19.11.13

La repressione ha i piedi d'argilla

Gli scontri di venerdì 15 novembre a Napoli durante il corteo degli studenti medi, le cariche messe in atto dai servi dello Stato per difendere dalla rabbia della piazza la sede dell'assessorato regionale all'ambiente, tra i principali responsabili del lento genocidio compiuto contro la popolazione campana, e la caccia all'uomo scatenata nelle vie adiacenti con aggressioni a freddo e rastrellamenti di studenti fin dentro le sedi universitarie, sono l'ennesima riprova di come gli apparati repressivi stiano alzando il livello di scontro nel tentativo di colpire le avanguardie di lotta e far rientrare il movimento nella gabbia delle compatibilità e della loro legalità. Cio' in un contesto che ha visto gran parte delle citta' italiane attraversate da mobilitazioni altrettanto decise e radicali (Bologna, Torino, Milano, Palermo...) e da un analoga risposta delle forze repressive.
Il fatto che in questa occasione i porci in divisa abbiano riservato un "attenzione" particolare contro un nostro compagno è pienamente in linea con questa strategia di attacco frontale ai settori anticapitalisti del movimento (testimoniato dall'ondata di atti repressivi succedutisi nelle ultime settimane contro gli operai della logistica, i cassintegrati Fiat, lo sgombero degli occupanti casa di Via Giusti a Roma, ecc.) e più nello specifico all'area comunista rivoluzionaria.
Dunque vi è ben poco di cui sorprendersi, ma molto su cui riflettere: il peso della crisi e l'acuirsi delle contraddizioni sociali da essa generate rendono lo stato borghese e le sue istituzioni sempre più impermeabili alle richieste e alle rivendicazioni di chi lotta, finanche quelle più elementari come il diritto a non morire di tumore e a una vera bonifica dei suoli devastati da decenni di sversamenti di rifiuti tossici e disseminate di veleni di ogni tipo.
Le dimensioni del disastro ambientale in Campania, nello svelare da un lato il solido ed inestricabile intreccio di interessi tra il capitale "legale" e quello "illegale" e dall'altro il ruolo di comitato d'affari offerto ad entrambe dalle "istituzioni democratiche", sono la rappresentazione più nitida del volto putrido, corrotto e criminale di questo sistema.

Un sistema che è più che mai in agonia, ma che di certo non è disposto a farsi da parte dalla sera alla mattina, e per questo ricorre alle forme più brutali ed esplicite di criminalizzazione del dissenso.

Se e' vero che le politiche di massacro sociale, devastazione ambientale, precarietà e di attacco frontale al salario diretto e indiretto portate avanti da padroni e governi fondano la loro legittimazione nel supremo principio borghese della legalità democratica, da cio' ne deriva che la pratica dell'illegalità di classe e di massa, del rifiuto radicale delle loro regole e dei loro diktat diviene ogni giorno di più una necessità oggettiva per chiunque intenda realmente contrapporsi a questa barbarie.
Ogni giorno diviene sempre più evidente agli occhi di milioni di proletari, lavoratori, disoccupati, precari e studenti che l'azione tesa alla riappropriazione diretta di diritti e bisogni primari (casa, salute, cultura, luoghi di socialita', ecc.) e al boicottaggio attivo dei disegni padronali (scioperi, picchetti, assedi ai palazzi del potere politico ed economico) rappresentano l'unica strada realmente percorribile per resistere "qui ed ora" alla crisi e alle misure di austerity che ci colpiscono ogni giorno. La risposta studentesca e proletaria alle cariche della questura e alla blindatura dell'universita', materializzatasi nell'occupazione del rettorato della Federico II e accompagnata dall'esproprio di attrezzature all'interno dell'inutile e sfarzosa torre d'avorio in cui e' rintanato un baronato accademico sempre più complice e servo del potere, sintetizzano al meglio cio' che intendiamo per riappropriazione: una necessita' storica frutto della miseria permanente a cui ci vogliono condannare, che nel mettere in discussione materialmente il loro dominio, non solo rompe in maniera netta con gli ultimi rottami della sinistra istituzionale e del sindacalismo concertativo di CGIL-CISL-UIL (le cui condizioni comatose sono state ulteriormente confermate dallo sciopero-funerale del 12 novembre), ma segna una discontinuita' netta anche rispetto alle logiche di autorappresentazione e spettacolarizzazione del conflitto ad uso e consumo mediatico con cui per anni un certo ceto politico "di movimento" ha tentato di esorcizzare la propria crisi politica, la propria inconsistenza programmatica e la propria incapacita' di dar voce al malessere di larghi strati proletari.

Queste fiammate possono e devono essere la base di partenza per avanzare sul terreno della ricomposizione di classe ed essere all'altezza del livello di scontro che ci viene imposto dai padroni, dal loro stato e dai loro apparati repressivi: in primo luogo e' necessario allargare il fronte ed unire la lotta studentesca con quella degli operai, dei cassintegrati, dei precari, dei disoccupati e di tutti coloro che da anni pagano il prezzo della crisi; ma si tratta anche di dotarsi di un'organizzazione politica di classe che sappia andare oltre la contingenza della singola scadenza o del singolo corteo e lavori in maniera stabile e sistematica al rovesciamento dello stato di cose presenti e alla nascita di una societa' libera dalla schiavitù del profitto: una prospettiva che torna di attualita', e che non possiamo chiamare in altro modo se non con la parola comunismo.

16/11/13

COC-Napoli

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