5.3.13

Miseria del fair trade


«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»: è una preghiera della silenziosa semplicità, che non converrebbe alla bocca di un popolo che sia cosciente della sua padronanza dei mezzi di sussistenza e che non può assolutamente avere solo il pensiero del pane di un giorno; un tal popolo può invece pregare per la prosperità del tutto, per una natura amica; pregare non è allora chiedere (F. Hegel, Scritti teologici giovanili, II, p. 551, Guida editore)

«Battersi per una povertà dignitosa»: è l’utopia rivoluzionaria di Frans Van der Hoff, il teologo olandese che ha “inventato” il cosiddetto mercato equo e solidale, ossia una delle forme che il Capitale, nella sua infinita saggezza, ha sperimentato per espandere in ogni luogo del pianeta i suoi meravigliosi rapporti sociali. Naturalmente il nostro pio olandese non è d’accordo con la mia tesi, e difatti nel suo Manifesto dei poveri scrive quanto segue: «Il capitalismo non esiste che da duecento anni e noi abbiamo potuto constatare, in modo definitivo, che le contraddizioni che gli sono proprie portano in se stesse i germi del suo superamento: il commercio equo e solidale è uno di questi» (F. V. der Hoff, Manifesto dei poveri – il commercio equo e solidale: per non morire di capitalismo, Il Margine ed.).
Lungi dal superare il Capitalismo, il cosiddetto fair trade e ogni altra forma di iniziativa “economicamente corretta” (tipo Banca Etica, Finanza Etica, Moneta Etica ed eticherie di simile fattura) rappresentano appunto una delle tante strade che menano al suo sviluppo. In linea di principio il Capitale non discrimina sul piano etico, razziale, religioso, sessuale, politico: tutto ciò che non ne mette in discussione la radice sociale, ossia la forma salariale del lavoro e la forma mercantile del prodotto del lavoro sociale (di cui il denaro ne è l’espressione più genuina e mistificata), si presta potenzialmente a diventare un suo strumento di sviluppo. È la potente astuzia del Capitale. «La verità è che in questa società borghese ogni lavoratore, purché sia un tizio intelligente ed astuto, e dotato di istinti borghesi, e favorito da una fortuna eccezionale, ha la possibilità di trasformarsi in sfruttatore del lavoro altri» (K. Marx, Il Capitale, libro primo, capitolo sesto inedito).

Non c’è dubbio che Frans Van der Hoff sia dotato di intelligenza e di istinti borghesi. L’astuzia non è decisiva nel singolo: essa è immanente alla dialettica del Capitale, questa vera e propria potenza sociale demoniaca – un linguaggio quanto mai appropriato all’oggetto di cui si tratta. Che il fair trade possa favorire il superamento dell’attuale crisi economica (non del Capitalismo!) è cosa che sta nell’ordine “naturale” delle cose, e ciò può scandalizzare solo chi non comprende l’essenza della Società-Mondo del XXI secolo: da New York a Tehuantepec.

A proposito di «utopia rivoluzionaria»: ovviamente stavo facendo dell’ironia. Lo sviluppo capitalistico è bensì rivoluzionario, perché plasma e riplasma sempre di nuovo la società, ma mai utopistico, per definizione. Chimerico è invece il pensiero di chi crede in un Capitalismo «dal volto umano», come “ai bei tempi” qualcuno sperava in una “umanizzazione” del «socialismo reale», la cui sola realtà era quella di non avere nulla a che fare col socialismo. La stessa Teologia della Liberazione si sviluppò in parte come critica dello stalinismo (vedi Cuba), ma su una base teorica e politica che non ne colpiva la radice, e che per questo si apriva alle più stridenti delle contraddizioni. Ma qui non è il caso di approfondire la cosa.

Sembra che l’operazione altromercatista abbia avuto un certo successo (si stima un fatturato mondiale annuo di oltre 4 miliardi di euro), e il buon teologo olandese non nasconde la sua legittima soddisfazione: «il fatturato è aumentato del 100%. Questo significa che oggi un campesino di Tehuantepec guadagna 4 dollari al giorno, mentre prima ne guadagnava solo 2». Dalla sterile carità alla costruzione di un Capitalismo ben temperato, per dirla con Romano Prodi, o benecomunista, per citare gli odierni cattostatalisti. Il Capitalismo può dunque conseguire simili obiettivi? La mia fede anticapitalistica vacilla, nicchia, tentenna. Ma è un attimo, e Il Capitale ritorna a risplendere nel mio cuore. Signori, il cinismo mi impedisce di apprezzare in tutta la sua gigantesca portata storica la vera e propria conquista umana maturata a Tehuantepec.

«L’idea è quella di accettare le regole dell’economia di mercato, ma interpretandole come interscambio di merci e non di denaro» (intervista rilasciata al Corriere della Sera del 16 ottobre 2006 dal «missionario olandese che usa sandali ai piedi e borsa di lana a tracolla»: com’è francescano tutto ciò!). Non si capisce dove insista la novità rivoluzionaria: la forma merce è la matrice del Capitale, mentre il denaro ne è la sua espressione più generale e, al contempo, più ingannevole, perché cela il rapporto sociale di dominio e di sfruttamento che crea la ricchezza sociale nella sua odierna forma mercantile. Nella merce si trova in forma «cristallizzata» quel plusvalore che presuppone l’esistenza del campesino come lavoratore sfruttato, come salariato, insomma come benefattore del Capitale, più o meno «equo e solidale», che lo sfrutta tutti i santissimi giorni.

Certo, per un tizio che ha come massima aspirazione la «povertà dignitosa», la sopravvivenza fisica del campesino può apparire alla stregua di una meravigliosa «utopia concreta». Miseria dell’«utopia concreta», avrebbe detto il trincatore di Treviri. È comunque quello che penso io. Ad esempio, quando il teologo olandese parla di «plusvalore della solidarietà», la tentazione di esorcizzarlo a furia di citazioni marxiane, e qualche calcio assestato sul pio fondo schiena, è forte. Evidentemente non sono sufficientemente equo, e per nulla solidale con chi proferisce luoghi comuni benecomuniti («L’economia dev’essere al servizio della gente, e non viceversa»: quasi mi commuovo!) come se fossero perle di saggezza, e per soprammercato – è proprio il caso di dirlo – ammantati da un’aureola di pseudo profetismo.

Non esiste alcun «altro mercato»: esiste solo questo mercato, un solo mercato capitalistico che oggi ha la dimensione geoeconomica del pianeta e la dimensione esistenziale dell’individuo – nel senso che siamo fatti a immagine e somiglianza delle plurime esigenze del Capitale. La stringente logica capitalistica del teologo (è olandese, a dimostrazione che la storia non è acqua) è lì a testimoniarlo nel modo più chiaro: «Ma anche in assenza di una nobile spinta, credo che il mercato equo e solidale sia destinato ad espandersi per una ragione molto semplice: i nostri prodotti sono di qualità notevole e spesso costano meno degli altri». Più mercantile di così!

Scrive il Nostro: «Il lavoro umano ha una sua dignità e un suo prezzo». A mio modesto avviso il lavoro che ha un prezzo, non importa se alto o basso (è una questione di sviluppo capitalistico e di condizione del ciclo economico), non può avere né dignità né umanità. Chi si batte per un prezzo “equo e solidale” della capacità lavorativa (altrimenti detta merce-lavoro o “capitale umano”) è un apologeta del Capitalismo, anche se in tutta onestà e buonafede pensa di affermare il più rivoluzionario dei pensieri che oggi la realtà ci consente di predicare e praticare.

C’è dunque un mercato per tutte le tasche e per tutte le etiche: per il rozzo e consumista cittadino, quello che vuole risparmiare persino sulla busta biodegradabile che gli propina il supermercato, come per il «consumatore critico e consapevole del nord», il cui potere d’acquisto, detto di passata, in genere è più alto rispetto alla media, perché anche la «spesa etica» ha un suo costo per così dire immanente: il plusvalore etico… Certo, bere una tazzina di caffè equo e solidale pensando di favorire con questo semplice gesto quotidiano lo sviluppo capitalistico nelle zone depresse del Messico, è cosa che fa perdonare il sovrapprezzo etico. Chi scrive purtroppo può permettersi solo il caffè da 1 euro a confezione, e per sua fortuna non ha alcuna consapevolezza etica: la sua coscienza, infatti, è più nera del cattivo caffè che manda giù! Ma nella notte del Capitalismo globale e mondiale tutte le coscienze non sono nere? Certo, fatta salva la coscienza del consumatore equo e solidale, nonché critico e responsabile.

«Abbiamo superato la protesta fine a sé stessa e la nostra protesta è ora intessuta di proposte specifiche. Socializzare i mezzi di produzione e socializzare il mercato è un’urgenza, ma non disponiamo di un nome per definirla» (intervista rilasciata da Hoff a Famiglia Cristiana.it, 18/05/2012). No, il problema non sta nel nome della cosa ma piuttosto nel suo concetto, e difatti Famiglia Cristiana può ospitare le “rivoluzionarie” idee del teologo olandese senza sentire il bisogno di chiamare l’esorcista, o la polizia. «Socializzare i mezzi di produzione»: e che ci vuole!

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