30.1.13

Rivoluzionari/e: Big Bill Haywood


William Dudley Haywood, noto come Bill o Big Bill Haywood (Salt Lake City, 4 febbraio 1869 – Mosca, 18 maggio 1928), è stato un sindacalista statunitense.
Le parole di un minatore irlandese e l’esperienza in miniera insegnano all’adolescente Bill i rudimenti della lotta di classe e lo portano a entrare nei Knights of Labor, la prima vera organizzazione di massa dei lavoratori negli Stati Uniti. Nel 1896, quando ormai la repressione aveva pressoché spazzato via i Knights of Labor, Haywood entra nella Western Federation of Miners (Wfm), il combattivo sindacato dei minatori metalliferi dell’Ovest, nato tre anni prima. Nella Wfm, Haywood viene eletto segretario-tesoriere nel 1901. Ne diventa anche la figura più popolare: grande e grosso, generoso, pieno di energia, spirito combattivo e oratore trascinante, si conquista la fiducia dei minatori in lotte di grande violenza. Diventa figura di portata nazionale: nel 1905, sotto la sua presidenza, si apre a Chicago il “Congresso continentale della classe operaia”, l’atto fondativo dell’Iww, cui la Wfm contribuisce con il contingente operaio più numeroso.
Da quel momento e fino al 1920, la storia personale di Big Bill Haywood è indissolubile da quella dell’Iww. E’ una storia a tratti esaltante, in occasione di grandi vittorie come quelle dei minatori di McKees Rocks o di Spokane del 1909 o dei tessili di Lawrence del 1912; e a tratti deprimente, come nel caso della lunga, straordinaria lotta dei setaioli di Paterson del 1913, finita con la sconfitta. Spesso Haywood finisce sul banco degli imputati, come quando nel 1906 viene letteralmente, illegalmente deportato dal Colorado all’Idaho perché una montatura di padroni minerari, autorità politiche, polizia e agenti Pinkerton lo accusa di essere stato uno dei mandanti nell’assassinio del governatore dell’Idaho. In altri casi le accuse non sono così potenzialmente disastrose, ma l’antisindacalismo padronale con cui tribunali e politica sono largamente conniventi – non sempre e non del tutto, per fortuna, come racconta lo stesso Haywood – rendono assai dura la vita a lui e ai suoi compagni.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, gli Iww e i socialisti statunitensi (incluse le diverse componenti “nazionali” che del Partito socialista facevano parte) si dichiararono contro la guerra. E nel 1917, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti – e dopo la vittoria della Rivoluzione in Russia – un’ondata di sciovinismo patriottico e di “paura dei rossi” scatenò contro di loro e contro gli anarchici una repressione forsennata. Più ancora degli anarchici (cui peraltro venivano spesso accomunati) gli Iww o wobblies furono destinatari di una violenza senza precedenti: sedi razziate e distrutte dalla polizia; militanti linciati, picchiati, incarcerati a centinaia. La legge sul “sindacalismo criminale” fu scritta apposta per loro. Più in generale, grazie alle leggi di emergenza varate ad hoc (“sulla sedizione”, sullo “spionaggio”, sui “commerci con il nemico”….) migliaia di oppositori di sinistra furono processati e finirono in carcere, centinaia furono deportati nei paesi da cui erano venuti; giornali e riviste di sinistra furono sequestrati e distrutti, soppressi, censurati o esclusi dall’accesso alla spedizione postale. Archivi, corrispondenza, carte, registri delle organizzazioni – dell’Iww in particolare – furono sequestrati o distrutti. “L’Iww era paralizzata”, ammise Haywood nel 1920. “Il ministero della Giustizia aveva sbatacchiato l’organizzazione come un bulldog sbatacchia un sacchetto vuoto”.
Lui stesso, a quel punto, era stato in carcere per quasi due anni. Uscito su cauzione, e ormai stanco, malato di diabete, sofferente di ulcera allo stomaco, organizzò l’Ufficio di difesa legale dell’Iww. Con una situazione familiare difficile, tornò anche a bere. Dopo un’iniziale fase positiva cominciò a perdere colpi e i compagni che lo aiutavano, privi dell’esperienza dei vecchi militanti in carcere, non erano in grado di ovviare alle sue trascuratezze e sviste, ai suoi errori e alla sua stanchezza. Inoltre, le tensioni interne a quanto rimaneva dell’organizzazione erano acutizzate dalle difficoltà economiche e legali e da divergenze operative. Della sostituzione di cui fu oggetto, con ritegno, scrive solo che “segretario del Comitato generale di difesa venne eletto John Martin”. Mentre faceva giri di conferenze per raccogliere fondi e tenere viva una qualche opposizione, giunse a conclusione il percorso legale che lo riguardava. La condanna a vent’anni di galera avrebbe messo fine alla sua libertà su cauzione.
Invitato dai bolscevichi a espatriare nella Russia sovietica e a partecipare al varo dell’Internazionale sindacale rossa, Haywood – che dice di avere partecipato alla fondazione del Partito comunista negli Stati Uniti nel 1919 e di essersi iscritto al partito – decise di lasciare il paese. Furono una cinquantina gli wobblies che si diedero alla macchia, rifiutando di tornare a scontare pene definitive; ma la fuga di Big Bill fu il caso più eclatante e doloroso. In questo modo, i compagni che avevano anticipato la cauzione perdettero il denaro depositato a suo favore. Il Partito comunista avrebbe dovuto “saldare” il debito contratto da lui, ma non lo fece mai, lasciando aperta una ferita nella storia dei rapporti dell’Iww con Haywood e con i comunisti che non si sarebbe mai sanata. A più di cinquant’anni di distanza, Fred Thompson ne parlava ancora (e ne scrisse) con evidente rancore politico.
Il 31 marzo 1921, Haywood si imbarcava con un passaporto falso a Hoboken, sulla sponda del New Jersey di fronte a Manhattan, sulla Oscar II diretta a Riga, in Lettonia. Uscito sul ponte proprio mentre la nave passava davanti alla statua della Libertà, scrive: “Salutando la vecchia megera con la sua fiaccola levata, pensai: ‘Addio, per troppo tempo mi hai voltato le spalle. Me ne vado nel paese della libertà’”. Il racconto autobiografico di Big Bill Haywood finisce qui. Le ultime poche righe sono dedicate al primo incontro con Lenin, avvenuto qualche giorno dopo l’arrivo a Mosca: “Avevo chiesto al compagno Lenin se le industrie della Repubblica dei Soviet sono dirette e amministrate dagli operai. La sua risposta fu: ‘Sì, compagno Haywood, è questo il comunismo’”. Col senno di poi, pochi gli avrebbero perdonato quella fiducia, che pure tanti altri allora condivisero.

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