18.12.14

Anonimi militanti

 
"La Rivoluzione non ha bisogno nè di eroi nè di martiri ma di anonomi militanti"
                                                                                                                               Lenin

Gli scioperi in Belgio sono di esempio per tutti i lavoratori europei

Lunedì 15 dicembre sarà la data culmine di un lungo periodo di scioperi e agitazioni che scuotono il Belgio dall’estate
Il nodo attuale sono le misure decise, su pressione europea, dal governo Michel (nota 1), insediatosi dopo quattro mesi di trattative nell’ottobre 2014: 11 miliardi di € di risparmi sul bilancio in 5 anni, l’aumento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni, tagli alla sanità, tagli salariali (riduzione dell’aggancio dei salari all’inflazione con un risparmio di circa 3 miliardi di € e una perdita pro capite per ciascun lavoratore di 340 € all’anno), taglio degli assegni sociali e di disoccupazione, riduzione del diritto di sciopero.
L’argomentazione principale dei sindacati, che hanno realizzato un fronte unitario di azione, è che tutti i tagli riguardano i lavoratori, che sono fra l’altro i più tassati d’Europa, mentre le rendite finanziarie e immobiliari sono esenti
A onor del vero Michel prosegue sulla linea di austerity impostata dal precedente governo di Elio Di Rupo nel triennio 2011-14. Quello che ha fatto la differenza è che i socialisti, esclusi dal governo per la prima volta da 26 anni, hanno spinto le burocrazie sindacali, prima assai tiepide e conciliatorie, a prendere la guida della protesta operai, anche perché rischiava di sfuggire loro di mano. Le lotte infatti hanno sorpreso i burocrati sindacali per estensione e durezza (La Libre 8 novembre). Se il nuovo governo vira a destra, alle elezioni il PTB+ (una coalizione di Partito dei lavoratori del Belgio, Partito Comunista belga e Lega Comunista rivoluzionaria) ha superato lo sbarramento del 5%. Questo a ridato energia a frange sindacali indipendenti e radicali che hanno costretto i sindacati tradizionali a impostare una serie di scioperi coordinati da un fronte unitario (a cui aderiscono SCS , FGTB Federazione generale dei lavoratori belgi, FGSLB ecc). I burocrati di lungo corso stanno in realtà trattando col governo lontano dalle luci della ribalta, ma intanto hanno avallato le lotte.
A fronte dei lavoratori che vedono peggiorare le loro condizioni sta una classe dirigente di grandi ricchi (il Belgio paese di antica industrializzazione e di capitalismo maturo presenta una concentrazione della ricchezza, in particolare finanziaria notevole) e una classe politica disgregata e incapace di trovare formule di governo stabili (fra il 2010 e il 2011 il paese restò senza esecutivo per 18 mesi). Quindi un paese in continua crisi di squilibrio caratterizzato da successo economico e inefficacia della rappresentanza politica, spaccato in due dall’eredità storica (la metà olandese e la metà francese, fiamminghi contro valloni), che deve fare i conti con una immigrazione consistente dall’Africa e dai paesi arabi . Ospitando nella sua capitale le principali istituzioni europee, i lavoratori trovano facilmente modo di unire la contestazione del proprio governo alla contestazione dei burocrati europei.
E se il partito vittorioso alle ultime elezioni (33% dei voti), NVA (Nuova Alleanza Fiamminga) è parzialmente euroscettico, la maggior parte dei fiamminghi vagheggia un secessionismo più o meno radicale, con annesso taglio delle spese sociali e un indurimento delle politiche anti-immigrazione (l’NVA ha espresso l’obesa leader De Block responsabile di 13 mila immigrati arrestati nei primi sei mesi del 2013; record di richiedenti asilo respinti in patria che poi sono stati uccisi, brutalità della polizia contro gli immigrati). Insomma l’NVA è una versione belga del leghismo nostrano, ma con un peso economico ed elettorale di ben altra consistenza (i fiamminghi sono il 58% della popolazione, che si attesta sui 10,6 milioni).
Le proteste sindacali sono iniziate a partire dal 2012 nell’area vallona, il sud un tempo centro di un impero minerario siderurgico, travolto negli anni ’60 dalla ristrutturazione internazionale e quindi oggi povero e “assistenzialista”, dove cioè il taglio del welfare colpisce strati ampi di lavoratori e pensionati impoveriti. Pian piano si sono estese al nord, ricco e produttivo, dove però si comincia a scontare la chiusura di alcune fabbriche, una parziale crisi del porto di Anversa, i tagli pesanti nelle ferrovie .
Come la politica così anche le azioni sindacali sono pesantemente condizionate dalla doppia anima linguistica del paese.
Sono stati i ferrovieri per primi a rompere lo schema, su iniziativa della CGSP, e a impostare scioperi in tutto il territorio nazionale paralizzando il paese fra giugno e luglio, forti di una tradizione organizzativa e rivendicativa di tutto rispetto. Ma anche nel loro caso mentre in Vallonia e a Bruxelles non ha viaggiato alcun treno, nelle Fiandre era operativo un treno su tre; tuttavia il danno inflitto agli Eurostar e al gestore internazionale Thalys è stato notevole. La protesta riguarda la “riforma” ferroviaria cioè la netta separazione del gestore dell’infrastruttura (pubblico) dall’operatore (privatizzato) con creazione di rami indipendenti (logistica, trasporto merci, passeggeri, controllo informatico), che ha comportato tagli del personale, espansione dei contratti a termine o stipulati tramite cooperative, l’apparto di certi servizi. Peccato che la loro lotta non sia stata collegata a quella dei ferrovieri tedeschi, francesi e svedesi che sono state quasi contemporanee.
L’atmosfera si è scaldata in ottobre con una serie di scioperi regionali fra il 16 e il 24 ottobre: i manifestanti avevano bloccato l’attività del porto di Anversa, chiuse scuole, uffici, supermercati.
Il 6 novembre concentrazione di operai a Bruxelles (circa 150 mila), la più importante dagli scioperi del 1960-61, con presenza di delegazioni dal settore chimico farmaceutico, trasporti, porti, acciaio, aerospaziale (con massa d’urto rappresentata da portuali e siderurgici). Importante il superamento degli steccati linguistici. Presenza anche di studenti e centri sociali. La manifestazione è punteggiata da scontri di piazza, vengono caricati dalla polizia i portuali di Anversa (molti feriti, trenta arresti). Gruppi neo nazisti attaccano fisicamente il Partito Socialista, francofono, che ha messo il cappello politico alla manifestazione
I giornalisti notano nei cortei la presenza di n numerosi giovani, arrabbiatissimi, provenienti da Liegi, dove molte fabbriche fra cui la Mittal hanno chiuso e pronti allo scontro fisico c0n la polizia; sono loro che hanno occupato la sede di Confindustria a Bruxelles e bloccato la circonvallazione esterna della capitale.
Il 24 novembre sciopero “regionale” a Anversa, Hainault, Limburgo e Lussemurgo che riesce perfettamente corredato da picchetti, riguardanti circa 400 luoghi di lavoro con più di 100 dipendenti, blocchi stradali, cortei. Viene bloccata tutta la produzione delle industrie hi-tech. Bloccato l’aeroporto di Charleroi,. Fermi tutti gli autobus e i treni, i centri commerciali, banche , scuole, ospedali. Scioperano anche i netturbini e i giudici.
L’8 dicembre in coincidenza della riunione dell’Eurogruppo, Bruxelles è paralizzata. Incide soprattutto lo sciopero dei trasporti (autobus, treni e metropolitane e l’aeroporto di Zaventem). I ferrovieri bloccano l’intero paese e anche i collegamenti delle principali città (Anversa, Namur, Liegi) con il resto d’Europa. Picchetti sbarrano l’entrata di più di 300 imprese nel Brabante, sia fiammingo che vallone (nota 1). Bloccati i corrieri privati; blocchi stradali sulle arterie di collegamento extraurbano. Bloccate le lezioni in tutti gli ordini di scuola. Picchetti anche davanti ai supermercati (Le Soir 9 dicembre). Ai cortei partecipano gli universitari, gli attori dei teatri, ma anche le piccole officine. Sono stati diffusi 1, 2 milioni di volantini
Questa breve rassegna degli avvenimenti ci permette di verificare le somiglianze con la situazione italiana (là la polizia picchia i portuali, qui i metalmeccanici, simile la ristrutturazione delle ferrovie, simili gli obiettivi iugulatori hesie). La grossa differenza è che tutto quello che i lavoratori belgi stanno per perdere (welfare, contingenza, contratti a tempo indeterminato ecc), gli italiani l’hanno perso molti anni fa (salvo forse l’età pensionabile)
In conclusione c’è un’aria di famiglia nei comportamenti delle borghesie europee, ma certamente i lavoratori belgi hanno combattuto meglio le loro battaglie di difesa e hanno, per loro fortuna, ancora molto da perdere e stanno ancora combattendo con grande vigore, così come hanno fatto i lavoratori greci prima di loro. E con le loro lotte mandano un forte segnale ai lavoratori italiani.
1) Il governo di Michel, un liberalista francofono che guida il MR (Movimento di Riforma) comprende i principali partiti fiamminghi di destra fra cui NVA (Nuova Alleanza fiamminga), che grazie al 33% dei voti ha ottenuto i ministeri più importanti (le finanze, gli interni, la difesa e la funzione pubblica), CD&V (Partito cristiano democratico fiammingo) e Open VLD (Partito dei Liberali Democratici Fiamminghi Aperti).

Togliatti l'infame

Dal sito: Avantibarbari.it

(...) Riproduciamo quindi quanto il programma comunista scrisse dopo la sua [di Palmiro Togliatti] dipartita a Yalta nell'agosto del 1964 e un simpatico articolo successivo motivato dal ricordo che, a un anno dalla morte, ne fece Rossana Rossanda dalle colonne di «Rinascita».

La controrivoluzione ha esaltato se stessa piangendo un suo figlio e strumento

Quando, nel 1956, il XX congresso del partito pseudocomunista russo rovesciò il culto dell'eroe-Stalin nell'anti-culto dello Stalin-demonio, noi ci chiedemmo nel «Dialogato coi Morti» se ci trovavamo di fronte ad «un congresso di marxisti demolitori del culto della Personalità o non piuttosto di professionali lustratori di stivali, che reagivano alla disoccupazione costituendo una cooperativa di geni da dozzina», ed era una domanda in cui era implicita la risposta: «Da Stalin ad un comitato di sottostalinisti, nulla è capovolto». E vi era implicita la spiegazione: il culto della personalità è l'ossigeno in cui vivono il parlamentarismo, l'elettoralismo, la democrazia, e quindi il veleno di cui muore la rivoluzione: «Come si pigliano voti - e quella gente avrà da pigliarne ancora - se non si usa il mezzo base del tifo per l'uomo politico? Come si conserverebbero le ondate di simpatia per i simboli del fronte popolare o dell'unità del lavoro se non con la frenesia per le gesta del men che mediocre materiale umano, di leva nazionale, provinciale o paesana, suscitata coi soliti mezzi nelle masse amorfizzate e diluite nel gregge degli «onesti, dei «buonvolontisti» e simili?».

Queste parole ritornano alla nostra mente oggi, dopo la regia colossale dell'apoteosi del Migliore, inscenata nello stile più puro del culto della Personalità viva o defunta, fra preghiere di sacerdoti in sottana nera o in abito civile, fra piagnistei di lustratori di stivali in veste di «uomini di cultura» alla ricerca di una pubblicità rumorosa e popolaresca, fra discorsi inneggianti all'immortalità appunto del genio, sia pure da dozzina, come arma pubblicitaria per raccogliere voti a favore dei geni da strapazzo ancora in vita. Ma, per noi che non crediamo né al demiurgo creatore di storia né al demone disfacitore di storia, questa apoteosi di uno fra i più squallidi rinnegatori del marxismo ha un solo significato reale, obiettivo, storico: è l'apoteosi non del riformismo classico che era almeno «una cosa seria», ma del super riformismo moderno, cioè di una risibile, miseranda cosa di fronte al giganteggiare delle nubi grevi di lacrime e sangue pesanti sull'esercito innumere degli sfruttati. E' stato questo il protagonista dei riti di magia nera organizzati dalle Botteghe Oscure per le vie di Roma: non un uomo, ancora una volta, ma una realtà oggettiva, una forza impersonale, una macchina di sfruttamento e di oppressione. Di questa forza, di questa macchina anonima, l'uomo chiuso nella bara era stato uno strumento; in lui si celebrava essa, la controrivoluzione che ha riempito di sangue proletario le fosse di tutta la terra, che ha fatto rotolare - ogni volta con telegrammi di plauso di Togliatti a Stalin - le teste non solo dei grandi rivoluzionari della vecchia guardia bolscevica, ma di migliaia e centinaia di migliaia di proletari oscuri dell'eterno ceppo marxista: ben s'inquadrava in questa cornice la preghiera papale al morente, ben ci stava l'epitaffio che da tutte le parti della barricata democratica è stato scritto al defunto!

Prendiamolo, questo epitaffio, come il monito lanciato ai vivi della controrivoluzione mondiale. «E' morto un grande italiano»: dunque, un rinnegatore della fiammeggiante tesi marxista che «i proletari ( e a maggior ragione i comunisti) non hanno patria». Era (giusto, Breznev!) un «autentico patriota»; dunque, un seppellitore dell'internazionalismo, senza il quale il socialismo cessa semplicemente d'essere socialista. Indicò «vie nazionali» al «popolo»; nessuna Internazionale rivoluzionaria e proletaria potrà più rinascere dalla congrega sfilante dietro la sua bara. Volle «la pace»; quindi negò la rivoluzione che sola può uccidere la guerra. Giurò sulla «democrazia»; quindi abiurò per sempre quello che secondo Marx è il cardine distintivo del comunista, la dittatura della classe oppressa sulla vinta classe sfruttatrice. Lottò per il «progresso»; dunque, per l'ideologia borghese di uno sviluppo tranquillo della «civiltà» contro l'ideologia della rottura rivoluzionaria della borghese «società civile». Combatté per il «benessere delle classi lavoratrici»; dunque, non per una società nuova, in cui non ci saranno più classi, ma per la società di oggi condita di qualche riforma destinata - come sognano i riformisti di origine socialista, o i riformisti di ceppo borghese alla Keynes - a distribuire «meglio» i redditi e i consumi lasciando in piedi il meccanismo della produzione di merci. Inneggiò alla «coesistenza pacifica fra regimi sociali diversi»; dunque (vero Mikoyan?), inneggiò al commercio, allo scambio monetario, all'interpenetrazione di due supposti mondi sociali diversi; dunque, alla piena restaurazione e generalizzazione del sistema capitalista, mercantile, salariale, attuariale, alla ricostruzione delle classiche categorie dilette ai borghesi, del profitto, dell'interesse, della rendita, dell'utile aziendale e via discorrendo, che proprio in questi giorni gli eminenti accademici Trapeznikov e Volkov contrabbandano a Mosca come squisitamente «socialiste»; dunque, al modo di produzione chiamato prima o poi (se manca l'incendio rivoluzionario) a travolgere nel baratro della guerra qualunque «benessere», «progresso», «pacifico accordo», «scambio onesto». (L'Unità, rinunziando in un primo tempo a parlare di Togliatti come del fondatore del P.C.d'Italia a Livorno e rivendicandogli il merito - reale per dei borghesi - di aver creato un «partito nuovo di tipo nazionale» dopo il '26, ha ricordato con orgoglio che, di fronte al primo conflitto mondiale, il giovane Migliore si schierò con quelli che lo videro dall'angolo delle particolari «questioni nazionali italiane»; insomma, con gli interventisti: su questo terreno la «coerenza» c'è dunque stata, in lui, dal principio alla fine; e ci sarà nel partito dopo la sua morte). Fu un «flessibile», un «creatore» aderente al «concreto»: infatti, cambiò vela ogni volta che il vento dominante mutava senso, ed è inutile che qui ne ricordiamo le tappe, dal filo estremismo al filo bucharinismo, dal pieno stalinismo fino all'anti ... stalinismo di comodo. Val la pena (senza cedere al vomito) di continuare? Nel suo discorso di addio, Longo ha definito così quello che «il Partito comunista italiano ha sempre affermato e afferma»: «difesa e sviluppo della democrazia, libera dialettica fra tutti i partiti e tutte le forze democratiche, necessità di una loro collaborazione in un sistema di ampie autonomie, rispetto della libertà religiosa e della libertà della cultura». E' questo il corteo di divinità (unite alla pace, alla coesistenza, all'affermazione della personalità umana e via elencando) che è sfilato per Roma: non un cadavere ma forze malauguratamente vive - le forze del più feroce, del più sbracato, del più squallido ultrariformismo. Ad esso andava l'apoteosi di tutti dietro la facciata dell' «unanime cordoglio» per il collega in «creatività», cioè in rifriggimento in centomila varianti dell'antico testamento idealista. e democratico, e borghese.

Nel 1956 scrivemmo:

«Proprio la controrivoluzione è «creativa», e le si scoprono, vivendo la storia, le più nuove e inattese forme e manifestazioni. In questo senso abbiamo molto appreso da mezzo secolo di tradimenti al proletariato socialista.

«E' la rivoluzione che è una; ed è sempre lei, nel corso di un arco storico immenso che si chiuderà come si è aperto e dove ha promesso; dove ha appuntamento forse con molti dei vivi, ma certamente coi nascituri, come coi morti: questi sapevano che essa non manca mai, non inganna mai. Essa, nella luce della dottrina, è già scontata come cosa vista, cosa viva».

Su essa, e solo su essa, noi giuriamo.

il programma comunista, n. 16, 7 settembre 1964 


Un apostolo della Santa Inquisizione

Nel primo anniversario della morte, Palmiro Togliatti è stato ricordato da «Rinascita» sulle cui colonne Rossana Rossanda analizza l'influenza esercitata dal capo dello stalinismo italiano sulla «cultura» del «ventennio» post-fascista. A questa analisi noi vogliamo offrire un piccolo, modesto contributo.

Quando nel 1936 il Cremlino diede inizio ai «processi-purga» con cui fu liquidata la vecchia guardia bolscevica, Palmiro Togliatti scrisse un lungo saggio intitolato: «Gli insegnamenti del processo di Mosca» apparso sulla rivista «teorica» del P.C.I. all'estero, «Stato Operaio». Di questa, gli Editori Riuniti hanno recentemente pubblicato una antologia in due grossi volumi, ma chi li sfogli non trova nemmeno la traccia del sullodato saggio di Togliatti. Franco Ferri, curatore dell'antologia e grande storico... obiettivo, non fornisce ragione alcuna né della scelta né delle omissioni, ma la ragione dell'una e delle altre è evidentemente una sola: stendere una foglia di fico sulle vergogne dello stalinismo italiano. Nell'attesa dunque che il saggio di Togliatti venga finalmente ripubblicato, non ci resta che raccomandarci all'obiettività del senatore Umberto Terracini, avendo egli promesso dalla tribuna del recente congresso del P.C.I. un'edizione completa delle opere di Togliatti. Noi lo ringraziamo in anticipo e affermiamo senz'altro che se avessimo avuto qualche milione da spendere avremmo già da tempo pubblicato l'opera omnia di Togliatti, così come i cinesi stanno pubblicando in Cina l'opera omnia di Kruscev. Poter seguire nel tempo le evoluzioni di una delle più tipiche figure (o vorremo dire «figuri»?) della politica stalinista può rappresentare un'ottima propedeutica, nonché un'operazione utile alla salute, essendo una fonte di inesauribile spasso.

Nell'attesa abbiamo rintracciato il saggio «Gli insegnamenti del processo di Mosca», e di esso vogliamo servirci per recare il nostro modesto contributo all'analisi che Rossana Rossanda ha iniziato su «Rinascita» intorno all'influenza di Togliatti sulla «cultura» del «ventennio» post-fascista. Orbene , nel saggio citato, il «Migliore» fece sfoggio delle sue brillanti doti di intellettuale formatosi alla scuola di Gramsci e Gobetti, e manifestò la finezza del suo gusto letterario in titoli di questo genere: «La collaborazione della polizia con i banditi trotzkisti».

Ma una delle qualità più spiccate di Palmiro fu, come è noto, il suo grande amore per la tolleranza, poi manifestatosi appieno nel «dialogo» da lui iniziato con il Papa di Roma. Non per nulla gli Editori Riuniti hanno recentemente ripubblicato il noto scritto di Voltaire, il quale era un nemico spietato del cattolicesimo, con l'introduzione di Togliatti, il quale lustrò gli stivali del re d'Italia e baciò in effigie la sacra pantofola. La profonda umanità che ha caratterizzato la vita di Palmiro è universalmente riconosciuta. E dunque, noi vogliamo citare un passo del sullodato saggio «Gli insegnamenti del processo di Mosca» che dimostra ancora una volta quanto Togliatti fosse «umano» e «tollerante».

Nel 1937 vi erano dei «mostri» e dei «banditi» che si permettevano di porre in dubbio le confessioni estorte agli accusati nei processi-purga di Mosca. Vi erano dei «criminali» che dinanzi alle affermazioni di Togliatti - «la collaborazione della polizia con i banditi trotzkisti» - avevano il coraggio inaudito di domandare semplicemente: Dove sono le prove?!?

E Togliatti, nel 1937, rispose. Rispose a questa domanda con un acume, una profondità, una umanità, una tolleranza, degni di passare alla storia. Rispose con le seguenti, memorabili, parole: «Nessuno può mettere in dubbio l'autenticità di fatti confermati da una riprova che è sempre stata considerata, da quando esistono al mondo una giustizia e dei giudici, come decisiva e irrefutabile: la confessione degli accusati» ( Da «Gli insegnamenti del processo di Mosca», in «Il complotto contro la rivoluzione russa» E.A.R., 1945, p. 40).

Quando le streghe confessavano di fare all'amore con il diavolo, si possedeva dunque la prova della loro colpevolezza, e in nome della giustizia dovevano essere bruciate vive! E la Santa Inquisizione era un modello di «tolleranza» e «umanità». A questo modello Palmiro Togliatti si è ispirato nel corso della sua vita e gli «intellettuali» italiani passati dal fascismo all'antifascismo possono guardare alla sua figura come ad uno specchio in cui contemplare se stessi.

il programma comunista, n. 9, 25 maggio - 10 giugno 1966

14.12.14

Mafia DEL capitale

Da giorni tiene banco sui giornali l’inchiesta sulla cosiddetta Mafia capitale, l’organizzazione criminale che manipolava la vita economica dell’urbe fra commesse clientelari, mazzette e legami malavitosi.
Ciò che sorprende non è tanto la presenza del malaffare nella politica: da diverso tempo le inchieste su rimborsi elettorali, tangenti per le opere pubbliche e tesseramenti falsi che mascherano finanziamenti occulti ci hanno abituato alla simbiosi fra illegalità e politica borghese.
Casomai colpisce l’estensione e la penetrazione nel mondo della politica di questa “società per azioni a delinquere” che aveva i propri referenti un po’ in tutti i partiti e che era sempre pronta a saltare da uno schieramento all’altro a seconda di chi fosse il vincitore nella competizione elettorale. Infatti se le principali accuse si concentrano sulla passata gestione del comune – quella della giunta di destra guidata dell’ex missino Gianni Alemanno – fra arrestati e indagati non mancano certo esponenti locali del Partito Democratico (l’assessore alla Casa Daniele Ozzimo, il responsabile della direzione Trasparenza Italo Walter Politano – alla faccia della trasparenza! –, Luca Odevaine, ex capo di gabinetto dell’allora sindaco Walter Veltroni…). Colpisce che ai vertici della “cupola imprenditoriale” ci fossero due criminali riciclati, l’omicida Salvatore Buzzi, ma soprattutto l’ex terrorista nero Massimo Carminati, uomo passato per i NAR e la Banda della Magliana, usato da apparati dello stato per i lavori sporchi.
Quello che però è più significativo è la particolarità di una organizzazione mafiosa che agisce non solo nell’illegalità ma spesso ai suoi confini: se non disdegna l’usura e l’estorsione, il suo business principale è la gestione dei servizi pubblici e sociali, dei campi nomadi, dei centri di accoglienza per gli immigrati. Come diceva Buzzi al telefono coi suoi “compari” (o coi suoi soci d’affari, che dir si voglia): “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”.
E per la protezione di questo business che dipende strettamente dalle commesse pubbliche, i membri della cupola non risparmiano soldi: uomini politici su libro paga, ma anche a dirigenti delle partecipate; infatti da un vero e proprio libro mastro di Salvatore Buzzi sarebbero emersi 15.000 euro al mese per l’amministratore delegato dell’AMA Franco Panzironi, 5.000 per il dirigente Eur SpA Carlo Pucci, altrettanti per Luca Odevaine, 10.000 euro una tantum per il consigliere regionale PD Eugenio Patanè, 75.000 euro in cene elettorali per Gianni Alemanno, e così via. Ma anche finanziamenti a fondazioni e comitati elettorali: 40.000 euro alla fondazione Nuova Italia di Gianni Alemanno, 30.000 per la Fondazione Alcide De Gasperi presieduta da Angelino Alfano, 10.000 al comitato elettorale di Emma Bonino che si era candidata alla presidenza della Regione Lazio. Una vera e propria attività di lobby per la difesa dei propri interessi economici, per coltivare e ampliare quei legami con la politica che garantivano accesso privilegiato a lavori che avrebbero dovuto ridurre il disagio sociale ma che fruttavano milioni a danno delle casse dello stato.
Una foto del 2010 ritrae il ministro del Lavoro Gianni Poletti a cena con Buzzi, Alemanno, Panzaroni e Ozzimo, cena che secondo Umberto Croppi, ex assessore alla Cultura nella giunta Alemanno, era stata organizzata per festeggiare un nuovo sistema di finanziamento che permettesse di pagare le cooperative (in questo caso, la coop “29 giugno” di Buzzi) nonostante il comune avesse le casse vuote. Poletti, presente in quanto Presidente della Lega delle cooperative, a cui aderisce la “29 giugno”, si difende: “se fai il presidente delle Coop o di Confindustria e della Confartigianato o di qualsiasi associazione di qualche rilievo, è ovvio che partecipi a tante iniziative e incontri tante persone […] inevitabilmente partecipi a migliaia di incontri e di certo non puoi conoscere tutti quelli che aderiscono alla stessa iniziativa”.
Quella foto è solo l’aspetto di maggiore rilevanza mediatica riguardo alla collusione fra il mondo delle cooperative e quello del crimine. Come sanno bene i compagni che operano nelle lotte della logistica, le cooperative spesso si configurano come associazioni a delinquere finalizzate all’evasione fiscale e contributiva, oltre che allo sfruttamento schiavistico. I soci-lavoratori fanno orari di lavoro massacranti con salari orari ridottissimi, salari su cui vengono fatte ulteriori decurtazioni sia derogando dal pur miserrimo contratto nazionale, sia frodando sul conteggio delle ore lavorate. E non mancano gli interventi diretti della criminalità organizzata che vede nelle cooperative un ottimo investimento sia per il riciclaggio del denaro sporco sia per lo sfruttamento brutale della manodopera.
Ora Renzi si erge a censore, promettendo un inasprimento delle pene per corrotti e corruttori. Questo nonostante fra gli arrestati ci sia qualche suo commensale alla cena di finanziamento del PD (la famosa cena da mille euro), nonostante abbia fatto approvare un Jobs Act che estende le precarietà rendendo i lavoratori più ricattabili da padroncini senza scrupoli come quelli delle cooperative, e un decreto Sblocca-Italia che elimina controlli e vincoli ambientali rendendo più facili abusi edilizi e corruzione.
In un mondo fondato sullo “spietato pagamento in contanti” è inevitabile che le istituzioni “democratiche” siano un comitato d’affari per meglio organizzare lo sfruttamento, che la tangente sia un investimento, la politica una continuazione della carriera con altri mezzi, l’illegalità un campo d’azione come gli altri. Quella di Roma è la “mafia del capitale”, la semplice evoluzione di un sistema che punta a massimizzare il profitto con ogni mezzo, sia esso lo sfruttamento più brutale dell’uomo sull’uomo o l’organizzazione mafiosa; un sistema ampiamente tutelato da chi oggi si scandalizza davanti alle telecamere mentre dietro le quinte continua gli intrallazzi col potere economico, legale o meno, intrallazzi dai quali può ricavare finanziamenti e appoggi per l’attività politica e spesso anche vantaggi personali.
Solo un sistema fondato sui bisogni dell’uomo e non sul motto pecunia non olet potrà porre definitivamente fine sia alle cosche mafioso-imprenditoriali che sono parte integrante della borghesia, sia allo sfruttamento su cui si fonda ogni attività economica capitalista, legale o illegale che sia. Per questo serve un’organizzazione politica che sappia contrapporre una prospettiva rivoluzionaria all’inevitabile corruzione del sistema politico borghese, che dia coscienza politica alla sempre più estesa indignazione testimoniata dalla crescente astensione alle elezioni, che unisca le forze rivoluzionarie contro le politiche del grande capitale e i populismi reazionari, che guidi i lavoratori alla conquista di una società senza classi.


Es criminal..

"Es criminal no enseñar la auto defensa a un pueblo que es víctima constante de ataques brutales..."
                                                                                                                         Malcolm X