23.4.13

Un re per Miserabilandia

Nello stato di necessità interna o esterna, è nel semplice concetto di sovranità che si raccoglie l’organismo esistente nelle sue particolarità, e ad essa, col sacrificio di queste ultime, altrimenti giustificate, è affidato il salvamento dello Stato (G. W. F. Hegel).

1. L’ennesimo commissariamento della politica da parte di Re Giorgio la dice lunga sulla crisi sistemica del Bel Paese, le cui classi dirigenti, chiamate di volta in volta ad adeguare la «sovrastruttura» politico-istituzionale della nazione ai cambiamenti che si realizzano nella sua «struttura» sociale (e non mi riferisco solo alla sfera economica), sono da sempre paralizzate dalla paura del conflitto sociale. Il compromesso e la consociazione (l’«inciucio», per usare il fetido linguaggio alla moda) sono sempre stati la cifra caratteristica della loro Realpolitik, in attesa di eventi eccezionali (guerre, terremoti, terrorismo, crisi economiche devastanti) che le costringessero a sciogliere almeno i nodi più sensibili dell’ingarbugliata matassa sistemica.
Il picconatore Cossiga arrivò a invocare «un’Algeria italiana» che costringesse i partiti della cosiddetta Prima Repubblica a ridisegnare l’obsoleta struttura politico-istituzionale del Paese, la quale mostrava tutta la sua inconsistenza davanti 1) al «nuovo ordine mondiale» creato dalla fine della «guerra fredda», 2) all’accelerazione del processo di globalizzazione capitalistica (fenomeno immanente al concetto stesso di Capitale) e, last but not least, 3) all’approfondirsi del gap economico-sociale Nord-Sud, il cui prodotto politico più genuino è stato il movimento leghista. Sappiamo com’è andata a finire.
Democristiani e cosiddetti “comunisti” odiavano la Thatcher non per il programma di «riforme strutturali» che la Lady di ferro intendeva implementare nel suo Paese, giacché nessuno in alto loco ne disconosceva la necessità e l’urgenza (ovviamente dal punto di vista delle classi dominanti); la detestavano piuttosto per l’ideologia conflittuale, poco riguardosa nei confronti dell’ipocrita “vogliamoci bene” di italica concezione, che la animava, e che conferì a quel programma “riformista” la necessaria potenza d’urto. In Italia uno come Fabrizio Barca, «un Monti di sinistra» come l’ha giustamente definito Minoli, è ancora lì a teorizzare terze vie fra la Thatcher e Blair… I tempi della politica italiana sono decisamente imbarazzanti. Nulla di strano, quindi, se il Palazzo terremotato dalla crisi sistemica (crisi economica, politica, istituzionale, sociale in senso stretto) ha bisogno di puntelli eccezionali, nell’accezione schmittiana del concetto, che ne impediscano il cupio dissolvi. In streaming, è chiaro.
2. I progressisti italiani, nemici del presidenzialismo in quanto «anticamera del fascismo o comunque di regimi tendenzialmente autoritari e populisti», sono passati direttamente alla Monarchia, peraltro a una forma particolarmente forte di regime monarchico, perché fondata su una peculiare personalità politica: Re Giorgio, appunto. Quel Monarca, e non un altro. Il quale, peraltro, ha invitato “caldamente” i partiti a farla finita con la sindrome dell’inciucio, perché il Paese ha bisogno come il pane di un governo di salvezza nazionale. Quella sindrome, com’è noto, tiene sotto scacco soprattutto il PD, i cui dirigenti hanno venduto per anni ai loro elettori la merce avariata dell’antiberlusconismo politico-antropologico. Oggi è il comico di Genova che cerca di incassarne i frutti, mentre il Cavaliere Nero può legittimamente affettare pose da grande statista. D’altra parte, dinanzi a un Bersani persino un Capezzone qualunque appare alla stregua di un gigante della Scienza Politica.
3. Lo Stato di Diritto è stato dunque sospeso? La Sacra Carta Costituzionale «nata dalla resistenza» è stata odiosamente oltraggiata? Ma non scherziamo! La «sospensione» del Diritto è una idiozia concettuale che appartiene all’ideologia pattizia, la quale cela la reale natura di classe del Diritto, che è sempre e necessariamente al servizio del Dominio. Il Diritto vive innanzitutto nella – e per – la prassi, e non si fa certo intrappolare dalle Carte né da procedimenti fissati in astratto. Non a caso Kant disse con chiarezza che non c’è Diritto senza forza, e la lingua tedesca dimostra di essere all’altezza del concetto, visto che gewalt significa violenza, ma anche potere legittimo, autorità, forza pubblica.
4. Il popolo della – e nella – rete che ieri ha circondato il famigerato Palazzo romano è il degno erede del mitico popolo dei fax che all’inizio degli anni Novanta assecondò la cosiddetta “rivoluzione giudiziaria” che assestò il colpo finale ai partiti della Prima Repubblica, risparmiando solo gli eredi dell’onesto Berlinguer. Guarda il caso… In attesa della marcia su Roma dell’unto della Rete, i giornalisti hanno voluto sondare gli umori degli indignati cittadini, impegnati a sostenere la “rivoluzionaria” candidatura di Rodotà. Richiesto di un’opinione circa la nuova investitura presidenziale a Napolitano, un giovane cittadino (forse un rifondatore statalista, forse un centrosocialista, forse un “viola”, forse un ex girotondino, forse un grillino, certamente un cittadino dalle mani pulite) ha detto che «siamo all’ennesima dimostrazione che in questo Paese nulla può cambiare. Non c’è speranza. Solo una cosa può cambiare la situazione, una rivoluzione». La “rivoluzione” per portare Rodotà (o Casaleggio in persona!) alla presidenza della Repubblica! C’è gente in Italia disposta a rischiare la pelle pur di farla pagare alla “casta”. Che oggi la “rivoluzione” sia evocata, un giorno sì e l’altro pure, dal pensiero ultrareazionario ci dà la misura della crisi sistemica italiana, i cui nodi gordiani anelano l’accetta e la ghigliottina.
Il mio problema naturalmente non è il pensiero politico dei militanti anticastisti, ma la loro opera messa al servizio della conservazione sociale. Fare in modo che il disagio sociale non nutra i movimenti politici reazionari, di “destra”, di “sinistra” e di “nuova” concezione, è il compito che l’attualità assegna a chi non si rassegna all’impotenza politica e sociale delle classi subalterne e di tutti coloro che in qualche modo subiscono la cattiva esistenza nella dimensione del Dominio capitalistico. Compito arduo fino all’impossibile, chi può negarlo; ma non per questo meno attuale, fecondo e orientato in senso umano.

fonte:  http://sebastianoisaia.wordpress.com/

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