30.1.13

Médine - Self Defence


"La pantera è stata scelta come simbolo perché si tratta di un animale nero e magnifico che non attacca, ma si difende ferocemente"

Per una rivoluzione INCIVILE

Vogliono una “rivoluzione” civile.
Cioè una “rivoluzione” che rispetti vite, proprietà e valori dei padroni.
Vogliono una “rivoluzione” che difenda democrazia e diritto, legge e costituzione.
La stessa democrazia imbrogliona, lo stesso diritto formale, la stessa legge ineguale, la stessa costituzione antioperaia.
Tutte istituzioni contro di noi.
Come contro di noi sono i promotori della “rivoluzione civile”:i magistrati. Nostri inquisistori, persecutori, carcerieri da sempre: nostri nemici!
Anche noi siamo per la rivoluzione.
Magari un po’ meno civile.
Che rispetti poco, o niente, vite, proprietà, diritto e leggi dei padroni. Anzi, che le infranga, che le soppianti, che le superi. La nostra rivoluzione incivile non vuole l’applicazione della democrazia borghese, della legge e del diritto dei padroni, ma vuole farne a meno.
Vuole combatterle!
La nostra rivoluzione incivile comincia dove finisce la libertà dei padroni, e dei loro servitori, politici o magistrati che siano.

Combat/Comunisti per l’organizzazione di Classe
combat-coc.org

2013: Questo mondo non ci piace e ci sta stretto

Questo mondo non ci piace, e ci sta’ stretto. A difenderlo, a riformarlo, ad abbellirlo, a diffonderlo, a tentare di renderlo eterno ci pensa il capitale, la sua borghesia, le sue religioni.

Il caleidoscopio elettorale moltiplica i suoi colori.  Su tutti, domina, decide, vincola ed impone l’azzurro europeo, cabina di regia per ogni governo nazionale.
L’offerta politica stinge dal presidenzial-Montiano tricolore di stato alle varie declinazione del rosso parastato, dal bianco fiore exscudocrociato al verde riciclato all’arancione magistrato, al nero prezzolato.
Il passaggio alla terza repubblica della sobria obbedienza europea ritarda i tempi della mancata affermazione di un vero bipolarismo, scatenando liste ed appetiti parlamentari alla ricerca della poltrona perduta o agognata.
E cosi’, mentre gli effetti della crisi mordono le carni del proletariato, si gioca la carta della lunga campagna elettorale condita di false “novità”, di solite promesse e dei rimandi già visti, nel tentativo bipartisan di arginare la protesta astensionista. La italica politichetta prova a far scordare scandali e tangenti mentre il mondo bolle, inseguendo la sua “pacifica” guerra mondiale economica, commerciale e finanziaria.
E’ la terza guerra mondiale capitalistica, fatta fare con le armi e per procura nelle aree decentrate ( ma di strategico interesse ) del pianeta, combattuta nella battaglia tra colossi industriali e del credito sul resto del mercato mondiale.
La sola costante è che a pagare è il proletariato, arruolato e massacrato su tutti fronti, o democraticamente sfruttato in tutte le officine del mondo. L’altra costante è che, a parte le nascenti lotte dell’est e le imponenti sollevazioni nel mondo arabo, il proletariato subisce in silenzio, orfano dell’internazionalismo e disarmato da ogni organizzazione di classe.
Anche nell’ Europa della crisi del debito la nostra classe non è riuscita a produrre una risposta adeguata al livello dell’attacco finale sferrato dalla borghesia nel tentativo di superare la propria crisi scaricandone gli effetti sugli sfruttati.
Tentativo in gran parte riuscito, purtroppo, nonostante le litanie di chi a chiacchiere “non vuole pagare debito e crisi”, e nonostante gli eroici tentativi di rivolta occasionale di settori precari e giovanili in Grecia, in Spagna, ed anche in Italia.
In Italia, in particolare, prosegue il lungo ciclo del profondo riflusso, rotto da episodiche, frammentate e scoordinate reazioni di classe spesso tese ad un autolesionismo operaio che nella spettacolarizzazione sostituisce forma e sostanza della lotta.
D’altra parte, la storia e la tradizione oscillante tra massimalismo e opportunismo della politica e dei partiti di “sinistra” italiana non poteva produrre altro. All’integrazione statuale del sindacalismo confederale corrisponde l’ormai storica ed assodata inadeguatezza del sindacalismo autonomo e di base, pari solo alla sua irrisolvibile rissosità interna.
A questo sconsolante panorama aggiungiamo la crosta rugginosa di un movimentismo diviso tra la pletora degli inutili partitini comunisti precotti ed in vena di esplorazioni elettorali “alternative”, e la vecchia canzone “autoorganizzata” sull’eterno “rilancio delle lotte” tanto volontaristico quanto virtuale. Certo, una situazione sconfortante, ma non insuperabile. Il tempo, e la crisi, lavorano per noi!
La scarnificazione sociale scopre i nervi della crisi, consegnandoci una realtà senza mediazioni, piu’ visibile e chiara agli occhi del proletariato.
Gli strumenti della delega e della democrazia risultano logori ed inservibili.
La stessa chimera elettorale ammalia sempre meno, nonostante l’opera infame dei recuperatori di sistema.
Negli ultimi anni, dentro le lotte nella crisi e nel ciclo della ristrutturazione, sta emergendo una nuova leva operaia contaminata da lavoratori migranti, precaria e senza nulla da perdere, cosi’ come si è approfondita la riflessione e la voglia di “riprovarci” di numerose avanguardie operaie dei cicli di lotta passati.
E’ questa l’ossatura del “partito informale” in costituzione, che non si accontenta del mugugno isolato, dell’azione spettacolare, della protesta astensionista contro la casta. Bisogna andare oltre il consentito, oltre il compatibile.
Alla maturità storica della società senza classi, della possibile comunanza dei mezzi di produzione e dei beni di consumo, va fatta corrispondere la maturità politica del processo aggregativo di classe, di riconoscimento di classe in se e per se, di costituzione organizzativa stabile delle avanguardie operaie sul terreno del potere.
L’avvio di una tendenza organizzata separata e distinta da quelle di tutte le altre classi, rivoluzionaria ed antiparlamentare, è all’ordine del giorno, ed all’ordine del nostro impegno quotidiano.

Combat/Comunisti per l’organizzazione di classe     5.1.’12
combat-coc.org

Teresa, la camiciaia della Bovisa, prima vittima (dimenticata) della violenza fascista

Di lei, per oltre novant’anni, non ha parlato più nessuno. Dimenticata sino ai giorni nostri quando, grazie al prezioso lavoro di ricerca dei compagni anarchici, in particolare Marco Rossi e Tommaso Marabini, il suo sacrificio è stato riscoperto, riportandone la figura al posto che le spetta nella memoria di classe, martire ed esempio per le avanguardie rivoluzionarie.
Teresa, una data: 15 aprile 1919.
Teresa, una della nostra classe: operaia della roccaforte proletaria della Bovisa, quartiere in cui come gruppo e giornale abbiamo messo le radici nel 2003.
Teresa, una militante: affronta in piazza lo squadrismo fascista.
Teresa, fiore rosso reciso: prima vittima di sempre del fascismo.
Teresa, operaia cucitrice: è già schedata dalla polizia quando, in quel 15 aprile, va nella piazza occupata da fascisti e futuristi.
Milano, 15 aprile 1919. Socialisti e Camera del Lavoro proclamano uno sciopero generale con comizio all’Arena in protesta contro la repressione poliziesca avvenuta due giorni prima. Alle ore 16 circa, come scrive Salvemini, “dopo che il comizio socialista si era sciolto, una parte della folla che ostentava bandiere rosse e nere e ritratti di Lenin e dell’anarchico Malatesta, si mise in marcia verso il centro della città. È chiaro che gli spartachisti e gli anarchici si erano messi d’accordo per organizzare una dimostrazione senza il concorso dei socialisti di destra e dei massimalisti”. Tra via Mercanti e via Dante l’agguato. Trecento, forse quattrocento (nove su dieci sono arditi – ufficiali studenti del Politecnico ed aderenti alle associazioni tricolori, guidati dal federale Vecchi – uno su dieci è futurista, li guida Marinetti) provenienti dalla redazione de «Il Popolo d’Italia» di via Paolo da Cannobio armati di mazze ferrate, pugnali, pistole, bombe a mano, confluiscono verso il centro cercando ed ottenendo lo scontro coi manifestanti, mentre carabinieri e militari lasciano fare.
Galli Teresa di Alessandro, nata nel 1899, professione operaia cucitrice in bianco alla ditta Gioia di via Lepontina, residente a Milano in via Riparto Bovisa 83. Quel giorno è nel corteo di spartachisti e anarchici. I fascisti sparano. Un proiettile le attraversa la nuca, Teresa cade, è la prima vittima della bestiale violenza fascista. Colpendo un’operaia, una donna, la reazione in camicia nera mostra da subito quelli che saranno i suoi connotati: antiproletari, controrivoluzionari, sessisti. Le bestie fasciste, non contente, si dirigono alla sede de «L’Avanti» in via San Damiano devastando, incendiando ed uccidendo. Alla fine della giornata si conteranno quattro vittime.
Quel giorno segna l’inizio di un quarto di secolo di morte e distruzione; e poi ancora per i decenni che seguiranno, ad opera dei loro degni eredi neofascisti.
Teresa. Funerale civile, sepolta al Musocco accompagnata dalle bandiere dei socialisti della Bovisa.
Un labirinto sotterraneo.
Una luce nel buio, non può essere che là.
Teresa che ci guarda. Due occhi sognanti. Bellezza travolgente, al tempo stesso semplice. Sguardo dolce. Sangue nostro che scorre, viva, ritrovata, al nostro fianco nelle lotte di ogni giorno, fondamenta del mondo che faremo, che bel mondo sarà con delle fondamenta così… Nel salutarla ci sfugge una lacrima.
A.P.

[da 'PagineMarxiste' n°31 settembre '12]

"Quello che sono tu non lo sai/Cosa vuol dire Tu non potrai/Questa è la mia vita e non capirai mai"


Rivoluzionari/e: Big Bill Haywood


William Dudley Haywood, noto come Bill o Big Bill Haywood (Salt Lake City, 4 febbraio 1869 – Mosca, 18 maggio 1928), è stato un sindacalista statunitense.
Le parole di un minatore irlandese e l’esperienza in miniera insegnano all’adolescente Bill i rudimenti della lotta di classe e lo portano a entrare nei Knights of Labor, la prima vera organizzazione di massa dei lavoratori negli Stati Uniti. Nel 1896, quando ormai la repressione aveva pressoché spazzato via i Knights of Labor, Haywood entra nella Western Federation of Miners (Wfm), il combattivo sindacato dei minatori metalliferi dell’Ovest, nato tre anni prima. Nella Wfm, Haywood viene eletto segretario-tesoriere nel 1901. Ne diventa anche la figura più popolare: grande e grosso, generoso, pieno di energia, spirito combattivo e oratore trascinante, si conquista la fiducia dei minatori in lotte di grande violenza. Diventa figura di portata nazionale: nel 1905, sotto la sua presidenza, si apre a Chicago il “Congresso continentale della classe operaia”, l’atto fondativo dell’Iww, cui la Wfm contribuisce con il contingente operaio più numeroso.
Da quel momento e fino al 1920, la storia personale di Big Bill Haywood è indissolubile da quella dell’Iww. E’ una storia a tratti esaltante, in occasione di grandi vittorie come quelle dei minatori di McKees Rocks o di Spokane del 1909 o dei tessili di Lawrence del 1912; e a tratti deprimente, come nel caso della lunga, straordinaria lotta dei setaioli di Paterson del 1913, finita con la sconfitta. Spesso Haywood finisce sul banco degli imputati, come quando nel 1906 viene letteralmente, illegalmente deportato dal Colorado all’Idaho perché una montatura di padroni minerari, autorità politiche, polizia e agenti Pinkerton lo accusa di essere stato uno dei mandanti nell’assassinio del governatore dell’Idaho. In altri casi le accuse non sono così potenzialmente disastrose, ma l’antisindacalismo padronale con cui tribunali e politica sono largamente conniventi – non sempre e non del tutto, per fortuna, come racconta lo stesso Haywood – rendono assai dura la vita a lui e ai suoi compagni.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, gli Iww e i socialisti statunitensi (incluse le diverse componenti “nazionali” che del Partito socialista facevano parte) si dichiararono contro la guerra. E nel 1917, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti – e dopo la vittoria della Rivoluzione in Russia – un’ondata di sciovinismo patriottico e di “paura dei rossi” scatenò contro di loro e contro gli anarchici una repressione forsennata. Più ancora degli anarchici (cui peraltro venivano spesso accomunati) gli Iww o wobblies furono destinatari di una violenza senza precedenti: sedi razziate e distrutte dalla polizia; militanti linciati, picchiati, incarcerati a centinaia. La legge sul “sindacalismo criminale” fu scritta apposta per loro. Più in generale, grazie alle leggi di emergenza varate ad hoc (“sulla sedizione”, sullo “spionaggio”, sui “commerci con il nemico”….) migliaia di oppositori di sinistra furono processati e finirono in carcere, centinaia furono deportati nei paesi da cui erano venuti; giornali e riviste di sinistra furono sequestrati e distrutti, soppressi, censurati o esclusi dall’accesso alla spedizione postale. Archivi, corrispondenza, carte, registri delle organizzazioni – dell’Iww in particolare – furono sequestrati o distrutti. “L’Iww era paralizzata”, ammise Haywood nel 1920. “Il ministero della Giustizia aveva sbatacchiato l’organizzazione come un bulldog sbatacchia un sacchetto vuoto”.
Lui stesso, a quel punto, era stato in carcere per quasi due anni. Uscito su cauzione, e ormai stanco, malato di diabete, sofferente di ulcera allo stomaco, organizzò l’Ufficio di difesa legale dell’Iww. Con una situazione familiare difficile, tornò anche a bere. Dopo un’iniziale fase positiva cominciò a perdere colpi e i compagni che lo aiutavano, privi dell’esperienza dei vecchi militanti in carcere, non erano in grado di ovviare alle sue trascuratezze e sviste, ai suoi errori e alla sua stanchezza. Inoltre, le tensioni interne a quanto rimaneva dell’organizzazione erano acutizzate dalle difficoltà economiche e legali e da divergenze operative. Della sostituzione di cui fu oggetto, con ritegno, scrive solo che “segretario del Comitato generale di difesa venne eletto John Martin”. Mentre faceva giri di conferenze per raccogliere fondi e tenere viva una qualche opposizione, giunse a conclusione il percorso legale che lo riguardava. La condanna a vent’anni di galera avrebbe messo fine alla sua libertà su cauzione.
Invitato dai bolscevichi a espatriare nella Russia sovietica e a partecipare al varo dell’Internazionale sindacale rossa, Haywood – che dice di avere partecipato alla fondazione del Partito comunista negli Stati Uniti nel 1919 e di essersi iscritto al partito – decise di lasciare il paese. Furono una cinquantina gli wobblies che si diedero alla macchia, rifiutando di tornare a scontare pene definitive; ma la fuga di Big Bill fu il caso più eclatante e doloroso. In questo modo, i compagni che avevano anticipato la cauzione perdettero il denaro depositato a suo favore. Il Partito comunista avrebbe dovuto “saldare” il debito contratto da lui, ma non lo fece mai, lasciando aperta una ferita nella storia dei rapporti dell’Iww con Haywood e con i comunisti che non si sarebbe mai sanata. A più di cinquant’anni di distanza, Fred Thompson ne parlava ancora (e ne scrisse) con evidente rancore politico.
Il 31 marzo 1921, Haywood si imbarcava con un passaporto falso a Hoboken, sulla sponda del New Jersey di fronte a Manhattan, sulla Oscar II diretta a Riga, in Lettonia. Uscito sul ponte proprio mentre la nave passava davanti alla statua della Libertà, scrive: “Salutando la vecchia megera con la sua fiaccola levata, pensai: ‘Addio, per troppo tempo mi hai voltato le spalle. Me ne vado nel paese della libertà’”. Il racconto autobiografico di Big Bill Haywood finisce qui. Le ultime poche righe sono dedicate al primo incontro con Lenin, avvenuto qualche giorno dopo l’arrivo a Mosca: “Avevo chiesto al compagno Lenin se le industrie della Repubblica dei Soviet sono dirette e amministrate dagli operai. La sua risposta fu: ‘Sì, compagno Haywood, è questo il comunismo’”. Col senno di poi, pochi gli avrebbero perdonato quella fiducia, che pure tanti altri allora condivisero.

28.1.13

M.Basso - Imperialismi in leasing

Francia e Inghilterra, grandi potenze dell'inizio del secolo scorso, sono percorse da furori guerrieri. Ad esse si aggiunge l'imperialismo italiano, che, come il cuculo, cerca di inserirsi nelle guerre altrui.
La guerra libica, tuttavia, ha dimostrato che Francia e Inghilterra (e a maggior ragione l'Italia), pur unendo le loro forze, non sono state in grado di condurre fino in fondo una guerra contro un paese di pochi milioni di abitanti senza l'appoggio USA. E questo in una zona d'interesse vitale per i tre imperialismi.

Cameron sogna di ripetere il successo della Thatcher nella guerra delle Falkland–Malvinas, ma è improbabile che Obama voglia aprire un altro fronte in America latina e tutto si risolve in chiassose proclamazioni nazionaliste.
Anche al tempo della guerra delle Falkland-Malvinas il supporto americano fu indispensabile, perché la Gran Bretagna aveva smantellato gran parte delle sue portaerei. La Nato le assegnava il compito prevalente di combattere i sommergibili della flotta nord dell'URSS. La Gran Bretagna rinunciava al sogno dell'impero e accettava una forma di subordinazione agli USA, che mantenevano uno schieramento globale, una soluzione calcolata e giustificata, almeno sulla carta, dalle esigenze Nato. Si trattava di un adeguamento dello schieramento militare alle possibilità economiche dell'Inghilterra. La guerra con l'Argentina interruppe tali sviluppi, risvegliando velleità imperiali. Oggi, le ambizioni del governo inglese vanno al di là delle sue possibilità reali.

In Francia, sull'intervento in Mali si è formata un'union sacrée che va dalla destra di Le Pen al PCF e all'Union de Gauche. Sarkohollande non ha preoccupazioni di autonomia, chiede fin dall'inizio l'appoggio USA e l'invio di droni.
La Francia potrà anche occupare zone importanti dal punto di vista strategico e minerario, ma dovrà sempre dividere le spoglie col padrone americano. Si tratta di un imperialismo in leasing, come quello inglese, per non parlare dell'Italia. Per ora, gli Stati Uniti mettono a disposizione tre aerei per il trasporto truppe, e pare che abbiano chiesto il pagamento del servizio (Manifesto, 24-1 2013).

L'aiuto americano, dunque, costerà caro, l'appoggio logistico, i rifornimenti di armi e di droni peseranno sul bilancio francese. Gli USA hanno sempre guadagnato tutte le volte che l'Europa era in guerra.

L'Italia mette a disposizione 2 aerei e una o più basi aeree. Ci stanno portando ancora una volta in guerra e gran parte dell'opinione pubblica neppure se ne accorge. Come il solito ci racconteranno che questi aerei svolgono una funzione solo di avvistamento e ricognizione. Come in Libia? Ma un giornale della borghesia, Il Sole 24 ore ha confermato che si trattava di una spudorata menzogna e che i bombardamenti ci sono stati.(1) La cosa più probabile e che, come in Libia, l'Italia finisca col pagarne le spese senza avere i vantaggi sperati. La nostra classe dirigente non impara nulla, neanche dalle esperienze più chiare.
Le menzogne non hanno fine: il ministro Terzi ha giustificato l'intervento d'urgenza con la necessità di offrire “supporto logistico” all’azione militare francese in Mali. E ha dichiarato che non ci sarà alcuno spiegamento di forze. Ma un articolo di Carmine Gazzanni lo sbugiarda. Urgenza? Il decreto, approvato il 16 gennaio fu presentato a dicembre, assai prima dell'intervento francese, con un finanziamento di circa due milioni di euro per “iniziative per il Mali” nel teatro operativo”. E dalla scheda tecnica sembra previsto l'uso di militari.(2)

Un'altra considerazione: quando gli Stati Uniti avevano un'economia in pieno sviluppo, i paesi vinti e occupati, grazie allo sfruttamento della forza lavoro e agli investimenti americani, avevano un grande sviluppo. Si pensi ai boom di Giappone, Germania, Italia. Oggi, in piena crisi, i paesi occupati sono lasciati in completa devastazione, in preda a bande e a signori della guerra. La Nato è il principale fattore di instabilità politico-militare a livello mondiale.
Inoltre si estende di continuo l'area della guerra: Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria, Gaza, Yemen, Somalia, Libia, Mali... Prima o poi arriverà nelle metropoli. Non si può portare di continuo la guerra e la devastazione in altri paesi e sperare di rimanere fuori dal caos.
La Francia è il paese imperialista europeo momentaneamente più coinvolto. Solo piccole minoranze hanno saputo mantenere posizioni internazionaliste e denunciare il carattere imperialista della guerra.

I compagni francesi possono trovare nel loro passato grandi esempi di opposizione alla guerra, anche se non necessariamente marxisti ortodossi. “Monatte... uno dei redattort di “La Vie Ouvrière”, periodico sindacale - scrive Trotsky - neppure per un istante si orientò verso una conciliazione con il militarismo e con lo stato borghese... Rosmer che apparteneva anche lui alla scuola anarco-sindacalista, ma, come dimostrarono gli avvenimenti, era già molto più vicino al marxismo dei guesdisti.”
La collaborazione tra i gruppi che pubblicavanoo “Nasce Slovo” e “Vie Ouvrière” durò fino alla partenza dei russi nel 1917. Bourderon, segretario della federazione dei bottai, il giornalista Guilbeaux, il socialista Loriot, Rosmer, Martov e Trotsky si incontravano regolarmente. Con questo piccolo gruppo di sindacalisti e socialisti francesi e di esuli russi stabilirono un contatto il deputato socialista Morgari e lo svizzero Robert Grimm, per preparare la conferenza di Zimmerwald.(3)

Ovviamente la situazione attuale è inconfrontabile con quella della Iª guerra mondiale, ma è sempre utile studiare le grandi lotte del passato. Dimostrano che anche gruppi piccoli possono avere grande rilievo, se le loro posizioni coincidono con gli interessi storici del proletariato.

Cosa possiamo fare qui in Italia? Denunciare senza mezzi termini i complici dei militaristi. Per esempio lo sciovinismo “bonario” di Bersani. Secondo il Consiglio di sicurezza dell'Onu, dall'Africa subsahariana passa un ingente traffico di droga, Bersani ne conclude: “Non possiamo accettare di lasciare il mondo in mano a criminali”. Con tale criterio, bisognerebbe invadere il Messico e la Colombia, il Kosovo, il Montenegro... E se si tratta di combattere il crimine, perché non cominciare da casa nostra, visto che quanto a criminalità organizzata non siamo secondi a nessuno?

Michele Basso
24 gennaio 2013

Note

1. Gianandrea Gaiani, “Il generale Bernardis: le notizie sui raid italiani in Libia furono censurate dal Governo Berlusconi, Notizie > Italia, Il Sole 24 ore, 29 novembre 2012
2. “Leggiamo l’articolo 1, comma 17 del decreto: “È autorizzata, a decorrere dal 1º gennaio 2013 e fino al 30 settembre 2013, la spesa di euro 1.900.524 per la partecipazione di personale militare alla missione dell’Unione europea denominata EUCAP Sahel Niger, di cui alla decisione 2012/392/PESC del Consiglio del 16 luglio 2012, e alle iniziative dell’Unione europea per il Mali”. Chiaro. Lampante. Poco meno di due milioni di euro anche per “iniziative dell’Unione europea per il Mali”. Ma di quale iniziativa stiamo parlando? Della stessa intrapresa dalla Francia. La decisione di Hollande, infatti, si inserisce all’interno dell’operazione EUTM, in concertazione proprio con l’Unione Europea. La stessa operazione tirata in ballo anche nel testo governativo.
La conclusione del discorso, a questo punto, è più che chiara: sono ben due i milioni di euro con cui il governo italiano ha previsto un intervento in Mali prima ancora dell’attacco francese nella sua ex colonia (risalente al 13 gennaio). Il motivo? Rimane oscuro.”Carmine Gazzanni, “L'Italia in guerra: Monti ha stanziato 2 milioni per “iniziative in Mali”. Previsto l'uso di militari.” inchieste Italia, Infiltrato, 18 gennaio 2013.
3. Trotsky, “La mia vita”.

Cambio,Boca Floja,HacheST - People


Cogliere l'occasione!

Sfruttare la convenienza strategica proletaria dentro la crisi.
CRISI-RIPRESA-RIVOLUZIONE:UNA DINAMICA POSSIBILE?
Il proletariato paga ogni crisi capitalista.
Con la guerra, o con i sacrifici.
Con i morti, o con l’aumento dello sfruttamento.
Questo vale in assoluto, in tutte le epoche, fino all’ultima attuale crisi internazionale.
Questo vale in tutto il mondo, come vale in Europa, dove ad un’Europa che cerca di approfittare della crisi per rilanciare ed accelerare il proprio processo di compattamento continentale, non corrisponde un’adeguata risposta di resistenza e ritirata ordinata operaia.
A fronte di questa inadeguatezza di classe, scontiamo tutti i tentativi di “superare l’ostacolo” della passività nell’affermarsi di “teorie” ed atteggiamenti oscillanti tra i tifosi di un rinnovato capitalismo di stato ( magari a rimorchio della gauche Hollandiana ), ai movimentismi-nazionalisti che non “vogliono pagare il debito”, fino alle strabiche novità del “benecomunismo”.
Tutte queste “risposte” hanno in comune il tentativo di “ridurre il danno”, nell’illusione di ritardare, o frenare, gli effetti della crisi ed il fatto che questa venga scaricata per intero sul proletariato.
Da qui, anche grazie all’appoggio interessato di gruppi e lobby localistiche e regionali, si sviluppano le ideologie della “fuoriuscita dall’Euro” o, addirittura, di contrapposizione tra aree mediterranee e direttorio Franco-Italo-Tedesco.
Noi pensiamo che, seppure tra frenate ed accelerazioni, stop and go, contrasti e “cooperazioni rafforzate”, il processo verso gli Stati Uniti D’Europa sia un processo dettato dalla necessità di una adeguata competizione continentale con gli altri giganti economici in campo già prima, ma soprattutto dopo la crisi.
A questa realtà ogni giorno piu’ verificabile non possiamo piu’ opporre una inutile marcia indietro, ma, al contrario, cercare di comprendere e sfruttare quegli elementi strategicamente convenienti al proletariato che, dialetticamente, anche in questa situazione si producono.
Insomma, la storia va avanti, e dentro questa dobbiamo cogliere il “movimento reale che supera lo stato di cose presenti”.
E oggi, qual è il movimento reale che supera lo stato di cose presenti?
Noi pensiamo che questo movimento stia dentro il processo di planetizzazione capitalista, cioè dell’estensione del modo di produzione capitalistico a tutto il pianeta terra.
E’ certo un processo che sta provocando drammi e tragedie, guerre locali ed erosione economica, ma anche la nascita e l’allenamento alla lotta ed allo sciopero di nuovi, giganteschi, comparti di classe ai 4 poli del mondo.
Lotte certo frammentate ed orfane di una organizzazione internazionale ed internazionalista, ma lotte reali, che esistono, e che sono destinate alla generalizzazione.
Ma, al di la delle spesso eroiche resistenze sindacali, il processo della mondializzazione capitalista contiene 3 elementi universalmente validi a noi strategicamente favorevoli.
1°) La diffusione internazionale della condizione proletaria ( 300 milioni di salariati nel 1950, 1 miliardo nel 1990, 1 miliardo e mezzo nel 2005, circa 2 miliardi oggi ).
2°) La concentrazione proletaria nella città-metropoli ( 700 milioni di cittadini nel 1950, 2,8 miliardi nel 2000, 3,5 miliardi oggi ).
3° ) La contaminazione migratoria del proletariato, che unisce ed allena le attuali generazioni operaie alla comunanza materiale, lavorativa, di lotta e di organizzazione.
Certo, questi sono “solo” dati oggettivi che, da soli, senza cioè la comprensione degli stessi e l’intervento sulle inevitabili contraddizioni che produrranno, possono finire nella barbarie della guerra imperialista, a produrre la vecchia dicotomia distruzione-ricostruzione-riavvio del ciclo capitalista.
Ma sono dei dati concreti, che se dipingono una realtà “conveniente” a livello mondiale, possono essere tradotti, in Europa, in un’altra dialettica situazione favorevole.
Se è vero, come è vero, che il proletariato europeo non ha risposto in maniera adeguata alla crisi, potrebbe essere possibile che, di fronte ad un’accelerazione nella centralizzazione europea, ci sia una maturazione, in un numero consistente di avanguardie operaie, della necessità di una organizzazione di classe che agisca nella contraddizione con un proprio scopo, autonomo ed internazionale.
Uno scopo palese quanto storicamente determinato e temporalmente individuabile nella possibilità, da parte dei padroni europei, una volta superata “pacificamente” la crisi, di individuare e competere, con altri mezzi, anche con le armi!, con gli stessi nemici di oggi, e di arruolare il proletariato europeo in questa nuova conquista armata di merci e mercati.
Arrivare prima!
Arrivare pronti, attrezzati, coscienti ed organizzati a questo appuntamento della storia è la vera risposta adeguata alla crisi, ed agli annunci di un suo prossimo superamento.
Un superamento che non annuncia nulla di buono ad una visione superficiale, ma che lascia spazi di analisi ed intervento per chi sa andare oltre la crosta di un’apparenza troppo spesso di facciata.

Combat/Comunisti per l’Organizzazione di Classe

combat-coc.org

Jah-I-Witness Emcee - Garvey's ghost (the revolution)


De-voti!


De-voti al capitale, alla proprietà, ed al loro buco di culo!
Tanto è vero che da Berlusconi, da Casini a Monti, da Fiore a Grillo a Ingroia, aggiungono il valore aggiunto del nome proprio al “programma” elettorale. 215 liste presentate, un record.
Tanto piu’ record proprio mentre lo stato nazione, insieme a tutti i suoi istituti di rappresentanza e riproduzione sono in profonda crisi di mutazione, pressati come sono dal vincolo Europeo.
Siamo ormai alla clonazione del simbolo e della “significanza” di lista.
Piu’ il parlamentarismo diviene superfluo e privo di decisionalità, piu’ aumentano gli aspiranti parassiti “onorevoli” rappresentanti della terza repubblica borghese.
Tra riciclati, cariatidi ex democristiane, fasciste, staliniste e recuperatori dell’astensionismo pluricolorati, la pletora degli imbonitori aumenta e si moltiplica.
Probabilmente non basterà a recuperare la sfiducia diffusa nella politica delegata, come non basterà l’astensione a cambiare le cose.
Il problema è molto piu’ profondo, e di difficile soluzione.
L’astensionismo può aiutare, ma, da solo, non può bastare.
Occorre un programma, e un’organizzazione che lo persegua.
Con metodo!

Combat – Comunisti per l’Organizzazione di Classe

 fonte: Combat-coc.org