il Dipartimento del lavoro individuò seri problemi legati alla sicurezza sul posto di lavoro in fabbrica. 
Le multe inflitte all' Agriprocessors si aggirarono intorno ai 182.000 $, ridotte poi a 42.750 $ dopo che la compagnia concordò di voler correggere parte delle violazioni (che riguardavano depositi dei materiali inadatti, trattamento a mano di composti chimici nocivi, inadeguato addestramento nell'uso delle mascherine respiratorie).
A tutto ciò  si aggiunsero le notifiche dell''Amministrazione della sicurezza professionale' che mostrò documentazioni di incidenti avvenuti in fabbrica tra i quali 5 amputazioni, una dozzina di casi di fratture ossee, ferite agli occhi e perdita di udito tra il 2001 e il 2006. L'aspetto sorpredente fu quello che a far luce su questo sistema di sfruttamento furono organizzazioni e apparati istituzionali: come se anche per la legge dei padroni quanto avveniva a Postville andava troppo oltre lo sfruttamento "consentito".
Degli arrestati, 297 si dichiararono "colpevoli" e vennero condannati. La colpevolezza riguardava l'aver fatto uso di documenti falsificati. Circa 60 lavoratori vennero rilasciati per ragioni umanitarie, mentre altri 20 furono espulsi.[fonte cbs5.com]
I lavoratori immigrati che lavoravano in Iowa hanno molto in comune con gli immigrati che sbarcano sulle coste italiane. Mentre i padroni della Agriprocessors hanno dal canto loro molto in comune con il padronato europeo che come il suo omologo a stelle e strisce, sfrutta la manodopera immigrata cercando di metterla in contrapposizione con quella locale. E'una storia che si ripete: la ricerca di un posto di lavoro, il desiderio di riuscire a dare ai propri figli un futuro più sicuro, la fuga dalla povertà sono tra i motivi che spingono decine di migliaia di persone ad oltrepassare un confine infame.
Una volta giunti a destinazione, le condizioni di lavoro sono le peggiori: sottopagati rispetto ai lavoratori residenti, meno tutele sanitarie, discriminazioni continue, più precarietà, più sfruttamento.
Medesimo è il comportamento dello Stato che adotta l'ipocrita atteggiamento di creare leggi sull'immigrazione che relegano l'immigrato in una posizione che è essa stessa precondizione del suo sfruttamento.
C'è un altro aspetto che accomuna, la repressione e le condizioni dei lavoratori immigrati: come in Italia, anche in America la questione immigrazione è un potente bacino di voti nella campagna elettorale anche se negli Usa questo "ruolo" è attivo perchè le minoranze etniche costituiscono un effettivo bacino di voti, mentre in Italia il "ruolo" è passivo perchè i partiti strumentalizzano il fenomeno immigratorio in funzione del loro tornaconto politico.
Tornando a Postville, quell'anno a seguito degli arresti, ci furono molte manifestazioni di solidarietà in tutto il Paese, rafforzando i movimenti contro la repressione dei lavoratori clandestini. La repressione delle famiglie operaie di Postville è stata una repressione contro tutta la nostra classe. Ce la ricorderemo, nella battaglia finale contro il mostro-capitale. No nation, one class, one struggle.

Combat Genova


Marcel Cartier - "Hip-Hop To The Death"


All Power to the People (8)


Malcolm x

 
Sono pochi coloro che, nel tempo di una breve vita, arrivano ad una conoscenza luminosa passando attraverso persecuzioni e violenza, ma fu proprio così che andò per Malcom Little, i cui anni furono una miscela esplosiva di situazioni estreme e rigore morale. Figlio di un pastore battista ucciso dai razzisti quando Malcom ha sei anni, finisce in riformatorio ancora adolescente e, una volta tornato in libertà, gira da una città all’altra d’America per poi approdare tra gli spacciatori di droga dei bassifondi.
A 23 anni viene incarcerato nella colonia penale di Norfolk, dove avviene la sua trasformazione ed inizia il suo cammino politico. Malcom rimane affascinato dalle teorie sul separatismo autosufficiente dei neri dai bianchi ed entra nella Nation of Islam mentre è ancora in carcere e, quando torna libero, diviene allievo del fondatore del movimento, Mohammad Elijah.
Abbandonato il nome di famiglia per divenire semplicemente Malcom X, si trasforma in un infaticabile predicatore e fa del NOI un gruppo dinamico di musulmani organizzati rigidamente. Nei primi tempi, gli interventi politici del giovane ministro sono soprattutto un opera di proselitismo, che riesce a far salire vertiginosamente il numero degli aderenti al NOI.
I rapporti con il movimento iniziano ad incrinarsi quando Malcom X scopre che Elijah ha una doppia vita, molto diversa da quella ostentata in pubblico, e una visione politica che non ha nulla a che vedere con le nuove prospettive delineatesi all’orizzonte. Il divario si amplia quando manifesta la sua intenzione di sposare Betty Shabbaz, rinunciando così al voto di castità fatto otto anni prima. Nel 1958, il leader nero inizia ad opporsi con maggior decisione allo sfruttamento dei neri e parla diffusamente dei problemi delle classi operaie con Fidel Castro, durante un incontro che avviene all’Hotel Theresa di New York.
Nei due anni successivi, Malcom X si sposta su posizioni più ferme, anche se il suo animo è ancora legato al NOI. Continua nella sua ricerca di una sintesi che unisca il razionalismo al socialismo rivoluzionario afroamericano anche quando la pubblicistica bianca cerca di screditarlo o di contrapporlo al moderato Martin Luther King. L’unica paura che l’opprime è che gli sconosciuti che gli inviano continue minacce di morte facciano del male a Betty e alle tre figlie nate nel frattempo.
Il viaggio alla Mecca coincide con una nuova fase di allargamento della prospettiva politica di Malcom X, che spera di collocare la lotta dei neri nel contesto teorico e culturale di tutti i popoli. Quando torna in America, scampa per miracolo ad un attentato e, in quell’occasione, riceve la solidarietà di Che Guevara, che lo considera un esponente dell’internazionalismo socialista e segue i suoi sforzi per l’affrancamento dei neri americani dalla supremazia bianca.
Nel 1963, Malcom rompe con il NOI, che non approva alcune sue critiche alle politiche di John Kennedy, che è appena stato assassinato. Quando torna a parlare in pubblico, pronuncia il suo discorso più famoso, “La Scheda o il Fucile”, in cui denuncia l’ostruzionismo nei confronti della sua gente, accusa i bianchi di essersi accaparrati il potere economico e prende una distanza netta dalle teorie moderate dei predicatori del Sud. Nei ghetti urbani, i giovani non trovano materia di identificazione con Martin Luther King e guardano a Malcom come l’unico vero leader capace di portare le loro comunità fuori dalla miseria.
Il 21 febbraio 1965 Malcom viene invitato a tenere una conferenza ad Harlem, ma non ha neppure il tempo di iniziare a parlare. Davanti ad un’inorridita Betty, che è in attesa del quinto figlio, e delle quattro bambine terrorizzate, l'ultima delle quali ha solo un anno, due uomini iniziano a sparare verso il palco con fucili e pistole senza che gli uomini della scorta possano intervenire. Mentre Malcom, colpito da 16 proiettili, si accascia al suolo, i due sparatori, Thomas Hagan e Reuben Hayden, si fanno largo tra la folla con le armi in pugno. La vista dei rivoli di sangue che colano dal palco dove il si trova ancora il corpo del leader nero trasformano Betty in una statua di sale, ma non si abbandona a scene scomposte per non impaurire ancora di più le figlie. Il suo dolore esplode soltanto nella saletta dalle pareti color celeste chiaro nella quale le comunicano ufficialmente la morte del marito.
I funerali di Malcom X si celebrano il 27 febbario 1965 ad Harlem e, con parole piene di tenerezza, l’attore Ossie Davis saluta l’amico davanti a più di mille persone. Venti giorni dopo l’inizio del processo ai presunti assassini del marito, Betty Shabbaz dà alle luce Malika e Maalak, le ultime due bambine, destinate a non conoscere mai il padre.
La vedova di Malcom X non ha mai ceduto alla tentazione di diventare un personaggio pubblico ma, nel 1995, accusa Louis Farrakhan, esponente di rilievo del NOI di essere il mandante della morte del marito. Due anni dopo, una delle sue figlie, Quilah, viene accusata di tentato omicidio nei confronti di Farrakan e le viene tolta la patria podestà del figlio di 12 anni, che si chiama Malcom, come il nonno. Il ragazzo ha assorbito il disagio esistenziale della madre e, senza un motivo, appicca il fuoco alla casa dove vive e Betty, che ha riportato ustioni di terzo grado su tutto il corpo, muore dopo quattro giorni di intensa sofferenza. 

L'eredità di Malcolm raccolta dalle Black Panthers

Malcom X non ebbe solo il merito di aver richiamato l’attenzione dei media sulle condizioni dei neri, ma anche quello di aver separato il cuore dalla ragione nella lotta politica. Per le black communities fu una lezione essenziale, dopo la delusione delle marce per i diritti civili. Malcom X aveva conosciuto gli aspetti più feroci della vita e incitava la sua gente a non pregiudicare la loro lotta con atteggiamenti disfattisti.
Tra coloro che ascoltarono il suo messaggio e ne raccolsero l'eredità ci furono Huey P. Newton, Bobby Seals ed Eldrige Cleaver, che fondarono il Black Panthers Party, mescolando al pensiero del leader nero le teorie marxiste. Più tardi, si unì a loro anche Bobby Hutton, che morirà quasi subito in un agguato teso dalla polizia.
Il Black Panthers Party fu certamente una delle organizzazioni più importanti della storia afro americana. Per quattro o cinque anni, il movimento infiammò le tutte le città d’America, poi cominciò la persecuzione, che si iscrisse in un complesso di azioni repressive. L’FBI istituì un vasto reclutamento di infiltrati, organizzato e diretto direttamente da Edgar Hoover, capo dell'agenzia federale, uomo dalla mente complessa, legato al Klan. Il movimento era passato da microformazione a organizzazione internazionale e Hoover lo considerava una minaccia da estirpare.
Per annullarlo, non perse occasione di sfruttare i conflitti fra i militanti, per la verità già presenti da tempo. Nel 1968, gli uffici preposti al controllo del dissenso nero dell’FBI aumentarono di 19 unità. Il loro compito era quello di disgregare e screditare i membri dell’organizzazione e lo assolsero in pieno.
Ma se, all'atto pratico, i Panthers vennero sconfitti, è anche vero che, dopo la fine, entrarono come mito nell'immaginario collettivo.
A sconfiggere definitivamente la voglia di riscatto degli afro americani ci pensò la guerra alla droga di Reagan, che raggiunse una vera e propria isteria. Si trattava però di un paravento mistificatorio, perché il vero scopo era quello di agevolare il flusso di quintali di droga allo scopo di incarcerare liberamente le minoranze. Una volta tradotti in carcere, neri e ispanici vengono avviati alla produzione miliardaria del Prison Industry, altra gallina dalle uova d’oro del sistema. La stampa di regime ha una grande parte di colpa perché ha convalidato per anni il cliché del nero assatanato di crimine e colto solo l’aspetto nichilista dei movimenti afroamericani.
Eppure, nonostante tutto, il pensiero di Malcom X è ancora vivo e rappresenta un passaggio vitale nella storia americana, nel quale si rispecchiano i problemi relativi alle radici del razzismo e le vie verso il riscatto. 

Bianca Cerri

fonte: Sotto le bandiere del marxismo


7.5.13

All'ombra della gobba di Belzebù

Re Giorgio, di solito così loquace quando si tratta di raccordare la cronaca politica e la storia (vedi i suoi continui riferimenti al cosiddetto «compromesso storico» degli anni Settanta, ricercato dai politici della Prima Repubblica per mettere in sicurezza il Bel Paese), ieri è stato fin troppo scarno di parole a proposito della dipartita di Andreotti. Egli ha infatti «affidato alla storia» un giudizio ponderato sulla lunga carriera politica dell’ex Male Assoluto del sinistrismo italiano. Imbarazzo? Tentativo di non esacerbare i già tesi rapporti politici tra i partiti? Strizzatina d’occhio al Movimento pentastellato, il quale non sa dire altro di Belzebù se non ricordare la sua intima amicizia con la Mafia (con la M maiuscola)? L’atteggiamento del Presidentissimo mi appare fin troppo… andreottiano. D’altra parte anche l’attuale «Governo del Presidente» sembra avere un alto tasso di democristianità. Forse tutto si tiene. Forse.
La rete, com’è noto, è il luogo per antonomasia delle banalità e dei luogocomunismi, di “destra” e di “sinistra”, e un personaggio così controverso e ambiguo (?) com’è sempre stato Andreotti, non poteva che confermare questo dato di fatto. Esaltandolo. Appena se ne offre l’occasione, ci si lascia andare al più spietato dei tiri al bersaglio ai danni del capro espiatorio di turno. Non c’è tempo per le sottigliezze analitiche: bisogna scaricare subito la dose di veleno quotidiano contro il Nemico di giornata per sentirsi migliori dell’odiata «Casta», e così calmare almeno un poco le frustrazioni e le angosce. Non a caso le foto che da ieri più impazzano sulla rete sono quelle che mostrano insieme Andreotti e Berlusconi: il vecchio Nemico Assoluto che passa il testimone a quello nuovo. Però «Andreotti è stato un imputato esemplare», ha fatto sapere in lacrime Giulia Bongiorno, l’ex avvocato del gobbo di Roma. Una precisazione davvero degna di Miserabilandia, non c’è che dire.
«Siamo tutti pieni di pregiudizi convinti di pulir l’Italia da tutti i vizi», cantava agli inizi degli anni Novanta Francesco Baccini in Giulio Andreotti, ironizzando sulle feroci accuse che raggiunsero il Divo Giulio non appena rotolò nella polvere dopo mezzo secolo di brillante, onorata e onesta gestione del potere al servizio della Patria – scritto senza alcuna retorica. Quando Paolo Cirino Pomicino deride le «leggende metropolitane» che si sono accumulate intorno alla figura ingobbita del suo ex maestro e leader politico, egli mostra di possedere una statura politica di gran lunga superiore ai detrattori «per partito preso» del grande statista romano.
Grande, va da sé, non sulla scorta del mio metro, ma dal punto di vista degli «interessi generali del Paese», ossia degli interessi delle classi dominanti, i cui statisti sono chiamati ad assecondarne al meglio il potere sociale, anche in rapporto agli interessi delle classi dominanti degli altri Paesi, e ad assicurare la continuità del Dominio.
Onesta gestione del potere nonostante i «compromessi» con la Mafia, con la P2, con Gladio, con il Vaticano e con chissà quanti altri «poteri occulti»? Naturalmente! Di più: onesta anche grazie a quei «compromessi», perché il bene superiore della Patria (detto come sopra), quello che piace tanto ai miei connazionali e che invece ripugna nel modo più tetragono il sottoscritto, ha bisogno che qualcuno si sporchi le mani. Questo non l’ha insegnato Machiavelli, o Aldo Moro (prima della nota beatificazione progressista post assassinio), ovvero Belzebù-Andreotti: questo lo conferma sempre di nuovo la prassi del Dominio, in regime dittatoriale come in regime democratico-parlamentare. Ciò che ha fatto di Giulio Andreotti uno statista non mediocre è stata appunto questa consapevolezza, questa chiara, e a volte esibita (ma anche esorcizzata, con l’ironia) convinzione di «dover portare la croce» per il bene del Paese e del Partito, due beni che per i democristiani naturalmente coincidevano.
«Si può ragionare del ministero Mussolini come di un fatto di ordinaria amministrazione», scriveva Piero Gobetti nel 1922. «Ma il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l’autobiografia della nazione» (Elogio della ghigliottina, un titolo, detto per inciso, che ammicca ai nostri demagogici tempi). Mutatis mutandis, è ciò che si può dire della Democrazia Cristiana e di Andreotti. Chi oppone l’Andreotti «servo sciocco degli americani» all’Andreotti «amico degli arabi e di Gorbaciov»; l’Andreotti «anticomunista» all’Andreotti «aperto alle grandi convergenze con i comunisti»; l’Andreotti amico della Germania all’Andreotti avversario fino all’ultimo dell’unificazione tedesca; l’Andreotti «amico della Mafia» (mitico bacio a Totò Riina incluso) all’Andreotti amico di Falcone e nemico della Mafia (fino al punto di maltrattare la mitica Costituzione Italiana, come sostennero i radicali ai tempi del varo delle leggi eccezionali contro i mafiosi); ebbene chi azzarda un’operazione politica di questo tipo si preclude la possibilità di comprendere l’azione politica dello statista italiano, uno dei più grandi nella storia dell’Italia post risorgimentale, e certamente post Seconda guerra mondiale.
La complessa struttura sociale del Paese, i poteri e gli interessi politico-sociali che vi si sono consolidati nel corso dei decenni, il suo ruolo internazionale e la sua collocazione geopolitica, le sue ambizioni (che gli derivano anche dal retaggio storico) e i suoi limiti oggettivi: questi e altri fattori hanno trovato per tanto tempo in Andreotti un’espressione quasi plastica, com’era accaduto in passato forse solo con Giolitti. All’anima di Belzebù questo spericolato accostamento storico certamente non dispiace, e io non trovo nulla di sconveniente in questo estremo compiacimento.

5.5.13

1 Maggio: da Bagnoli a Torino a Bologna… la musica è cambiata!

La fase storica che attraversiamo da qualche anno a questa parte sta evidenziando come la crisi capitalistica odierna, se da un lato è sinonimo di barbarie sociale, miseria, precarietà e indicibili sofferenze materiali e morali per milioni di proletari, dall’altro, nella sua potenza distruttrice, porta via con sé buona parte delle illusioni, delle vuote retoriche e delle mistificazioni su cui si fonda il sistema di dominio borghese.
Gli episodi del primo maggio a Bagnoli, dove centinaia di studenti, proletari ed operai espulsi dalle fabbriche Fiat e Irisbus che, insieme al neonato Comitato Bonifichiamo Bagnoli, chiedevano di intervenire su un palco sindacale al termine di un corteo tanto combattivo quanto blindato dalle forze dell’ordine sono stati respinti in malo modo dalla coalizione di “larghe intese” formata da Cgil-Cisl-Uil e Questura, rappresenta un piccolo ma importante segnale della fine di questo “piccolo mondo antico” fondato sull’ipocrisia.
D’altra parte, la determinazione con la quale il movimento di classe ha costretto Cgil-Cisl-Uil a interrompere i loro festeggiamenti celebrati sul sangue dei lavoratori e di chi a Bagnoli continua a morire di tumore, di degrado o di precarietà, e le stesse dimensioni del consenso registrato sia nel quartiere che nella metropoli tutta a chi ha infranto il totem della sacralità del “sindacato” e smascherato il reale volto reazionario del manipolo di parassiti di professione che il 1 maggio sono calati sui suoli di Città della Scienza, sono un dato su cui occorrerebbe riflettere non poco.
Democrazia, diritti, partecipazione: queste le maschere con cui da quasi settant’anni la classe dominante e i suoi maggiordomi che si alternano alla guida del governo cercano di abbellire un ordine sociale in realtà basato sulla dittatura del profitto.
Negli ultimi tre decenni i padroni hanno potuto dormire sonni tranquilli elargendo qua e là briciole ai proletari e contando da una parte sul riformismo e dall’altra sul sindacalismo confederale come alleati sempre più preziosi ed insostituibili nel compito di disarmare il movimento di classe, corromperlo dall’interno, chiuderlo nella gabbia delle “compatibilità”, dei compromessi più o meno storici e dei “patti tra produttori”, svenderne le lotte, frenare ogni spinta per una reale trasformazione dell’esistente e conseguire quel clima di “pace sociale” che da sempre è stato utile solo al capitale: il tutto condito con  qualche sciopero di facciata o qualche frase altisonante di denuncia degli “eccessi” antiproletari dei governi di destra.
Restava poi il supremo rituale del “responso delle urne” per attestare una volta ogni cinque anni che lo Stato fondato sulla dittatura del profitto godeva tutto sommato di buona salute e del consenso di larga parte della popolazione, ivi compresa la classe sfruttata. In ultimo, ogni attacco al salario poteva sempre essere giustificato in nome di sacrifici necessari a raggiungere la tanto agognata Unione Europea fondata sui parametri di Maastricht e sui dogmi monetaristi imposti dal grande capitale finanziario e bancario.
Per circa trent’anni, a partire dal riflusso del grande ciclo di lotte dei decenni ’60 e ’70 sancita nell’immaginario collettivo con la sconfitta degli operai Fiat nel 1980, questo film è andato avanti senza significativi intoppi, portando a innumerevoli e forse inimmaginabili vittorie da parte di un fronte padronale che quasi senza colpo ferire nel breve volgere di qualche lustro ha riportato indietro l’orologio della storia distruggendo tutte le conquiste e le garanzie salariali dirette e indirette strappate dal movimento operaio con dure lotte (scala mobile, contratti collettivi nazionali, stabilità occupazionale, servizi sociali, libero accesso a scuola e università, ecc.) e dando vita a un gigantesco travaso di ricchezze a scapito dei salari e in direzione dei profitti.
Oggi quel film sta iniziando ad interrompersi, per il venir meno di quei fattori di equilibrio che finora ne hanno garantito il perpetuarsi: il riformismo, in tutte le sue vesti, gradazioni e coloriture, è alle corde poiché impossibilitato dalla crisi a svolgere il suo ruolo di dispensatore di briciole; le elezioni segnano il tracollo di tutte le forze politiche pienamente organiche al sistema e l’aumento esponenziale dell’astensionismo è solo in parte frenato dal “boom” del M5S; il post-elezioni, con la pagliacciata della rielezione di Napolitano ed il bis della grande coalizione con la staffetta tra Monti e Letta svela in tutta la sua flagranza l’inutilità delle urne; resta (o meglio restava) in piedi l’inganno di Cgil-Cisl-Uil, le quali nella foga di rincorrere sua Maestà Confindustria e convincerla della necessità di un “patto tra i produttori” sono evidentemente andate troppo in là, invitando i padroni a salire con loro sui palchi del primo maggio, accettando finanche lo schiavismo del “modello Marchionne” epurando ogni (residua) voce di dissenso interno nell’illusione di garantirsi il via libera anche sull’ennesimo colpo di mano liberticida sulle regole della rappresentanza: tutto ciò proprio nel mentre milioni di disoccupati, cassintegrati e licenziati sono ridotti alla fame.
La corda a furia di tirarla si spezza, e a spezzarsi il primo maggio non è stato tanto il filo tra sindacati di Stato e movimento di classe (oramai inesistente da tempo) quanto il guinzaglio che per troppo tempo ha legato i vertici sindacali a milioni di loro iscritti per mezzo di prebende, clientele o, quando necessario, ricatti ed intimidazioni di ogni tipo.
Chiunque abbia a cuore le sorti dei milioni di uomini e donne che ogni giorno pagano sulla loro pelle le politiche di austerity non può che rallegrarsi di quanto avvenuto a Bagnoli, a Torino con l’invasione del palco da parte di centinaia di precari, a Taranto dove il “comitato cittadini liberi e pensanti” ha rubato la scena a Cgil-Cisl-Uil che vanno a braccetto con Riva e chiamano “diritto” far morire di tumore gli operai e le loro famiglie in nome dei profitti dell’Ilva, o a Bologna, dove la nuova generazione operaia della logistica ha per l’ennesima volta dato dimostrazione della sua abnegazione essendosi in gran parte liberata dalla cappa pestifera dei confederali apertamente collusi con i boss e i caporali del “sistema-cooperative”.
La tristezza non può che lasciar spazio alla gioia, nel vedere che questi parassiti (eccezion fatta per il big event di Piazza San Giovanni) non riescono a riempire una piazza neanche a suon di canzonette e nemmeno facendo esibire alcuni pezzi da 90 della musica italiana!
Il merito più grande del Comitato cassintegrati Fiat e di Resistenza operaia Irisbus presenti a Bagnoli è stato proprio questo: far cadere il mito di quella presunta contrapposizione tra “studenti contestatori e violenti” da una parte ed operai “responsabili e compatti a difesa del sindacato”. A difendere le malefatte di Cgil-Cisl-Uil il 1 maggio a Bagnoli non c’era più nessuno, eccezion fatta per la polizia e il ridotto manipolo di mercenari del loro servizio d’ordine: persino alcuni artisti esibitisi hanno preso le distanze dopo aver assistito alla cacciata in stile militare di un cassintegrato colpevole di non avere nulla da festeggiare, e persino un’assessore comunale si è “sfilata” dopo aver assistito all’aggressione a chi, nella giornata internazionale dei lavoratori, voleva prendere la parola per denunciare il dramma sociale della precarietà, dei licenziamenti e della devastazione ambientale.
Finora si tratta di episodi ancora di dimensioni limitate, ma il trend delle lotte è senz’altro in ascesa, e se i nuovi piani di macelleria sociale prospettati da Bce e governo Letta prendessero forma nei prossimi mesi, è probabile che questa volta  pezzi consistenti di proletariato ridotto alla fame non resteranno di nuovo a guardare…
Il re è nudo: il tempo delle mediazioni, degli appelli alla “responsabilità” e dei compromessi-truffa è finito!
Il proletariato, vecchio e nuovo, oggi come non mai non ha nulla da perdere se non le proprie catene!
Spetta a una nuova generazione di comunisti rivoluzionari il compito di riorganizzare in maniera autonoma il fronte di classe, collegare ed unificare le lotte, rafforzare l’opposizione ai piani dei governi e delle istituzioni locali, nazionali ed europee e costruire quell’organizzazione politica dotata di un programma e di una prospettiva volta a spezzare una volta per tutte le catene dello sfruttamento capitalistico.

3-5-2013
Comunisti per l’Organizzazione di Classe