Alla fine del ’17, mentre è ancora in atto la 1^guerra mondiale, arriva
al collegio Ghislieri di Pavia uno studente in medicina, Ferruccio
Ghinaglia. Lo accompagna una segnalazione della polizia di Cremona che
lo indica come rivoluzionario, avendo il diciottenne pubblicato al liceo
un giornale antimilitarista.
Passa qualche mese a Pavia perché la
chiamata alle armi (gennaio 1918) lo riporterà, dopo una breve parentesi
alla scuola ufficiali di Parma, a Cremona per terminare il servizio
militare da semplice soldato e sotto sorveglianza speciale per le sue
idee antimilitariste. Qui avrà modo di riprendere i contatti con i
compagni della Federazione giovanile socialista.
Mentre i vertici del
Partito Socialista si trincerano dietro il nullismo del “né aderire, né
sabotare”, i giovani della Federazione socialista, incoraggiati anche
dalle notizie sia pur confuse che arrivano dalla Russia, fanno, in molte
città, propaganda contro la guerra.
Così fa Ghinaglia tra i giovani
di Cremona. Finito il massacro imperialista, ispirato dall’esperienza
rivoluzionaria russa, fonda e dirige “Il bolscevico”, un periodico di
propaganda della federazione giovanile socialista cremonese, dove già si
ravvisa l’impronta rivoluzionaria. Escono solo tre numeri perché il
congedo, nel gennaio 1920, lo riporta a Pavia per proseguire gli studi.
Il biennio rosso
Le
masse e i tempi sono maturi per il cambiamento, ma manca una coerente
direzione politica. Solo i più giovani fra i socialisti si dichiarano,
soprattutto in Lomellina, per la Frazione Comunista, e favorevoli a
Bordiga; chiedono che si crei un’organizzazione solida e intransigente,
che si abbandoni una politica interessata solo alla corsa elettorale,
alla conquista delle poltrone, in Comune, nelle cooperative, nei
sindacati.
Se qualche sparuto gruppo presenzia in aula VI alla
fondazione del primo nucleo fascista (aprile 1919), molti altri giovani
scelgono di essere a fianco degli operai e dei braccianti che, a Pavia
come nel resto d’Italia, lottano per migliori condizioni di vita e di
lavoro, per “fare come in Russia”.
I giovani della frazione comunista
si mobilitano per appoggiare l’ondata rivendicativa dei braccianti che,
nell’aprile del 1920, strappano agli agrari l’imponibile di manodopera,
il controllo sul collocamento, le otto ore e consistenti aumenti
salariali.
Scioperano le fabbriche, i dipendenti statali, i commessi…
Ghinaglia e i suoi compagni pubblicano un giornale “Vedetta Rossa” con lo slogan “Istruitevi, agitatevi, organizzatevi”.
Nessuna
illusione elettoralistica in questo foglio: “…togliamoci la speranza di
avere presto alla Camera la maggioranza dei rappresentanti dei
lavoratori e siate pure convinti che, se la borghesia si accorgerà di
essere sopraffatta dal voto proletario, la farà lei la rivoluzione
contro di noi”. (Vedetta Rossa, 12 settembre 1920)
Nel
settembre-ottobre 1920 si sviluppa nei maggiori centri del nord Italia
l’occupazione delle fabbriche, che a Pavia interessa tra le altre la
Necchi, la Moncalvi, la Torti.
L’esito fallimentare di tale battaglia è dovuto nel contempo all’incapacità dei massimalisti e al “tradimento” dei riformisti.
Il Partito Comunista d’Italia
Da
questa sconfitta, sia pure tardivamente, Ghinaglia trae le sue
conclusioni politiche: nell’articolo “O Lenin o Turati” del 12/10/1920
dichiara che si deve rompere con i riformisti, ma anche con chi in nome
di una falsa unità vuol tenerli nel PSI. E riferendosi alle indicazioni
della Terza Internazionale, fondata nel marzo del 1919, scrive: “Il
congresso del proletariato rivoluzionario di tutto il mondo, presieduto
da Lenin, a Mosca, li ha espulsi e ci ha imposto di espellerli dalle
nostre organizzazioni. O con Lenin o con Turati. O per la rivoluzione o
per le riforme borghesi. Noi siamo con Lenin, per la rivoluzione.
Sentiamo di non poter aderire sinceramente al partito socialista, fino a
che nelle sue file trovano posto dei controrivoluzionari. I Noske, gli
Scheidemann vogliamo averli di fronte, non di fianco. Aleggia intorno a
noi lo spirito di Karl Liebknecht. L’assassinato non può stare con gli
assassini!”
Il 31 ottobre 1920 la mozione Ghinaglia di adesione alla
Terza Internazionale ottiene 1276 voti contro 177 al congresso della
F.G.S.I. pavese. Non così al congresso provinciale PSI, dove Ghinaglia
raccoglie 727 voti (contro i 3.121 dei massimalisti).
Nel gennaio
1921 nasce a Livorno il PCd’I, sezione della Terza Internazionale, ma
nasce in ritardo, quando l’ondata spontanea di protesta del proletariato
è passata e già si profila la reazione fascista. A Livorno i pavesi
danno 184 voti ai riformisti, 2.732 ai massimalisti, 922 a comunisti.
Nonostante l’arresto di alcuni militanti della Lomellina, il nucleo comunista a Pavia è febbrilmente attivo.
Nel
febbraio 1921 sono costituite già 25 sezioni e 32 stanno per
costituirsi. Il circolo giovanile “Karl Liebknecht” organizza riunioni
di studio per studenti e operai. “Vedetta Rossa”, sequestrato per aver
esaltato appunto Liebknecht, è sostituito da “Falce e Martello”.
Il fascismo
Negli stessi giorni i fascisti lomellini attaccano le leghe contadine di Soresina.
Il
PSI si culla nell’illusione che le “le scorrerie fasciste servono
magnificamente alla propaganda socialista… perché seminano lo sdegno fra
le pacifiche popolazioni rurali” (Il Proletario, 8/4/1921).
Cominciano i roghi delle Camere del Lavoro, delle Leghe, delle Case del Popolo.
Ghinaglia
su “Falce e Martello” (19/2/1921) scrive lucidamente: “Non dobbiamo
illuderci che sia solamente il fascismo che terrorizza le piazze
d’Italia; è la borghesia col suo governo, le sue spie, i suoi armati,
che cerca tutti i mezzi per strangolare la volontà dei lavoratori… Non
sono le sole organizzazioni fasciste, perché allora basterebbero le
forze giovanili nostre per ridurre al silenzio questa gente, ma è tutta
l’intera borghesia”.
Il 21 aprile 1921 Ghinaglia moriva assassinato dai fascisti.
Sere
prima in Borgo Ticino, il rione popolare “fortilizio dei
socialcomunisti” come dicevano i fascisti, Ghinaglia aveva parlato a una
riunione operaia sulla necessità di reagire allo squadrismo. E al
termine del comizio i bordighiani avevano attaccato e disperso un gruppo
di fascisti che sui camion tornavano da una delle loro bravate
notturne.
La sera del 21, Ghinaglia e i suoi compagni furono presi a
rivoltellate. Colpito alla testa Ghinaglia morì all’istante. Afferma
Arturo Bianchi, un fascista della prima ora, che Ghinaglia stava
cantando l’Internazionale.
Morto Ghinaglia, il gruppo comunista
pavese perse in parte slancio, ma proseguì la sua attività fino agli
arresti di massa del 1927. I suoi dirigenti, Biazzoli e Dagradi, si
schierarono con Fortichiari e Bordiga.
(articolo pubblicato in Pagine Marxiste, aprile 2005)
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