23.11.12

Scuola & capitale: il falso mito della scuola pubblica


La nascita della scuola pubblica deve essere contesualizzata in un periodo economico ben preciso: tra il 1870 ed il 1914 all’indomani di quella che dagli storici viene chiama seconda rivoluzione industriale ed ha come sue caratteristiche proprie,rispetto alla prima l’utilizzo di nuove invenzioni tecniche operate non più dagli stessi imprenditori  o da dilettanti ma da intellettuali professionisti dai primi laureati in chimica, fisica, matematica. Tali invenzioni peraltro vengono utilizzate in settori rimasti esclusi dal boom della prima rivoluzione industriale, settori come le acciaierie, le piattaforme per estrarre materiali chimici ed energia elettrica etc…. settori che diverranno trainanti con lo scoppio della prima guerra mondiale. Ad esempio é solo con l’ invenzione del convertitore Besserman (dall’omonimo inventore) o del forno Martin-Siemens, ossia nuovi strumenti in grado di abbassare sensibilmente i costi della depurazione della ghisa dal carbonio, che la produzione d’acciaio potrà espandere il suo mercato, moltiplicare l’offerta. Vediamo come si crea quindi un primo rapporto fra industria e scuole/università: da un lato i primi ingegneri trovano chiaramente come prima fonte di guadagno la cessione delle invenzioni alle industrie dall’altro la stessa industria sente l’esigenza per il suo espandersi di avere una nuova classe di operai maggiormente formati, appunto per utilizzare i nuovi macchinari,e maggiormente disciplinati per rendere l’azienda più efficente. Da qui l’esigenza di alfabetizzare le masse. Brecht nei frammenti de “la Contraddizione” diceva :”L’introduzione della moderna scuola dell’obbligo non ebbe luogo perché i ceti dominati dell’epoca, mossi da motivazioni ideali, volessero rendere un servizio alla ragione, ma perché la capacità intellettuale dei più vasti strati della popolazione doveva essere elevata per servire l’industria moderna. Se la capacità intellettuale degli occupati venisse eccessivamente compressa, l’industria stessa non potrebbe venire salvaguardata. Perciò quella capacità intellettuale non può essere compressa più di tanto, per quanti per altri versi ciò possa apparire desiderabile ai ceti dominanti. Con gli analfabeti non si può fare la guerra. Siccome la quantità della ragione necessaria non dipende da una decisione dei ceti dominanti, non è parimenti possibile trasformare questa quantità di ragione — necessaria e quindi comunque garantita — nella qualità che sarebbe gradita ai ceti dominanti”. Non a caso dunque la scuola obbligatoria si è per prima formata nei paesi con alto tasso d’urbanizzazione ed industrializzazione come Gran Bretagna, Francia e Germania. Non a caso le resistenze in Italia alla legge Casati del 1859 (con la quale appunto veniva introdotta la scuola obbligatoria) vennero vinte con due principali motivazioni: la prima è che la condotta delle classi più povere, spesso soggette a forti sradicamenti territoriali a causa dell’emigrazione, è controproduttiva a qualunque impiego e per rabbonirli è necessario dargli un luogo come la scuola dove identificarsi. La seconda è che individui più istruiti possono essere anche lavoratori più efficenti. Inoltre l’immobilità sociale viene comunque tutelata: le classi più abbienti possono comunque o mandare i loro figli alle scuole private dalle quali esce la classe dirigente o farli accedere ai “curricula” classica altamente qualificati e selettivi; infatti la maggior parte dei figli delle classe operaia accedevano ai curricula professionali dai quali tutt’al più si formava l’aristocrazia operaia o i cosiddetti colletti bianchi. Per quanto concerne l’università anche questa è stata concepita totalmente in relazione alle nuove esigenze industriali, rispondendo dunque alle esigenze del mercato del lavoro: oltre infatti ad operai qualificati ed a impiegati servono anche ingegneri, chimici ma anche avvocati e notai e giuristi che rendano più dinamico il sistema giurisprudenziale per renderlo armonioso con le nuove transazioni commerciali sempre più complesse. Vediamo come con il passare del tempo la scuola pubblica ha svolto nel migliore dei modi il compito per il quale è stata istituita: dal ruolo chiave che ha avuto nella nazionalizzazione delle masse all’indomani dell’ unità d’Italia, alla lode al re, al fascismo ed oggi come principale mezzo per sfornare menti da impiegare nel sistema del capitale ( quale scuola pubblica od università non ha organizzato meeting con associazioni di giovani industriali, le più “fortunate” con delegati stessi di confindustria ?).
E’ per questo che la nostra lotta non si può fermare alla richiesta di una scuola pubblica migliore perchè nel contesto in cui tale richiesta si è creata e per che cosa è stata creata, non può esistere una scuola pubblica interclassista o realmente paritaria finchè esisteranno ancora le classi finchè dunque non si sarà abbattuto il modo di produzione attuale: il capitalismo. Di conseguenza la prima illusione da smentire è anche questa: che un nuovo governo possa salvarci la vita come se solo la riforma Gelmini fosse stata la colpa di tutti i mali. é dunque opportuno fare in questa sede un’analisi delle riforme della scuola che si sono susseguite negli ultimi 10 anni..
La prima è la Riforma Berlinguer-Bassanini che appunto si è basata su tre testi di legge: il primo la riorganizzazione delle scuole, il secondo sul ddl sull’autonomia e il terzo sull’accordo sul lavoro del 24 settembre 1996 dove troviamo schierati Confindustria,Cgl,Cisl,Uil. Trattando i principali punti in primo luogo è una riforma che di pari passo con la Finanziaria prevedeva di tagliare alla scuola 4800 miliardi di lire in tre anni .Si istituiva inoltre il 5 anno di materna obbligatorio senza peraltro specificare come questo sarebbe stato finanziato… (probabilmente ci si affidava alle materne private) e non trattando per nulla il problema degli asili nido ai quali in Italia si ha accesso solo su domanda individuale e non come servizio gratuito (la maggior parte dei nidi sono privati). Ma la prima apertura al campo dei privati non si ha solo nella scuola per l’infanzia, questa avviene in maniera incisiva e più subdola anche nelle scuole secondarie per la formazione professionale ove con la scusa di ridurre gli indirizzi da 11 a 5 si istituiscono curricula personalizzati dove hanno ampio spazio d’azione i CFP (corsi di formazione professionale) e le non specificate, nel lessico vago della riforma, “agenzie di formazione” . Si ha dunque di forza l’entrata della fabbrica nella scuola, con tutto il suo carico di sfruttamento reso più pesante dai contratti d’apprendistato che poco assicurano e poco garantiscono. Chiaramente per siglare accordi con le varie agenzie la scuola si deve presentare come un organo autonomo; a questo punto si inserisce  l’”utilità” del ddl sull’autonomia, che attribuisce ad ogni scuola ampia libertà d’azione sia per quello che riguarda la gestione degli appalti per l’edilizia interna, sia per poter contrattare con i vari organismi sul territorio e che incide anche sulla struttura stessa della scuola che si costituisce come azienda con a capo “un manager” (il preside d’istituto) il cui compito è quello di ottimizzare il profitto degli studenti ed un comitato a lui sottoposto d’insegnanti. Leggendo il testo della riforma Moratti, ritoviamo alcune delle parole chiave più significative della precedente riforma che vengono ricalcate dal nuovo ministro con soluzioni maggiormente drastiche: rimane l’autonomia delle istituzioni scolastiche e si fanno più netti i confini dell’”accordo sul lavoro” si parla ora di vere e proprie convenzioni con le camere di commercio,le piccole industrie d’artigianato, di stabilire accordi con i sindacati dei datori di lavoro per decidere in concerto i termini dei contratti d’apprendistato, si stabilisce che il governo deve finanziare il percorso di alternativa-lavoro e sovvenzionare le imprese private, con cui le scuole fanno accordi, appunto perchè luoghi di formazione dello studente. I crediti non vengono più assegnati dagli insegnanti ma sarà lo stesso profitto dell’allievo sul luogo di lavoro a determinarli segnando una maggiore dipendenza, oltre che rispettarli, dai vari contratti sotto pena di bocciatura.
Combat
rossagioventu@googlegroups.com

Solidarietà e autorganizzazione - assemblea ogni mercoledi


Un altro ennesimo record negativo è stato raggiunto in Italia: 2.774.000 disoccupati sono i crudi numeri registrati dall'ISTAT (Settembre), 62.000 posti di lavoro sono andati persi.
Analizzando più a fondo questo dato ne emerge un altro: la disoccupazione giovanile ha superato il 35 %.
Mentre la situazione è in continuo peggioramento, tutto il baraccone politico  dall'alto dei suoi palazzi e con i suoi stipendi d'oro sponsorizza come unica soluzione il solito inganno elettorale.
Questo sistema non può essere migliorato e nessuna riforma potrà farlo apparire "più umano": le basi stesse su cui poggia stabiliscono che ci sarà sempre una classe che dominerà su un'altra.
La precarietà continua che il capitalismo riserva per tutti i salariati ci mette nelle condizioni di dover essere continuamente preparati, in qualsiasi momento,  a dover cambiare radicalmente la nostra vita piegata alle esigenze della produzione.
Iniziamo col cercare assieme una risposta ai pensieri e alle emozioni che proviamo e che ci fanno passare notti insonni quando siamo alle prese con disoccupazione, precarietà e con la prepotenza padronale.
Autorganizzazione e solidarietà tra sfruttati è quello che possiamo costruire sin da subito iniziando a lottare per aumentare consapevolezza contro questo sistema e le condizioni nelle quali vuole continuare a relegarci.

Assemblea ogni mercoledi h 20 

C/O Tensione - Via Canevari 338

18.7.12

Incontro-dibattito "Stato, partito e imperialismo"



Sabato 21 luglio – Domenica 22 luglio
Incontro-dibattito su Stato, partito e imperialismo
Sabato 21 luglio -> ore 9:30 presentazione iniziativa e introduzione.  I° parte “Storia dei partiti del movimento operaio”
ore 16:00 II° parte e dibattito
Domenica 22 luglio -> ore 9:30 l’”Imperialismo oggi” a seguire dibattito
presso Via Canevari 338R

per info: redazione@combat-coc.org

28.6.12

Recensioni: Bobby Seale - Cogliere l'occasione! (Seize the time!)


Recensione: Bobby Seale - Cogliere l'occasione! (Seize the time!) Einaudi 1971


Ci sono pochi libri che rendono veramente facile la lettura, pagina dopo pagina quasi imponendo di essere letti. ‘Cogliere l’occasione‘ è un libro tra questi. Nonostante siano passati 40 anni, la sua lettura è come un pugno allo stomaco.
Il libro descrive lo sviluppo del Black Panther Party dal 1966 (anno di fondazione); Seale aggiunge anche aneddoti sulla sua infanzia e il periodo precedente alla militanza. Dalla lettura appare evidente che il libro non è stato scritto da qualcuno che guardando indietro nel passato del BPP, cerchi di giustificare le loro decisioni o i loro “peccati”. Una parte del libro è stata scritta durante il periodo di detenzione di Seale: traspare chiaro come il testo è scritto forse nel momento più impegnativo per la giovane organizzazione. E ‘innegabile tra gli scopi del libro il tentativo di far emergere le ragioni, le cause per il quali nacque il BPP, il soffermarsi alle caratteristiche di un’organizzazione che doveva essere emanazione della classe operaia e del sottoproletariato. In qualità di membri del partito, Seale e gli altri erano consapevoli di organizzarlo, lavorando e spendendosi in ogni modo perché ciò avvenisse.
La rappresentazione che Seales fa della fondazione del partito e del suo sviluppo è la rappresentazione di una politica ‘pratica’, ed è la più interessante. E ‘anche per questo che il libro è in grado di essere pertinente oggi, anche se può sembrare strano da dire riguardo un libro che si occupa della situazione dei neri negli Stati Uniti in una società di 40 anni fa. La descrizione dei problemi pratici che l’organizzazione si trova a dover affrontare, del suo sviluppo, la propaganda degli  ideali rivoluzionari, la necessità di organizzazione, sono tutti elementi senza tempo.
Seale racconta tutto nei dettagli in modo chiaro e coinciso, riuscendo sempre a raggiungere il cuore, lontano da qualsiasi complessità accademica volta solo ad astrarre le specifiche implicazioni dei temi affrontati. Al contrario Seale si rivolge al lettore allo stesso modo di come il partito poteva rivolgersi a chiunque gli chiedesse informazioni, senza nessun discrimine rispetto al grado di coscienza politica dell’interlocutore.
Interessanti gli attacchi di Seale, giustificati, a tutti gli intellettuali che erano più interessati a poter continuare ad articolare le loro pontificazioni nei circoli accademici. Un genere di persone che ancora oggi pretende di rappresentare e lavorare nell’interesse della classe.
Seale descrive anche i problemi interni all’organizzazione. Piccole cose, dettagli. Seale descrive episodi che possono essere considerati come inezie, come in un caso in cui i militanti del partito si incontrarono con delle ragazze invece di diffondere i giornali.
Seale riprende anche il problema di come numerose ‘reclute’ erano arrivate all’organizzazione attratti dall’immagine sensazionalistica che i media all’inizio davano del BPP.
Cogliere l’occasione! ‘ è un buon testo, in grado di suscitare riflessioni e dare ottimi spunti riguardo la società attuale: anche se i tempi sono diversi non è cambiata la sua natura, così come sono ancora attuali problemi, limiti, difficoltà ma anche lo spendersi in una militanza politica, il portare avanti coerentemente i propri ideali di chi oggi come in passato si pone contro il sistema, organizzando la lotta contro di esso in prospettiva del suo rovesciamento.  E’ anche un libro che può sfatare alcuni miti e facili giudizi come quelli che vedono nei militanti del BPP soltanto dei razzisti neri.

                                                                                                                         n.i.

20.6.12

Mercoledì 27 giugno iniziativa a sostegno delle lotte dei lavoratori delle cooperative



h 20. resoconto della lotta a Basiano
h 21. cena benefit per la cassa di resistenza

@Via Canevari 338 R

COMBAT- Collettivo Politico Tensione - Genova

18.6.12

Combat: Lettera aperta sulla manifestazione di Milano del 16/06 per i fatti di Basiano


Vogliamo fare alcune valutazioni in merito alla manifestazione di sabato a Milano, dopo l’aggressione poliziesca avvenuta a Basiano contro il presidio di lavoratori in sciopero.
I fatti sono a tutti noti e riteniamo inutile dilungarci sulla loro estrema gravità.
Basti dire che sono decenni che, in Italia, la polizia non interveniva con una simile proditoria ferocia contro uno sciopero di lavoratori, provocando un tal numero di feriti ed arresti.
Al punto che un po’ tutti, nel cosiddetto “movimento”, hanno pubblicamente espresso la valutazione che tale episodio possa segnare una “correzione di tiro” verso l’alto nei conflitti di lavoro.
Non ci soffermiamo più di tanto sulla “brillante assenza”, per non dire menefreghismo, da parte di quello che viene ancora considerato il “primo sindacato italiano”: la CGIL, troppo impegnata nelle sue “passeggiate romane” insieme ai “compari di merenda” CISL e UIL, dopo che il “governo amico” del professor Monti sta massacrando con nuove leggi i diritti di milioni di occupati, precari, disoccupati, pensionati. Troppo impegnati, questi “sindacati”, a far finta di cambiare una deriva di classe che loro stessi hanno contribuito e contribuiscono ad alimentare… In ossequio ai “tecnici” che stanno “salvando” solo i profitti dei padroni.
Vale invece la pena di rivolgersi direttamente alle formazioni, ai gruppi, ai collettivi, ed ai singoli compagni che avevano  in prima battuta dato la loro disponibilità formale di denuncia verso l’aggressione poliziesca e di preparazione di una manifestazione che costituisse una adeguata risposta ad essa.
Noi riteniamo che solo una piccola parte di queste realtà abbia fatto sino in fondo ciò che doveva fare.
Partiamo dalla FIOM. La segreteria milanese di questo sindacato, dopo aver espresso la sua solidarietà coi lavoratori migranti selvaggiamente aggrediti, si è ben guardata dal costruire una benchè minima solidarietà fattiva. La posizione parlamentaristica di riciclaggio dei vecchi rottami della “sinistra” assunta dal suo gruppo dirigente, che impedisce alla FIOM di aderire all’ Appello dei promotori della manifestazione, non giustifica l’atteggiamento pilatesco assunto da questo “sindacato dei lavoratori”.  Abbiamo visto qualche sparuta bandiera FIOM e, per loro iniziativa, la sola presenza delle rappresentanze di fabbrica della Jabil e della INNSE. Tutto qui? Tutto qui per un sindacato “critico” verso la sua confederazione, che indice giustamente mobilitazioni contro la manomissione dell’articolo 18, ma che non si degna più di tanto quando in ballo vi sono diritti non meno vitali come quello di sciopero?
Problemi di concorrenza con altre sigle sindacali? Non è, comunque sia, vergognoso un comportamento del genere visto che in gioco vi sono il lavoro e l’incolumità fisica dei lavoratori?
E l’USB, che pur era tra gli aderenti alla manifestazione… Tutta qui l’USB? E lo SLAI-COBAS che fine ha fatto?
Se poi si sposta lo sguardo sulle formazioni politiche che pur avevano aderito alla manifestazione, ci viene ancora una volta da dire: la Federazione milanese del PRC è condensata in quattro bandiere  messe lì tanto per dire “io c’ero” e per far riportare da “il Manifesto” le dichiarazioni del suo segretario? E gli altri?  E’ più importante il “No Debito” delle manganellate e dei lacrimogeni ad altezza d’uomo sparati sugli operai? A parte qualche rara eccezione, dove era “il popolo della sinistra”, così “sensibile” a tanti accadimenti, ma che volge lo sguardo quando la sua “classe di riferimento” viene vigliaccamente aggredita a due passi da casa? Era una bella giornata di sole e si è preferito farsi un giro al mare o in montagna?
Passando sul terreno dei centri sociali, il discorso ahimè non cambia. Concorrenza col Centro Sociale Vittoria? Cura dei propri orticelli? Dispute tra parrocchiette? Fatto è che, ancora una volta, il tema è la difesa della classe operaia in quanto tale ( i migranti delle logistiche ne sono parte integrante vero? ) e dunque la massima mobilitazione, come avviene per altre questioni, dovrebbe essere naturale per chi è contro il capitalismo. O no?
Riteniamo in sostanza che la risposta politica a questo grave attacco fatto dallo Stato contro operai in sciopero non sia stata assolutamente all’altezza.
Come non all’altezza sia stato il “clima” del corteo: fiacco ( a parte la testa dei lavoratori coinvolti nell’aggressione ), sfilacciato, senza parole d’ordine unificanti e coinvolgenti, in preda a musiche e canti di vario tipo… che davano l’aria più della Kermesse che della manifestazione di protesta, in cui affiorasse una indignazione minimamente palpabile.
Insomma, i coraggiosi e combattivi lavoratori di Basiano, e con loro tutti i compagni delle altre logistiche in lotta, i più tartassati, i più sfruttati, quelli che tengono alto il nome della lotta operaia, non meritavano secondo noi un contorno siffatto.
Ci teniamo a sottolineare, per chi ancora non l’avesse capito o faccia finta di non capire, che i settori di classe oggi investiti dalla repressione di Stato prefigurano il futuro prossimo di milioni di lavoratori, di ogni provenienza, età, condizione. Le lotte della logistica, se organizzate e dirette, possono fare da cerniera tra i vari settori della classe sottoposti a tagli, ridimensionamenti, licenziamenti.
E noi tutti, se vogliamo veramente organizzare una benchè minima resistenza all’attacco padronale e statale, se vogliamo costruire una opposizione di classe che si allarghi, si generalizzi, metta piede in ogni luogo di lavoro, dobbiamo cambiare registro.
In caso contrario, i tempi duri sono solo agli inizi.


Milano 18/06/’12           COMUNISTI PER L’ORGANIZZAZIONE DI CLASSE- COMBAT 

fonte: Combat-coc.org

13.6.12

Selvaggio attacco poliziesco a Basiano

Questa mattina, mentre gli operai della Logistica Algua di Basiano stavano presidiando i cancelli, i carabinieri hanno violentemente caricato, provocando scontri che hanno causato numerosi feriti.
Solo con l’uso dei lacrimogeni, sparati in tutte le direzioni e ad altezza d’uomo, le “forze dell’ordine”, hanno potuto sgombrare i cancelli, permettendo così l’ingresso di un pulmann di crumiri, appositamente fatto arrivare dalla cooperativa subentrante, La Bergamasca, per sostituire i lavoratori in sciopero.
Questa è la loro legge: la legge della rapina, del furto, dello sfruttamento selvaggio. Questa è l’unica legge che lo Stato democratico vuol far rispettare…
Decine e decine di lavoratori immigrati, di ogni etnia e credo, di ogni provenienza ed età, selvaggiamente pestati per permettere ad un pugno di malavitosi di imperare in questo settore facendo lauti profitti sulla pelle dei proletari.
Ma queste lotte dimostrano che reagire si può, che non tutto è perduto, che non tutti sono disposti a rassegnarsi ad un futuro di lavoro sottopagato, minacciato dai ricatti, preda di ogni sopruso.
Un futuro che non possiamo consegnare così alle generazioni che verranno.
Occorre alzare la testa, seguendo l’esempio di lotta e di determinazione di questi operai di Basiano.
Per lottare contro lo sfruttamento.
Per lottare per il superamento di ciò che lo genera, il capitalismo!

                                 COMUNISTI PER l’ORGANIZZAZIONE DI CLASSE- COMBAT NORD

7.6.12

[30 giugno - 1 luglio] 1° Torneo di Calcetto Antifascista @ Favaro (La Spezia)


1° Torneo di Calcetto Antifascista @ Favaro (La Spezia)
Partecipano:
Autonomia Spezzina
Quartiere popolare Favaro
Rossa Gioventù Roma
Anarchici Bolognesi
Garage Pisa
Giustiniani 19 Genova
Collettivo Autonomo Massa
Senegal La Spezia
Programma:
Sabato 30 Giugno
Presso il campo da calcetto del Favaro in largo deportati ebrei
ore 11: presentazione Iniziativa
ore 12; Inizio Partite
Presso il centro sociale polivalente del Favaro (via libertà)
ore 18: dibattito: Nuovi e vecchi fascismi
ore 20: cena sociale
ore 21:30 Concerto Oi!/Hc: Luddite Riot (MS), Bava (Mi), Basta (Certaldo)
Domenica 1 Luglio
presso il campo del favaro
dalle ore 12: finali torneo
ore 18: premiazione e chiusura
info: autonomiaspezzina.wordpress.com
autonomiaspezzina@bruttocarattere.org

fonte:  Autonomia Spezzina

4.6.12

Crisi e terremoti

Le scosse di terremoto che hanno investito l’Emilia stanno ovviamente canalizzando l’attenzione in questi giorni. I fattori più significativi che emergono sono almeno tre:

Il terremoto come elemento di classe, segnalato praticamente da tutti: dai giornali ufficiali alla pubblicistica di estrema sinistra. Sono gli operai in particolar modo a morire, schiacciati dentro gli stessi magazzini, stabilimenti, costretti ad andarvi per la paura di perdere il lavoro. La preghiera di alcuni operai di religione mussulmana, davanti allo stabilimento è molto più evocativa di centinaia di ricerche circa la composizione di classe dentro le piccole-medie imprese della pianura padana.
Dove si lavora in magazzini e stabilimenti spesso fatiscenti o non anti-sismici, e praticamente a ciclo continuo. Non ci soffermiamo molto su questo elemento perché pur importantissimo è quello più evidente e immediato, viviamo in una società di classe e anche le tragedie, la morte riproduce questa divisione. Il terremoto la rende ancora più lampante. Vi è un secondo elemento legato al terremoto, la sua dimensione catastrofica, la sua difficile previsione, che lo fa rispecchiare nello stesso capitalismo. Dopo il deismo si chiede allo scientismo, al tecnicismo di risolvere i problemi, è un rincorrere esperti, tecnici, ma si ha la nettissima sensazione di essere schiacciati da un meccanismo più grande di noi. Le scosse telluriche rompono le certezze, infrangono le vite, come le onde della crisi del sistema di produzione capitalista. Tutta l’energia dei super-uomini, degli unti del signore, delle avanguardie coscienti, appare come spuma di fronte alle onde di questo tzunami terrestre.
Il terremoto è inevitabilmente la rivincita della terra contro il cemento, cosi come la crisi è la rivincita della contraddizione di fronte alle certezze del capitalismo. Questi due elementi sono interconnessi tra loro, provocati dalla stessa divisione di classe, amplificati dentro il capitalismo. Vi è infine un terzo elemento, il terremoto, la crisi rompendo le certezze, hanno la possibilità di svelare nuovi rapporti sociali che si innestano dentro la vecchia società colpita. Il terremoto, dimostra la fragilità e l’abominio costruttivista e accumulativo del capitale, questa folle corsa dell’umanità che rincorre il mostro-capitale, che distrugge la natura e l’uomo stesso con i suoi ritmi, il suo processo di controllo del tempo di vita. Cosi come la stessa crisi capitalista in atto.
Immaginiamo che dentro a questo meccanismo ci saranno piccole minoranze che riusciranno a “guadagnarci”, a “speculare” ancora maggiormente, tuttavia occorre indirizzare il nostro sguardo alle possibilità che liberano simili eventi, alle connessioni che possono creare e manifestare. Come la crisi con il suo processo di de-integrazione, permette di liberare energie sovversive, di fare emergere nuovi rapporti sociali dentro il disfacimento della vecchia società incapace ormai in linea di tendenza di andare avanti, cosi il terremoto e le cosiddette “tragedie naturali” impongono all’umanità di riconquistare propri spazi, può apparire ridicolo e senza senso, ma già l’imporre l’apertura di un parco pubblico notturno (una bestemmia per l’Emilia Romagna) è un effetto della tragedia, il riscoprire una diversa comunità un diverso spazio e tempo di vita, è un altro effetto di questa dinamica. I veri processi di cambiamento non sono mai per volontà affermativa, ma nascono dall’impossibilità di fare altrettanto se si considera una dinamica sociale e umana vista non dal buco della serratura. 
L’emergere di nuovi rapporti sociali scaturisce dall’affermazione positiva di una dinamica che si sviluppa dentro lo sgretolarsi di vecchi rapporti sociali, è un processo oggettivo di sottrazione al nemico, dove sparisce l’essere “anti”, e l’essere “per” è vissuto direttamente. Dove l’azione umana non sparisce, anzi trova la sua vera dimensione dentro un processo sociale più complessivo. I processi non si muovono per onde placide, ma in terrificanti muri d’acqua che infrangono e distruggono. Cosi come vediamo la crisi, la teoria della crisi, come teoria delle catastrofi, cosi vediamo le “catastrofi naturali” come elementi propri della crosta terrestre.

Alcuni compagni della redazione di Connessioni maggio 2012

fonte: Connessioni per la lotta di classe

Solidarietà ai compagni di Viterbo

pubblichiamo il comunicato dei compagni di Viterbo in seguito ai recenti tentativi di intimidazione da parte delle forze dell' (loro) ordine. Massima solidarietà a tutti i compagni/e

L' acuirsi della crisi che il capitale vive dal 2008 esige come risposta per la ripresa dei propri profitti una "semplice" ricetta: compressione dei salari, aumento dello sfruttamento, intensificazione dei ritmi di produzione, allungamento dell'orario lavorativo,straordinari e,allo stesso tempo, precariato e cassintregrazione, che i padroni non pagano.
Per uscire dalla crisi, al Capitale occorre avere la pace sociale, e così all'uopo interviene lo Stato con le sue infami articolazioni, magistratura e sbirraglia, per colpire -meglio se preventivamente- le avanguardie di classe, i proletari piu combattivi, tutte quelle realtà che prendono coscienza di questo orrido e barbaro presente.
E' in questa ottica che si inserisce la perquisizione avvenuta a Viterbo il 01\06\2012 nei confronti di sette fra compagni\e alla ricerca di fantomatico "materiale esplodente", ovviamente nulla veniva rinvenuto.
Noi disdegnamo di nascondere le nostre intenzioni ,la sola e unica soluzione non è uscire dalla crisi economica, bensì abbattere con ogni mezzo necessario questo determinato sistema di produzione capitalistico, produttore di illibertà, miseria e fame a livello planetario.
                   
                                                                                                                                        COMBAT
                                                                                                                  

Sulle lotte in Quebec

La mobilitazione degli studenti in Quebec continua oramai da tre mesi. La protesta è iniziata dopo l'annuncio del governo riguardo l'imminente aumento delle tasse universitarie. Dal 1989 in Canada le tasse di iscrizione sono aumentate del 300 per cento. Lo sciopero generale a oltranza, organizzato da una coalizione di associazioni studentesche è iniziato il 13 febbraio e ha coinvolto più di 190.000 studenti in tutta la regione.
Il governo del Partito Liberale del Quebec, sostenuto dalle organizzazioni padronali e dalla polizia provinciale, ha fatto del suo meglio per sconfiggere ogni inziativa organizzata dal movimento di protesta. Gli studenti, le loro associazioni e i loro collettivi si sono scontrati ripetutamente con le forze dell'ordine, queste  hanno più volte sparato proiettili di gomma e compiuto arresti di massa.
Scioperi e lotte analoghe a quelle di questi mesi si erano già verificati nel 1996 e nel 2005: allora la lotta aveva rallentato il caro istruzione e difatti non è un caso che le tasse universitarie nel resto del Canada siano più del doppio di quelle  in Quebec .
La situazione economica e sociale del Canada potrebbe sembrare lontana dai regimi di austerità e dalle misure da lacrime e sangue portate avanti dai governi europei . Ma come anche in Inghilterra lo scorso anno gli studenti vedono nei tagli e nell'aumento del costo dell'istruzione solo l'inizio di un attacco più generale a tutto il mondo del lavoro. Il movimento vede nella riforma dell'istruzione un possibile tentativo del governo per ammorbidire l'opposizione in vista di riforme del lavoro e del sistema pensionistico. Dalla Grecia al Cile, le riforme dell'istruzione sono stati l'anticipo dell'assalto globale al salario, alla scuola e alle pensioni.
Il 26 marzo nella città di Quebec molti sindacati hanno aderito alla manifestazione organizzata dalle associazioni studentesche. Finora l'ultima concessione strappata al governo è stato il congelamento sugli aumenti delle tasse per un periodo di sei mesi.
La 'concessione' in realtà  dimostra semplicemente che il governo non ha nessuna intenzione di fare marcia indietro sulla riforma dell'istruzione.
'Classe', la federazione degli studenti più numerosa (rappresenta circa 100.000 studenti in 57 diverse organizzazioni), ha lanciato un appello per uno sciopero generale. Guardando ancora all'esperienza delle lotte studentesche qui da noi come anche in Spagna, Francia e Inghilterra associazioni di questo tipo non possono che costituire un freno alla rabbia sociale espressa dai movimenti cercando di incalanarla in gabbie istituzionali: la lotta si esaurisce a colpi di controriforme e controproposte da trattare coi governi di turno.
In Quebec come altrove i governanti non hanno paura di sindacati o partiti (compreso dirigenti sindacali vecchi o giovani) li hanno sempre "affrontati" per decenni e hanno sempre vinto. Quello che temono è la rabbia dei giovani che non hanno lavoro, alle prese con un futuro incerto e e perciò poco inclini a rispettare anche tutti i doveri della società.
Lo sciopero degli studenti è una fonte di politicizzazione e  di sviluppo di canali di rabbia sociale non solo contro il governo ma anche contro il sistema economico. Anche se il movimento (al solito molto eterogeneo) da solo non possiede la forza per colpire i padroni dove fa più male, ossia intaccando il loro profitto. Pensiamo che possibili "conquiste" sono possibili solo se il movimento riuscirà a dare una risposta di classe ai piani di tagli e riforme.

C/O Tensione - Genova

31.5.12

Storia di classe: una lettera di Victor Serge a Togliatti

A Palmiro Togliatti

Signor Ministro,

dal 1926 lei è stato il rappresentante a Mosca del Partito Comunista Italiano, membro del Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista, Segretario di questo esecutivo per i paesi latini, incaricato di missioni di fiducia in Spagna, e godette della piena fiducia del governo russo. In un modo inevitabile, lei doveva collaborare con il Commissario degli Interni di Russia, ossia con la Polizia Politica di quel governo. Era a lei che, dal fondo delle carceri in cui si trovavano, si rivolgevano i rifugiati italiani perseguitati dalla G.P.U., mandandole preghiere completamente inutili. Lei è stato testimonio delle persecuzioni di cui son stati vittime da quindici anni i suoi compatrioti antifascisti italiani rifugiati nella URSS. Lei non può ignorare il numero di quelli che furono fucilati e di coloro che tuttora soffrono nelle carceri, e che oggi ancora potrebbero essere salvati. Riconosciamo che, a Mosca, a giudicare delle alte funzioni che lei occupò, poco o nulla poteva fare per salvarli o per  attenuare le loro persecuzioni. Non avrebbe potuto fare altra cosa che elevare una coraggiosa protesta, la quale l'avrebbe condotto ad essere sommariamente giustiziato. Lei preferì collaborare con i persecutori ed i carnefici dei suoi compatrioti. Fu un atteggiamento politico che preferiamo non discutere in questo momento.
Il riconoscimento da parte del governo dell'URSS, del governo monarchico del Maresciallo Badoglio, ex membro del Gran Consiglio Fascista, e poi di quello di Bonomi, ha portato lei ad un posto di Ministro nel governo antifascista d'Italia. Lei arrivò nel suo paese a bordo di un aeroplano sovietico.  Però ora, come membro del governo di un'Italia che comincia a liberarsi, lei ha altri obblighi, distinti da quelli precedenti. Difatti, ha obblighi con il popolo italiano, con gli antifascisti che han lottato durante vent'anni contro la dittatura di Mussolini, con i compagni di Matteotti, di Lauro de Bosis, di Amendola, dei fratelli Rosselli, di Gramsci. Lei ha obblighi con tutti coloro che nel vasto mondo han sostenuto senza tregua la lotta contro il fascismo ed hanno conservato la loro fede nell'ideale di libertà del popolo italiano. In particolare, lei è tenuto a rispondere con chiarezza e pubblicamente alle domande seguenti che noi le poniamo in nome di un'emigrazione socialista, composta di rappresentanti di quasi tutti i paesi d'Europa:
Che è accaduto degli antifascisti italiani, rifugiati nell'URSS nel tempo in cui la Rivoluzione russa offriva un'ospitalità generosa ai perseguitati del mondo intero?
Quanti fra questi furono fucilati, quanti si trovano nelle carceri russe, quanti furono deportati dalla GPU da quando, tra il 1929 ed il 1930, si installò in Mosca un regime totalitario?
Quali sono i sopravvissuti e quanti potranno essere ora rimpatriati?
Sappiamo che all'epoca dei processi d'ignominia e di sangue chiamati «processi di Mosca» la maggior parte dei rifugiati italiani nella URSS, inclusi membri del suo stesso Partito, furono imprigionati: molti scomparvero nelle tenebre.
Conosciamo molto nomi, ed abbiamo archivi.
Che è stato del vecchio militante della «Unione Sindacale Italiana», l'operaio milanese FRANCESCO GHEZZI, che nel 1921 si rifugiò a Mosca, che fu detenuto senza processo dal 1929 al 1931, che fu posto in libertà grazie alle proteste internazionali ed alle domande di intellettuali liberali (Romain Rolland, George Duhamel, Henri Barbusse, Boris Souvarine, Leon Werth, Magdaleine Paz, Henry Mann e molti altri) e che scomparve di nuovo nelle carceri della GPU nel 1937?
Che ne è stato del toscano OTELLO GAGGI, condannato a 30 anni di carcere nel 1921 dal tribunale di Arezzo per aver difeso il suo paese contro le bande fasciste, che si rifugiò nell'URSS nel 1922, che fu detenuto senza conoscenza di causa nel 1935 e che nel 1936 sollecitò inutilmente di andare a combattere in Spagna? Ioaquin Ascaso delegato della milizia, Emilian Morin Duruti, delegato della colonna Duruti, Alfonso Miguel, delegato della stampa della CNT, telegrafarono a quel tempo a Stalin appoggiando la domanda di Gaggi. Gli antifascisti spagnoli non ricevettero nessuna risposta e Gaggi scomparve.
Che ne è stato di LUIGI CALLIGARIS, ex redattore del giornale comunista clandestino di Trieste, confinato per cinque anni nell'isola di Lipari (1926-1932), evaso da quell'isola con il concorso e con l'ordine del suo Partito, rifugiato a Mosca, detenuto senza accuse precise nel 1935 e deportato a Shenkursk, nella regione del mar Bianco?
Che è stato delle mogli e dei figli di questo coraggiosi militanti le cui pratiche lei conosce a fondo, e sa molto bene che erano irreprensibili e che il loro unico delitto fu l'aver sostenuto il diritto della libertà di pensiero?
Sono scomparsi senza nessun processo. Nessuno poté difenderli. Quanti di essi morirono? Quando e perchè? Quanti vivono ora, e dove?
Il suo dovere è di informare il governo al quale appartiene, l'opinione italiana e l'opinione internazionale, su coloro che morirono e su coloro che vivono, se ancora ve n'è qualcuno. Il suo dovere è di esigere il ritorno dei sopravviventi ai loro paesi. Lei ha potuto tornare perchè apparteneva al partito dei persecutori. Ebbene devono poter tornare i i perseguitati.
Non è mai troppo tardi per ascoltare la voce della coscienza. Il suo dovere è di parlare ed agire attivamente per salvarli. E' certo che se lo fa il suo Partito lo espellerà e che lei perderà il suo portafoglio di Ministro, ma almeno avrà cancellato un lungo passato di complicità con il totalitarismo. E forse avrà contribuito a salvare la vita ad alcuni militanti che hanno avuto molto più coraggio e chiaroveggenza di lei.
Decida lei come crede: la questione è posta. I veri antifascisti si disonorerebbero ignorandola, e può avere la certezza che non la dimenticano.

Redazione di  «Mundo»
Tradotto dalla rivista messicana «Mundo» secondo un ritaglio allegato a lettera del novembre 1944 da Mexico City

A precisazione dell'articolo aggiungiamo che Togliatti nel suo viaggio di ritorno in Italia viaggia fino a Baku, Teheran, Il Cairo ed Algeri in aereo e da qui sul mercantile inglese Ascania giunge poi a Napoli il 27 marzo.
Degli esuli italiani di cui Serge chiede ragione: Luigi Calligaris fu fucilato nel 1937 nel campo di Severo-Vostocnyj, Francesco Ghezzi morì nel GULag di Vorkuta nel 1942 e Otello Gaggi morì nel Kazachstan nel 1945.

fonte: Avanti Barbari

29.5.12

Considerazioni sulle ultime elezioni amministrative

Ai terremoti geologici si sommano quelli elettorali della recente tornata del voto amministrativo. In molti sensi.

Una premessa. Per noi marxisti le elezioni, di ogni tipo e di ogni latitudine, non sono mai state la “summa” della “democrazia partecipata”, ma l’esercizio virtuale di essa. Tanto per limitarci a Lenin: decidere ogni tot anni quale membro ( o partito, o coalizione, o movimento ) della classe dominante continuerà ad opprimere la massa degli sfruttati in regime capitalista. Alla faccia del giullare Beppe Grillo che, ebbro dal successo del suo Movimento, dichiara che a Parma “vince la democrazia sul capitalismo” ( sic…).  Detto questo, però, non dobbiamo rinchiuderci nella logica che dal momento che “sono tutti uguali”, chi se ne frega di analizzare le elezioni. Questo menefreghismo sarebbe un grave errore, perché toglierebbe ai comunisti la possibilità di seguire gli spostamenti, che le elezioni registrano, dei rapporti politici tra le frazioni borghesi e la loro corrispondenza nella dinamica politica e sociale. Dunque ci priveremmo della possibilità e di conoscere l’avversario in tutte le sue sfaccettature e di poter utilizzare tutte le contraddizioni nate al suo interno. E le recenti elezioni amministrative presentano aspetti interessanti che emergono dal sottosuolo del magma politico italiano, sottoposto a scosse telluriche di non poco conto.
Partiamo dall’astensionismo. Esso tocca ormai quasi la metà dell’elettorato. E’ stato “contenuto” al 40% solo in quel di Parma, sede dell’affermazione de l’”astro nascente” del “grillismo”. Per il resto esso ha dilagato, con punte del -11’3% nelle zone cosiddette “rosse” ( rispetto alle precedenti elezioni regionali del 2010 ). Anche al Nord il calo è de l’8,1%, quota non distante del -7,7% del sud Italia.
Di per sé il fenomeno del non voto non dà alcuna garanzia di automatica radicalizzazione sociale, né tanto meno di “disponibilità politica” meccanica delle masse verso soluzioni rivoluzionarie…Nessuna illusione su questo. Il fenomeno, tra l’altro, potrebbe essere parzialmente recuperato al voto dal montare di nuovi schieramenti populisti a base di massa piccolo borghese, com’è appunto il “Movimento 5 stelle”. Le elezioni servono anche a questo alla borghesia: a fare un’indagine di mercato per permettergli di ridimensionare i ferrivecchi, e “rigenerare” involucri politici più idonei a sostenere la “domanda politica”. Strumenti che siano insomma più consoni ai movimenti della struttura economica, sopratutto di fronte a crisi come quella che stiamo vivendo.

Un dato comunque va rilevato, ed esso deve farci drizzare le antenne: l’astensionismo, che nei centri più grossi supera il 60%, non solo è un dato ormai strutturale e consolidato del sistema politico ( pur dentro oscillazioni prevedibili ), ma è anche un sentore del distacco incolmabile tra ampi settori del proletariato e le istituzioni dello Stato. Esso segnala che è ormai irreversibile lo scollamento tra il proletariato e la “democrazia”, che le illusioni sullo “sviluppo democratico verso il benessere collettivo” sono state spazzate via nel profondo del sentire delle masse. E’ un fattore politico-psicologico molto importante, che però, ancora una volta, non è univoco…Può tradursi in disponibilità ed ascolto verso i temi sollevati dalle minoranze rivoluzionarie, come può rinculare in sordidi rancori individualisti o, peggio ancora, reazionari di massa. Aperti ad ogni avventura.
Tocca allora ai rivoluzionari, senza indugi, con costanza e determinazione, con chiarezza ed unità d’intenti, convertire in coscienza di classe questo scollamento, andando a cercare in questo enorme bacino ( anche se non solo in quello ) gli elementi disponibili a tradurre la loro rabbia, il loro schifo, in organizzazione comunista indipendente. Come? Col lavoro di massa. Non trascurando né tralasciando nulla che possa servire ad organizzare lotte di contrasto verso gli attuali rapporti sociali e le loro manifestazioni politiche, vecchie o nuove che siano. Ogni compagno strappato alla rivoluzione da lotte di tal genere, al di là degli esiti contingenti delle lotte stesse, sarà una conquista per la causa comune.

Chi ha “vinto” e chi ha “perso”. Facendo i raffronti sui voti in cifra assoluta raccolti dalle varie formazioni, e non col solito “trucchetto” delle percentuali ( che dicono poco ), possiamo dire che hanno perso tutti. Tutti i partiti arretrano vistosamente come numero di voti ( ad eccezione di Grillo, che però “incassa” a Parma il voto bipartisan, in primis quello del centro-destra…). Ma anche stando ai dati percentuali ( sempre in relazione alle elezioni amministrative del 2010 ), abbiamo: il PD passa dal 27,8% al 19,2% ( -8,6% ); il PdL dal 28,8% al 12,8% (-16%); la Lega Nord dal 16,5% al 5% (-11,5%); l’IDV dal 7,8% al 3,2% (-4,6%). Solo formazioni minori come la SEL e l’UDC aumentano rispettivamente dello 0,7% e de l’1%. Il balzo in avanti è del solo “Movimento 5 stelle”, che passa dal 4,8% del 2010 al 10,1%.  Come si vede la “vittoria senza se e senza ma” di Bersani è solo una misera e mass mediatica foglia di fico per nascondere un tracollo di tutti i partiti dell’arco parlamentare, chi più chi meno. Certo, cambiando le dinamiche della batosta, cambiano i riposizionamenti, ed allora il PD, che strappa al centro destra 38 comuni con più di 15.000 abitanti, può “cantare vittoria”, anche grazie al suo ricompattamento sulle cosiddette “liste civiche”, ma:

il partito di Bersani perde clamorosamente a Parma; a Genova deve “inseguire” un candidato di Vendola, a Palermo lascia il passo al redivivo Orlando…per non parlare dei precedenti milanesi e napoletani; nella maggior parte delle città il PD si ritrova a sostenere l’elezione a sindaco di candidati non democratici, dopo aver perso le primarie; cede anch’esso quote del suo elettorato all’astensionismo. Sembra come quel tizio che si becca una scarica di legnate, ma si consola per il fatto che gli altri ne hanno prese di più…

Certo, si è rotto l’asse Berlusconi-Bossi, che ha tenuto per quasi un ventennio la barra dei settori trainanti del blocco nordista; accovacciato nella palude della micro impresa e delle “libere professioni”, ora minacciate dall’europeismo finanziario del governo “tecnico”. Il suo punto di forza era anche nel foraggiamento di una “sponda” sudista fatta di spesa pubblica legata al malaffare ed alla corruzione. Quell’asse dovette subire solo transitorie e “tormentate” parentesi prodiane per accelerare verso la moneta unica e l’Europa Unita, coi relativi corollari di “lacrime e sangue” da imporre ai salariati.
Lo scandalismo è notoriamente arma di lotta politica e di velocizzazione dei mutamenti politici. Lo si vide in occasione del passaggio dalla “prima” alla “seconda repubblica”. Oggi molti commentatori segnalano il “vuoto” di una discesa in campo nel centro-destra, tale da ricompattare un blocco che rischia la sotto rappresentanza o addirittura la non rappresentanza politica. Un blocco che il centro sinistra fatica ad intercettare, e che potrebbe spappolarsi nei mille rivoli di un localismo non solamente “anti politico”, ma addirittura “anti istituzionale”…
Fascismo? No. Piuttosto “tecnicismo democratico”, che però deve passare attraverso una revisione radicale e della carta costituzionale e della farraginosità del sistema pubblico dei partiti. Nonché di tagli “strutturali” alla pubblica amministrazione.
Il “Grillismo”. E’ in questo contesto che allora possiamo allargare lo sguardo sul “Movimento delle 5 stelle”, che trionfa a Parma e che si pone addirittura nella prospettiva di passare da “Stalingrado a Berlino”. Cioè della conquista degli scranni di Montecitorio per “ribaltare” il carrozzone dei “corrotti”. Già solo questo proponimento la dice lunga sulla vera natura dei seguaci del comico genovese. I quali in verità sono molto meno comici del loro leader…
Beppe Grillo parla di “adunate pacifiche di popolo”, in un paese che ha inventato il fascismo…
Spara demagogicamente ad alzo zero contro tutti, seguendo le orme che da “L’Uomo Qualunque” di Guglielmo Giannini porta alla Lega di Umberto Bossi. Via i corrotti, via i politicanti, via la “casta”…Gestione onesta e condivisa del “bene pubblico”. La “buona amministrazione” contro “l’affarismo”. Un capitalismo “pulito”, eco sostenibile, vicino alla “gente”. Un capitalismo che è nel libro dei sogni della piccola borghesia. Una piccola borghesia minacciata dai “mercati mondiali” e che ora, nella crisi, si ricompatta regionalmente ( il sindaco di Roma Alemanno valuta ad oggi un 10% di consensi a Grillo nella capitale ) e cerca di rimescolare le carte per non pagare dazio.
Ma non è solo questo. Non si tratta solo, e non è poco, di “uscire dall’euro con il minor danno possibile, e non pagare il debito pubblico o pagarne solo una parte…” ( Beppe Grillo ). Nota “Il Sole 24 Ore” del 22 maggio, preoccupato per i riflessi di simili posizioni verso gli “investitori istituzionali stranieri”, che sul sito ufficiale del partito non c’è traccia di default ed euroexit…
Al contrario, si rassicura l’organo di Confindustria, sulle pagine di www.beppegrillo.it c’è un traguardo politico che suona molto diversamente. “ Riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e l’introduzione di nuove tecnologie.”
Eppoi altre cosette che, invece di essere “provocatorie”, sono sinonimo di voglia di “pulizia e trasparenza”: abolizione delle scatole cinesi in Borsa; dei monopoli di fatto e delle cariche multiple dei consiglieri nei CdA delle società quotate ( sopratutto pubbliche ); divieto di incroci azionari tra sistema bancario e industriale; tetto agli stipendi del management di società private e pubbliche…
Insomma “se po’ fà” direbbero a Roma. Non spaventiamoci e vediamo che cosa questo nuovo astro elettorale potrebbe smuovere contro “l’ingessatura” del sistema-Italia. Così ragionano in Confindustria.
Rimane il problema per la borghesia di forgiare una forma di rappresentanza politica idonea ad affrontare la tempesta della crisi, con tutte le sue ricadute sociali e politiche.
Rimane il problema per i proletari di non correre dietro a nessuna sirena elettorale, vecchia o nuova, della borghesia e di sviluppare, dentro le lotte, una vera unificazione delle forze comuniste. Contro la borghesia, i suoi parlamenti, il suo Stato.
  
                                                                                                                                        COMBAT

Brav - Proletariat


"Della Francia io sono il lato oscuro
residenti o relegati in immense baraccopoli
senza soldi o affamati, annegando nei debiti
costantemente ignorati anche se chiediamo aiuto
io sono quello che loro chiamano un rifiuto a cui si gettano le briciole
Inesistente. diprezzato,  bianco, arabo o nero
Evidentemente quello che vogliono è eliminarci
Proletariato, dei topi, dei subumani
Proletariato, questo è ciò che siamo
Proletariato, reietti respinti per il resto del mondo
Proletariato, degli uomini buoni e coraggiosi
Proletariato, questo è ciò che siamo
Proletariato, disprezzato dal resto del mondo
abbiamo imparato a starcene da soli"

23.5.12

Venerdì 8 giugno assemblea a Balbi 4 - Organizzare il nostro rifiuto a questa crisi


"Generazione perduta"?... Così si è espressa recentemente Christine Lagarde, direttrice dell'FMI (Fondo Monetario Internazionale) riguardo il destino dei giovani dell'Occidente industrializzato. Un destino fatto di sicura disoccupazione, precarietà, insicurezza, mal di vivere...
In Italia, l'ISTAT calcola in 2.897.000 l'esercito degli "inattivi", cioè dei senza lavoro; in gran parte giovani dai 16 ai 25 anni. L'11% della forza lavoro totale, destinato rapidamente a crescere per effetto della crisi. Una cifra che oltrepassa di tre volte la media del già alto tasso di disoccupazione europea. Queste cose sono così evidenti che nessuno le nega. La disoccupazione, l'inoccupazione, il degrado sociale ed ambientale, i costi pazzeschi per armi ed avventure militari, il furto degli spazi del vivere comune... sono fatti così evidenti che solo i governanti di turno riescono a negare.

Il problema sono le "ricette" che i vari commedianti propongono

Governi borghesi di TUTTI i tipi e padroni si impegnano contro i lavoratroi di ogni età per una "crescita" fatta solo di profitti per i soliti noti. Ma per noi giovani il futuro è: lavoro poco pagato e di poco durata...quando c'è!!!
I partiti parlamentari, senza distinzione, continuano ad ingrassare sui conti pubblici e sugli scandali, invitandoci al solito, inutie rituale del voto (ma per cosa?!!!)
I sindacati vivono come burocrazie sulle svendite continue dei lavoratori che dicono di rappresentare... per loro dobbiamo rimanere precari a vita!!
la Chiesa, come sempre, predica bene e razzola male, abituandoci alla schiavitù verso i poteri costituiti; gli stessi che ci schiacciono l'esistenza.
Per lottare sul serio contro questo sistema infame per noi è necessario:

riconoscere che la crisi non piove dal cielo ma è frutto inevitabile del capitalismo
che solo lottando e organizzandoci contro di esso per abbatterlo è possibile vivere da uomini e non da schiavi, è possibile conquistare una società senza sfruttamento ed oppressione


Venerdì 8 giugno h17 - Assemblea @ Balbi 4

                                                                            COMBAT / collettivo Tensione 

Le bombe non fanno più rumor!

Una bomba plurifunzionale.
A ciascuno il suo utilizzo: “ fermezza e coesione, vigilanza contro l’eversione, rafforzare lo stato, combattere la mafia, fare come Falcone e Borsellino,
unire le forze politiche, difendere la scuola, far pentire e costituire gli asssassini,
lottare contro la "nuova strategia della tensione"....

Le bombe non fanno più rumor!

Non possiamo guardare alla realtà odierna con gli occhiali del passato, ne’ possiamo usare categorie e moduli interpretativi di un mondo che non c’è piu’. Il carrozzone della “società civile” si muove unito su binari tracciati, sicuri e di sicuro utilizzo nel senso dell’unità nazionale contro il caos.
“La mafia terrorista attacca lo stato, magari con l’aiutino di qualche suo pezzetto “deviato” , magari con qualche coincidenza temporale di troppo, ed il gioco è fatto, oggi piu’ di ieri.
Dobbiamo correre in soccorso dello stato insidiato, schierandoci al fianco degli inquirenti, commemorando sul serio i magistrati assassinati dalla mafia. Comunque, bisogna scegliere da quale parte stare visto che non ci sono piu’ valori”, dalla parte dello stato, dei suoi uomini, oggi come ieri”.
E’ questo lo spettacolo, in replica anche oggi!
Dalle parti dei padroni e dei loro servitori, la “risposta civile” è pronta, si riscoprono le piazze e si riempiono di sindacati, politici, preti, uomini e donne “indignate” da cosi’ bestiale violenza.
Dalle parti nostre, compagneria e movimenti, si proietta un’altra pellicola ingiallita.
“Siccome ci sono i movimenti e la gente scende in piazza, lo stato, tramite la mafia e qualche servizietto deviato, li attacca per spegnerli, distruggerli”.
Do you remeber anni ’70, la strategia della tensione, le bombe, l’autunno caldo?
Ma oggi, OGGI, ci sono i movimenti, e le piazze, sono piene? E la borghesia italiana, è quella degli anni ’70? Ed il mondo, è “diviso” in due? E quella strategia della tensione anni ’70 ha ancora senso e necessità di applicazione di fronte a condizioni mutate?
Al contrario, noi rifiutiamo di farci invischiare nella logica della "strategia della tensione", dimostrata forma ormai della collusione tra potere economico-potere politico( fascista o mafioso che sia ).
Noi non siamo, né amiamo gli investigatori, quindi non facciamo ipotesi, non abbiamo nulla da indagare, né complotti da scoprire. Possiamo solo constatare che una bomba è esplosa contro una scuola, in mezzo ad un gruppo di studentesse, uccidendone una e ferendone gravemente altre.
Per noi, che “criminali sono i padroni!”, non c’è nemmeno lo sfizio di dividere la società in guardie e ladri.
Per noi, che riteniamo i massimi esperti di esplosivo e massacri di “innocenti” proprio gli stati, i loro eserciti e governi, le loro guerre piu’ o meno “chirurgiche”, c’è solo una conferma della puzza di morte che emana dall’intera architettura sociale odierna.
A volte, la violenza di classe si esprime anche cosi’, in forma anomala, eccezionale ed interclassista, rispondendo probabilmente all’utilizzo della morte e della forza per ridefinire, anche a suon di bombe, rapporti di potenza tra frazioni dominanti, divise sulle linee di faglia da seguire nell’uscita dalla crisi. Altre volte, quasi sempre, la violenza di classe unisce le frazioni borghesi che trovano i loro compromessi piu’ o meno “storici” o contingenti intorno allo sfruttamento, anche mortale, del proletariato.
E’ probabile che l’attuale instabilità elettorale espressione della crisi sia alla base dell’odierna fibrillazione politica, e del tentativo di superarla.
Una fibrillazione sanguinaria che trova pronta la risposta truffaldina degli stessi che l’hanno provocata, mentre non trova una risposta di classe ancora inadeguata.
Per quanto ci riguarda, restiamo contro questo stato, contro i suoi uomini armati ed in doppiopetto.
Non abbiamo da schierarci con alcun servitore dello stato, ne saliremo su nessun carrozzone dell’”antimafia”.
Continueremo a combattere contro burattini e burattinai, nella prospettiva di distruggere l’intero loro teatro, intensificando impegno e lotta per l'organizzazione politica indipendente degli operai, dei precari, dei giovani, dei disoccupati per una società senza classi, per il comunismo.

                                                                                                                                               COMBAT              

22.5.12

mercoledì 30 proiezione - Diario del saccheggio





Breve aggiornamento sul Cile

Almeno 50.000 studenti hanno partecipato alle proteste del primo maggio in Cile contro l'attuale sistema di istruzione pubblica. Da più di un anno gli studenti cileni stanno lottando per arrivare a un cambiamento del mondo dell'istruzione legato da una parte ancora al periodo della dittatura dall'altra a un'eccessiva ingerenza di grandi gruppi economici privati che ne preservano il carattere elitario e fortemente classista.
Solo il 45 per cento degli istituti delle scuole superiori è costituito dalle tradizionali scuole pubbliche il resto è in mano ai privati, e fortemente sovvenzionato dal governo (anch'esso diretta espressione di interessi di grandi gruppi privati). Decine di scioperi di tutti isettori hanno mobilitato centinaia di migliaia di lavoratori.
Negli ultimi 12 mesi, tuttavia, l'istruzione è stata solo una delle cause che hanno mobilitato milioni di persone in tutto il paese, dando voce alla crescente ondata di rabbia verso la crescente disuguaglianza sociale cilena.
Anche se ad oggi i loro obiettivi principali non sono stati raggiunti, gli studenti hanno contribuito al calo di popolarità del magnate dei media e attuale capo del governo, Sebastian Pinera.
Una lezione che viene dalle lotte in Gran Bretagna nel 2010 (come anche ora in Québec) è che la lotta per l'istruzione si unisca con quella dei lavoratori e che sollevi quindi la questione di una società diseguale per sua stessa natura.
Se il modello capitalista non è in grado di fornire posti di lavoro, sicuramente non è in grado di fornire istruzione gratuita.
In tutte le lotte si trova il germe della rivolta sociale che esige che ciò che si produce sia distribuito in modo uniforme per soddisfare le esigenze della maggioranza e non  il contrario - ossia esclusiva di una minoranza che la accumula per alimentare questo sistema infame.

C/O Tensione - Genova

15.5.12

Occupy: risultati e prospettive

da 'Connessioni per la lotta di classe'

La fiammata globale di proteste di massa, che si accumulata nel movimento Occupy Wall Street, si stata naturalmente accompagnata da una serie di attività e di analisi da parte della sinistra. Mentre è sicuramente impossibile dare una precisa formula che può spiegare il salto di coscienza che è il fondamento essenziale per un movimento spontaneo in quanto tale, non c'è dubbio che le proteste della primavera araba, gli Indignados e Occupy segnino un momento storico stupefacente. Infatti, per il carattere spontaneo, per il respiro della sua estensione globale, e per la sua velocità temporale, è il primo di questo tipo.
Sembrerebbe che il purgatorio neo-liberale degli ultimi trenta anni stia volgendo al termine, l'ideologia predominante del capitalismo mostra segni di collasso. Rispondendo a una crisi sempre più profonda e devastante, le proteste hanno messo in luce i contorni generali di stati di polizia emergenti in tutto il mondo, nonché il loro potenziale di resistenza che si poteva solo sognare fino a poco tempo fa. L'analisi definitiva è ovviamente impossibile, mentre il movimento è in svolgimento, non solo per la comparsa di nuove forme di lotta ma anche a causa del carattere eterogeneo e decentrato delle proteste. Tuttavia, è essenziale per tentare una analisi, non al fine di strumentalizzare il movimento come è il modus operandi dell’ avanguardismo di sinistra, ma piuttosto per contribuire a dare forma a un nuovo immaginario sociale come partecipanti alle lotte, per spingere verso una riconfigurazione rivoluzionaria dei rapporti umani e per perturbare la dialettica inevitabile di recupero da parte del capitale.

Infinitamente veloce e poderosamente lenta

E' fondamentale la convergenza di due temporalità che aiutano a definire ciò che è unico nell’attuale movimento: la velocità luce della micro-comunicazione - rivelatasi per prima nella primavera araba come un modo di diffondere e coordinare le proteste- associata con la lenta corporeità della comunicazione e dei processi decisionali attraverso le assemblee generali. Queste proteste sono state senza dubbio il movimento di protesta meglio documentato nella storia dell’umanità, mettendo in discussione le asserzioni di Gil Scott Herons del 1971, che “la rivoluzione non sarà teletrasmessa”. Quasi ogni incontro, ogni marcia, ogni espressione di protesta così come ogni reazione della polizia è documentata dalla pletora di telefoni cellulari e fotocamere micro-video. Non solo documentate, ma trasmesse, spesso in tempo reale e non dalle corporate dei media, ma veicolate dalle reti anarchiche spontanee degli stessi manifestanti. La capacità di trasmettere materiale di prima mano di ogni dettaglio del movimento alla velocità della luce in tutto il mondo significa che ognuno è un potenziale John Reed o Victor Serge. Questi resoconti di prima mano sono essenziali per eludere i filtri ideologici dei mass-media del capitale. Questo non è solo un moderno mezzo di propaganda rivoluzionaria. La mercificazione e la produzione dei significati è stata una parte vitale della totale sussunzione del lavoro al capitale per decenni. Facendo un passo al di fuori di questo circuito e producendo significati autonomi con gli strumenti che il capitale stesso ha fornito, il movimento Occupy prefigura il sequestro dei mezzi di produzione, che, nel caso degli strumenti digitali e di Internet, il capitale sembra incapace di prevenire. Internet e la comunicazione digitale in genere, sono oggi il mezzo essenziale di tutte le transazioni finanziarie. Qualsiasi tentativo di limitarlo o chiudere verso il basso per evitare la diffusione delle proteste -come nel caso dell’Egitto- interrompe il flusso libero di capitale.
Ma la velocità della luce della comunicazione digitale si contrappone curiosamente alla corporeità del processo decisionale che si trova nelle modalità di organizzazione di Occupy e in particolare nelle Assemblee Generali. La presa di una piazza pubblica -Tahrir, Syntagma, Puerta del Sol, Zucotti e centinaia di altre-, da sola non è una sfida al potere. La sfida è ciò che è simboleggiato nell'azione. La detenzione di uno spazio, l'occupazione fisica in sé, è in realtà la salva di apertura nella battaglia per l'immaginazione sociale non una situazione di stallo militare. Uno spazio pubblico aperto a tutti, ma apparentemente al di fuori del controllo del capitale finanziario, genera una fluidità sociale dinamica e vitale. Inoltre, vi è qualcosa di straordinario nel prendere uno spazio. Mentre uno spazio pubblico non è un punto di produzione e una occupazione non ferma il flusso dell’attività capitalista, un'azione di questa natura non solo richiede una strategia e una tattiche coordinate per tenere lo spazio, ma particolari modalità di cooperazione per vivere in (occupazione) lo spazio insieme. E' in questo senso che le occupazioni assomigliano a moderne Polis come un luogo urbano di auto-governo. Per avere voce in Occupy, si deve essere fisicamente presente, uno deve essere un occupante. Vale a dire, bisgna mettersi contro la concentrazione del potere finanziario in solidarietà con coloro che si trovavano vicini. E' infatti tra le caratteristiche più interessanti delle occupazioni, l'aspetto di voci che hanno a lungo taciuto, voci quotidiane che possono non avere un linguaggio sofisticato politico, ma comunque trovare il modo di esprimersi, eloquente, a volte, con voci che spesso stupiscono per ciò che molti descrivono come un risveglio. Al meglio, si potrebbe suggerire che le occupazioni fisiche rompono momentaneamente il dominio delle relazioni astratte sociali imposte dal capitale, sostituendole con rapporti reali, corporali e umani che possono emergere solo in modo autonomo nel momento del conflitto. Il capitalismo si è in gran parte definito dal suo controllo del tempo, facendo un passo fuori dai ritmi astratti del tempo capitalista, Occupy sembra anticipare istintivamente i sentimenti dell'emancipazione umana.
Questo movimento è auto-formativo. Gli anarchici, i consiliaristi e gli autonomi di ogni genere possono trovare solo la conferma della propria intuizione nelle profondità dell’energia creativa che tende e emerge dall’auto-organizzazione. Infatti, il movimento ha trovato la sua voce non, in un programma politico astratto, ma nella forma dell’auto-organizzazione stessa. Il people’s-mic (le persone che parlano insieme, il megafono umano, ndt), per esempio, così ben documentato ormai, potrebbe aver avuto origine dalla necessità durante una dimostrazione recente sul ponte di Brooklyn (la polizia vietò l'uso di megafoni costringendo a una forma di comunicazione corale per raggiungere l'intera manifestazione), ma è diventato il simbolo della voce unitaria di una comunità in formazione. E' curioso vedere il megafono umano utilizzato anche quando non è necessario per comunicare. Ovviamente, la sua funzione serve a creare un senso di solidarietà e non semplicemente a trasmettere parole. La voce, se usato in coro, appare come un suono primordiale dell'unità umana. Inoltre, questo meccanismo rallenta la comunicazione, la rimuove dal frenetico attacco della sfera dei media e permette all'organismo di assorbire, ingerire, analizzare e sentire l'atto della comunicazione come un creativo svolgimento piuttosto che come essere vittima del bombardamento di informazioni continue che permea la vita quotidiana. Il potere di momenti come questo non dovrebbe essere sottovalutato, è un meccanismo che rende anche la più piccola voce vitale. Questo non ha nulla a che fare con applausi e fischi e infiniti canti dei comizi politici che servono solo a manipolare la psicologia della folla. L'insistenza dagli occupanti sulla modalità orizzontale di organizzazione è un elemento estremamente importante che mantiene la Polis aperta e dinamica, facendo virtù della sua natura eterodossa. Si tratta di una delle caratteristiche principali di Occupy che rimangono radicalmente indeterminate come movimento esclusivamente generativo piuttosto che uno che cerca di manifestare un futuro che è pre-figurato teoricamente. Questa dinamica dà al movimento un carattere esplosivo in grado di rispondere immediatamente ad un continuo spostamento della coscienza politica.

Ideologia e composizione di classe

Qualsiasi analisi di Occupy nella misura in cui esprimono nuove modalità di opposizione al capitale devono essere collocate in un contesto più generale delle ideologie mutevoli così come della ricomposizione fisica del lavoro dal 1970. Questo contesto è proprio della calante concentrazione fordista del lavoro industriale e dell'egemonia globale neoliberista. Fin dagli anni '70 una nuova composizione del lavoro si è andata sviluppando: attraverso il decentramento dello stabilimento industriale in vaste reti di esternalizzazioni e di produzione frazionata, affidandosi sempre più al lavoro precario part-time, nella formazione della significativa presenza di lavoratori cognitivi che lavorano attraverso i flussi di informazione digitali; nella proletarizzazione del consumatore come parte funzionale del processo di produzione (1). In una parola, abbiamo assistito alla proletarizzazione della vita planetaria. La caratteristica più insidiosa di questi sviluppi è la corsa infinita del capitalismo verso una forma di iper-produzione, velocizzando così là di ogni capacità fisica di consumare tali prodotti, e contemporaneamente espellendo manodopera dal processo stesso attraverso la sua tecnicizzazione irreversibile. Oggi non c'è una soluzione razionale a questa crisi nel quadro del capitale diverso da quello del capitalismo auto-distruttivo. Con l'aggravarsi della crisi, il capitale sarà costretto a distruggere la sua capacità produttiva al punto di ristabilire l'equilibrio necessario per un futuro ciclo di espansione. Tale distruzione arriva al prezzo della povertà di massa e della guerra. Pertanto, per comprendere la composizione sociale di Occupy si deve considerare il modo in cui il proletariato è stata ricomposto in tutto il mondo attraverso la precarizzazione, estesa al settore tecnico e ridefinita nel binomio produttivo-consumatore. Non possiamo più parlare di disoccupati, per esempio, come un esercito di riserva del lavoro che serve alle fluttuazioni del mercato o semplicemente utilizzato per comprimere i salari. Sempre più i disoccupati sono la massa proletarizzata dell'umanità che non sarà mai utilizzata.

L'ideologia che ha accompagnato questa forma decentralizzata frattale del lavoro è naturalmente il neo-liberismo, con i suoi mantra di deregulation, di liberalizzazione dei mercati, di trasformazione di ogni lavoratore in un imprenditore, di smantellamento del welfare, di finanziarizzazione di tutti gli aspetti della cultura e della sua giustificazione della concentrazione della ricchezza attraverso il trickle-down effect (2). Ideologicamente, il movimento Occupy è una risposta diretta al fallimento del neo-liberalismo, che definisce le proprie contro-soluzioni con contorni precisi della agenda neo-liberista: ripristinare regole, de-finanziarizzazione della cultura, sicurezza del lavoro, il ruolo estesa dello Stato in materia di istruzione, cure mediche, welfare, programmi di lavoro, ecc; più in generale, la redistribuzione della ricchezza attraverso interventi statali. Questo è il principio di divisione ideologica che Occupy ha postulato, ma si perde il senso se non si capisce che Occupy ha di fatto aperto un campo infinitamente più ricco dalla mera suddivisione tra neo-liberal/social democratici.
E' abbastanza difficile generalizzare sulla composizione sociale o ideologica delle occupazioni per il semplice motivo che esse sono differenti da luogo a luogo ed eterogenee. La chiamata iniziale per Occupy Wall Street è stata caratterizzata da una rabbia di sinistra populista contro la corruzione finanziaria e la concentrazione della ricchezza, con partecipanti iniziali che andavano dalla politica riformista alla radicale, da posizioni anti-corporative a anti-capitaliste. Le composizioni sociali in varie località, New York, Oakland, Portland e Toronto, ecc, hanno le loro specificità locali. Si trova un mix di vari tipi di libertari, anarchici, New Age, i socialdemocratici, i sostenitori di regimi di una riforma monetaria e anche la partecipazione del Tea Party. Durante Occupy Phoenix per esempio, un gruppo di miliziani di destra è apparso armato e in uniforme pronto a proteggere i diritti dei manifestanti contro la repressione dello Stato in difesa del primo e secondo emendamento (il primo garantisce la libertà di parola e stampa; il diritto di riunirsi pacificamente, il secondo garantisce il diritto di possedere armi, ndt).
Possiamo comprendere questo mix particolare di manifestanti come espressione della mutata composizione del lavoro, da quello che una volta erano chiare identità della classe operaia industriale, alla proletarizzazione generalizzata della vita. Mentre questo apre un vasto campo di resistenza, è forse più difficile inizialmente individuare l'origine della crisi all'interno del modo di produzione capitalistico in sé, piuttosto che il problema più visibile di distribuzione della ricchezza su cui Occupy è attualmente concentrata. La natura ampia ed eterogenea di Occupy è forse debolezza e forza allo stesso tempo. Da un lato si apre una possibilità notevole di identificare la crisi come sistemica, ma apre anche percorsi di potenzialmente pericolosi neo-populisti come soluzioni alla crisi. Non dobbiamo dimenticare che il nazionalsocialismo nella Germania di Weimar chiedeva anch’esso di porre fine alla schiavitù del debito, mentre affermava la dignità dei lavoratori contro i capitalisti finanziari. Un manifesto elettorale nazista del 1926 recita in parte: “Il nostro appello va a voi che guadagnate il pane con un onesto lavoro. Se non volete che i vostri figli e i figli dei vostri figli siano dannati per l'eternità come schiavi del capitalismo mondiale, se non volete subire i banditi di borsa e altre sanguisughe unitevi..”

Il suono stranamente contemporaneo di queste parole deve essere un monito di quanto sia importante esporre soluzioni diverse da quelle stataliste alla crisi. Alla fine questa potrebbe rivelarsi una questione di vita o di morte.

La dialettica del recupero

C'è una curiosa inversione che è apparsa in Occupy, un inversione della prevista linearità che caratterizza la maggior parte delle più classiche lotte dei lavoratori. In genere lo sviluppo della lotta va dalla specificità concreta del luogo di lavoro alla generalità astratta della critica sociale, dalla fabbrica alla riunione pubblica, dal comitato di sciopero ai consigli dei lavoratori, ecc…Nel caso di Occupy il movimento è stato invertito, dal generale allo specifico, dalla critica sociale nello spazio pubblico agli specifici effetti della crisi capitalista, da Zucotti Park all'occupazione di case pignorate a Brooklyn, da Occupy Oakland a picchetti mobili con i lavoratori in sciopero della American Licorice Co. a Union City. E' forse questa dinamica che è la difesa più forte contro l’incanalamento del movimento in percorsi riformisti, statalisti e populista. Si tratta di una dinamica organizzativa che deve essere difesa a tutti i costi. Una dinamica in cui le lotte individuali -lo sciopero, per esempio, l'occupazione di un casa pignorata- sono poi riportate nell’occupazione pubblica per chiarire il contesto relazionale attraverso un confronto aperto di idee. Preservare Occupy nello spazio pubblico, come un forum di resistenza e un esperimento di auto-organizzazione, è l'essenza di ciò che rende questo movimento pericoloso per il capitale.
Ci sono tre modalità principali con cui il movimento può perdere il suo potenziale rivoluzionario, tre modi che sempre lavorano insieme in configurazioni sempre diverse, a volte come strategie pianificate da parte manager e tecnici del potere e altre che emergono attraverso le abitudini inconsce interne della vita dominata dal capitale: repressione poliziesca, il dominio organizzativo e la saturazione ideologica. L'interazione dialettica tra queste tre modalità non ha alcuna funzione se non quella di dirigere il movimento nella polarità definito dal quadro neo-liberal/social democratico e per garantire un sicuro ostacolo organizzativo nei confronti dell’autonomia.
Internet è ora piena di migliaia di immagini della brutalità della polizia che ha accompagnato Occupy. La ferocia della risposta è stata istruttiva, indicando come il braccio repressivo del capitale percepisce Occupy. Inoltre è diventato chiaro che negli Stati Uniti lo Stato era ben preparato ad affrontare le occupazioni in modo coordinato a livello centrale attraverso il Dipartimento della Homeland Security. Con l'utilizzo di sorveglianza altamente tecnologica, con il controllo della folla, spionaggio, gas lacrimogeni, granate a percussione, pungoli elettrici, spray al peperoncino, la polizia ha mostrato una disponibilità entusiasta ad utilizzare tutti i livelli di forza e di violenza sia legale che illegale. La minaccia sempre presente di violenza della polizia funziona non solo per intimidire i manifestanti direttamente ma soprattutto per creare una percezione di un'aura ineludibile della violenza come uno stato d'animo di intimidazione per promuovere un senso di inutilità di qualsiasi vera e propria sfida al potere statale. La violenza della polizia serve, in ogni caso, per incanalare il movimento verso i percorsi tradizionali e contenerli dentro dei definiti sistemi di opposizioni coreografati.
Ma la violenza della polizia da sola non può fermare un movimento una volta che ha preso piede nell'immaginazione sociale -come i manifestanti in Egitto hanno recentemente dimostrato- strumenti più potenti sono chiamati in gioco, gli strumenti che lavorano proprio sulla coscienza e le abitudini dei manifestanti e sulla massa proletarizzata più in generale, cioè negli strumenti che si formano dalle strutture organizzative e ideologiche del capitale stesso. La forma organizzativa orizzontale delle Assemblee Generali - gelosamente difeso da molti movimenti Occupy- è una struttura autonoma che ha una qualità essenzialmente generativa, che è una forma perfetta di assemblea come una Polis: per sviluppare idee, analizzare, valutare, proporre e immaginare vie sempre nuove per il domani. Ma la forma orizzontale, ingombrante e lenta come è, sarà costretta a confrontarsi con le strutture organizzative che sono altamente burocratizzate e rigidamente gerarchiche (verticali), come sindacati o partiti politici. Stiamo assistendo proprio a questo sviluppo tra Occupy Oakland e il ILWU (International Longshore and Warehouse Union) a Longview. La pressione a sottomettersi alla forma gerarchica non verrà solo dallo scontro tra organizzazioni, ma verrò più probabilmente dalle richieste costanti effettuate dalle Assemblee Generali. Tali richieste, se concentrate sulle strutture giuridiche di tutela legali dei consumatori e di distribuzione della ricchezza – riforma elettorale, Glass-Stiegel (legge contro la speculazione ndt), ecc- invariabilmente sposteranno il focus organizzativo su un terreno puramente riformista che faciliterà la strumentalizzazione del movimento. Occupy cesserebbe di essere autonomo, generativa e aperto per diventare chiuso con obiettivi che richiedono strategie di comando organizzativo.
Resistere alla violenza della polizia e alla subordinazione organizzativa è una dinamica che opera sempre all'interno di un campo ideologico che è continuamente mutevole, ma alla fine, è l'ideologia che determina il risultato. E' fondamentale identificare le principali formazioni ideologiche che in particolare limitano l'autonomia del movimento e incanalano in percorsi che possono essere facilmente isolati o riformisti o più in generale che portano a soluzioni stataliste alla crisi. In generale il campo ideologico è definito dalla polarità neo-liberale e socialdemocratica, tra un libero mercato de-regolamentato e un mercato regolamentato dall’intervento dello Stato. L’una definisce l'altra. Come queste forme funzionano in pratica dipende dalla loro funzione ideologica. Una vuole un forte intervento dello Stato, mentre l'altra intervento debole. In pratica, tuttavia, entrambi richiedono uno Stato sempre più forte per mantenere il dominio del capitale, soprattutto in tempi di profonda crisi. Le politiche di deregolamentazione dei neo-liberali non significano un mondo con meno regole ma piuttosto la regola non mediata e assoluta del denaro. Mentre le soluzioni social-democratiche cercano la conservazione del capitale nella mediazione della vita sociale direttamente attraverso forme di Stato, entrambe le ideologie pongono lo Stato come un luogo neutro di potere, esogeno all'economia.
Tuttavia, lo Stato moderno, in tutte la sue forme neo-liberale, socialdemocratico, o negli stati socialisti di un era passata, è una struttura che viene direttamente dai rapporti sociali capitalisti. Fondamentalmente, lo Stato moderno serve per: garantire la santità del contratto tra soggetti autonomi, mobilizzare o soggiogare le masse per sostenere i rapporti di proprietà esistenti (siano essi privati o socializzati), garantire la solvibilità della moneta e il monopolio della violenza come una modalità extra-economica di espansione e di protezione contro le minacce esterne e interne, incluso il campeggio in un parco pubblico! Per dirla in altro modo, l'esistenza dello Stato è il dominio del capitale. La sua missione è quella di razionalizzare e proteggere l'estrazione senza ostacoli di valore dal lavoro vivo e tutto ciò che questo comporta. L'essenza di ogni schema riformista è la convinzione che lo Stato può imporre la propria volontà al di là della economia per regolare la sua via d'uscita dalla crisi.
Si tratta di una delle funzioni vitali della sinistra pro-rivoluzionaria disvelare la struttura genetica del capitalismo, al fine di dimostrare l’inevitabile manifestarsi di crisi sempre più devastanti. Lo Stato, nella sua stessa forma, è la locomotiva di questo sviluppo e la sua auto-distruzione. Le potenti tendenze riformiste che cercano di dirigere Occupy verso obiettivi raggiungibili attraverso riforme giuridiche, servono ad elevare l'aura dello Stato con l’obiettivo de-facto di razionalizzare lo sfruttamento.
Ma le ideologie stataliste, che includono numerose varietà minori di approcci populisti e socialisti di stato, non sono l'unica presenza in Occupy, più in particolare vi è una significativa presenza di anarchici, almeno in Occupy Wall Street a New York e in Occupy Oakland. Gli anarchici hanno svolto un ruolo significativo nel proteggere la forma orizzontale di organizzazione aperta che ha creato un forum per l'auto-chiarificazione del movimento e un quadro per la manifestazione materiale di questa chiarificazione. Tuttavia, un numero significativo di partecipanti, forse la maggior parte, non stanno protestando come risultato di una opposizione ideologia cristallizzata. La maggior parte, a quanto pare, partecipa a causa di un senso di rabbia, disgusto, o una sensazione più generale che il troppo è troppo, è ora di basta collettivamente alla dittatura del denaro. Le ideologie di questi manifestanti assumono tipicamente la forma di abitudini di pensiero che sono legate all’organizzazione materiale della vita sociale da parte del capitale. La volontà di inserire il proprio corpo prima di una fila di poliziotti antisommossa è un'indicazione della misura in cui queste abitudini di pensiero non sono più sufficienti per spiegare la realtà vissuta nella vita quotidiana. E' l'esperienza diretta di partecipare ad una opposizione collettiva che scopre visioni alternative e possibilità che si trovano al di là di queste abitudini e al di fuori di soluzioni stataliste alla crisi.

Cosa si deve fare?

Le occupazioni hanno postulato ancora una volta il sempre presente paradosso per i pro-rivoluzionari. Come si fa a partecipare a un movimento che non ha ancora ipotizzato la rivoluzione come suo obiettivo cosciente? In che modo noi sosteniamo le lotte quotidiane e lotte singole pur affermando che solo una trasformazione rivoluzionaria di tutte le relazioni umane può essere in grado di invertire l'auto-distruzione planetaria che il capitalismo propone? Cerchiamo di essere chiari. Noi non crediamo che esista una via d'uscita dalla crisi nel quadro del dominio capitalistico della società. L'universo proposto da capitale è un universo totale con il potere di assorbire, ingerire e metamorfizzare tutto ciò che viene che gli viene fornito. Si riduce tutto a una moneta unica negoziabile. Tutta l'esistenza è concepita come una serie di scambi che non fanno alcuna distinzione nella ricchezza della differenza. Ogni esistenza è commensurabile con ogni altra nel campo della visione capitalistica. Ciò che non può essere ridotto in quanto tale è, nel migliore dei casi impotente e irrilevante, nel peggiore dei casi violentemente represso. Si tratta di un mondo in cui ogni uomo ha il suo prezzo e il tempo è denaro. All'interno di questo universo non c'è spazio per la vita.
I movimenti Occupy, a loro modo unici, con mille voci diverse, si sono alzati e chiedono vita. Attraverso le loro voci e con le loro azioni, stanno ipotizzando un altro mondo, tra le crepe che sono apparse nel dispiegarsi della crisi attuale. Si tratta di un mondo umano che rompe con il nesso del denaro, dove “se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto con il mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia, […] Ognuno dei tuoi rapporti con l’uomo, e con la natura, deve essere una manifestazione determinata e corrispondente all’oggetto della tua volontà, della tua vita individuale nella sua realtà” K.Marx, Manoscritti economico filosofici, 1844
Questo è il rifiuto delle astrazioni di calcolo che riducono ogni individuo ad una massa di materia prima per l’espansione economica. E' anche un rifiuto della subordinazione di ogni singolo essere di divenire architettura astratta teorica e algoritmo di una vita amministrata. C'è una comprensione istintiva che si manifesta in Occupy, una comprensione che l'integrità dell'individuo può davvero essere protetta collettivamente nella lotta contro tutto ciò che lo svilisce.

I pro-rivoluzionari che immaginano un mondo di relazioni umane comuniste dovrebbero comprendere Occupy come un momento critico di auto-realizzazione. Dovrebbe essere tra i primi compiti quello di difendere il carattere di autonomia generativa delle Assemblee Generali, come un crogiolo essenziale per esplorare e sviluppare nuove visioni delle relazioni umane, come un forum di resistenza. Dovrebbe essere il compito incessante dei comunisti criticare l'evoluzione del capitalismo, dimostrando la sua traiettoria verso l'inevitabile crisi, una traiettoria che è codificata nella struttura stessa del capitale. Si deve fare ogni sforzo per incoraggiare tutte le tendenze per collegare Occupy in generale alle lotte specifiche nei punti di produzione e distribuzione al fine di contestare il capitale nel suo centro funzionale. I pro-rivoluzionari devono chiarire l'impossibilità di tutte le soluzioni stataliste o riformiste alla crisi, le cui richieste avranno successo solo nel rafforzare il dominio del capitale e l'illusione di uno Stato neutro. Ma, allo stesso modo, i pro-rivoluzionari devono sostenere tutte quelle esigenze immediate che emergono nelle lotte che non dipendono da una migliore regolamentazione del capitale, che non chiedono l'intervento dello Stato, ma chiedono, in tanti modi, che il capitale deve rinunciare al suo potere per coloro che chiedono vita. Il capitalismo non dà nulla senza combattere!
Un movimento di questa natura deve crescere e svilupparsi o sparire. Non può rimanere stazionario. Ad un certo livello possiamo dire che la vittoria provvisoria di Occupy, contro ogni previsione, è la battaglia per l'immaginario sociale. Il discorso politico sta cambiando, e se Occupy finirà domani, i riverberi di ciò che è stato compiuto, come un tuono, non saranno presto dimenticati.

Note

1) Il miglior esempio di produttore/consumatore sarebbe il social networks Facebook, Youtube ecc Quando si usa Youtube in qualità di consumatore si è allo stesso tempo creatori del contesto per la necessaria espansione della produzione. Il social network non funzionerebbero se il consumatore non fosse nello stesso momento un produttore. Tali relazioni funzionali si estendono ben oltre i social network.

2) Il trickle-down effect è un fenomeno di marketing che interessa molti beni di consumo. Inizialmente un prodotto può essere così costoso che solo i ricchi se lo possono permettere. Col tempo, tuttavia, il prezzo scenderà fino a che è poco costoso, abbastanza per essere acquistato dal grande pubblico. (ndt)