Non si può leggere questa
raccolta senza commuoversi, senza rivivere quel grande travaglio umano
che accompagnò le vicende politico-militari della seconda guerra
mondiale imperialista. E non si può chiudere il libro senza aver appreso
una grande lezione. Sì, perché queste lettere prima di tutto sono un
alezione di vita, di quella vita integrale che appartiene all'uomo
nuovo, di quella vita che da tempo attende di entrare nella storia a
guidare l'umanità nel suo cammino, di quella vita che va lentamente e
dolorosamente sorgendo e che incita noi a lottare per essa. Scritte a
volte con il sangue sui muri delle celle della morte o sulla carta
vistata e censurata dai boia, nel buio della notte o all'alba
dell'ultimo giorno, recapitate a volte per solidarietà di qualche
passante che le aveva raccolte sulla strada ove era passato un triste
furgone, queste lettere, vergate in lingue diverse ma con un unico
sentimento, sono un documento che serve più alla storia
dell'emancipazione dell'umanità che alla storia della Resistenza.
Poiché
solo inserendo il valore morale di questi scritti nella lotta
millenaria della società divisa in classi si può comprendere l'intimo
significato della Resistenza, cioè il suo valore umano.Porre questa
premessa è doveroso quando ci si accinge a considerare i pensieri, le
volontà, i desideri, i sentimenti manifestati da centinaia di uomini
prima di morire. Altrimenti il discorso diverrebbe immediatamente
politico, cioè punterebbe subito sul significato politico della
Resistenza come un prodotto determinato da particolari condizioni
dell'imperialismo. Questa discussione è sempre aperta e troverà una
soluzione quando il proletariato tirerà un bilancio della esperienza
storica. Oggi, invece, abbiamo di fronte un'esperienza più immediata e
più drammatica, un'esperienza che non ha zone circoscritte e limitate:
la morte di milioni di resistenti, di combattenti di una dura battaglia.
E sulla morte non si può tacere. Su questa morte neppure si può dare un
giudizio sommario dicendo che, siccome la seconda guerra mondiale fu
una guerra imperialista, tutte le sue vittime sono vittime
dell'imperialismo. O dire che i morti della Resistenza morirono lottando
contro il fascismo e quindi sono vittime del fascismo.
Lo abbiamo
già detto: la morte dei militanti della Resistenza ha un significato
morale che trascende ogni politica contingente dell'imperialismo, ha un
significato storico che supera ogni fase particolare dell'imperialismo e
che investe l'imperialismo in tutto il suo complesso come massima
alienazione dell'uomo, della vita dell'uomo. La mano del boia fascista
era una mano dell'imperialismo di cui il fascismo non era che una
espressione. Chi reggeva la mano al boia era tutta la società
imperialista, questa società che ancora regge ai boia di Grecia, di
Spagna, degli Stati Uniti, del Sud America, di Berlino-Est, dell'Asia,
del Kenia, del Nord Africa, di tutte quelle parti del mondo in cui le
masse popolari continuano la Resistenza, lottano per la loro
emancipazione e per la loro libertà.
Avremmo voluto vederle, in
questa raccolta, le lettere dei condannati a morte della Resistenza che
continua; poiché continua il fascismo nei suoi metodi, anche se ha
cambiato nome. Ci avrebbero detto cose nuove, ci avrebbero portato una
nuova esperienza del martirologio umano, ma sarebbero state ispirate
alla stessa morale alla quale si ispirano quelle che leggiamo oggi.
Questo lo diciamo non per fare un appunto metodologico ai curatori della
raccolta (anzi la loro opera di ricerca è meritevole, come ben curate
sono le note cronistoriche ed integrative che aiutano la conoscenza di
certi aspetti nazionali della Resistenza nei vai paesi), ma per far
risaltare il carattere unitario di un fenomeno storico moderno.
In
sostanza si tratta del fondamentale problema della interpretazione
storica della Resistenza. Forse frequentemente questa interpretazione
non la troveremo nelle lettere dei condannati a morte, e ci ricorderemo
della frase di Marx per cui gli uomini non hanno coscienza di quello che
sono nella realtà. Ma, appunto, vi troveremo sempre questa loro realtà
anche se le parole formalmente non la rappresentano, anche se non
conterranno dei termini che non sono realtà. Vi troveremo la condizione
dell'uomo imprigionato dalla società classista e la realtà della sua
lotta per liberarsi e la realtà obiettiva della nuova morale che questa
lotta significa la realtà della coscienza che l'uomo va conquistando in
sè e nella sua lotta. Vi troveremo, insomma, la realtà della rivoluzione
proletaria ed internazionalista.
"Mi hanno messo in catene ma
il mio cuore è libero come è libero di sperare di credere in un avvenire
radioso di sole. Là, se domani muoio slegatemi i piedi" lascia
scritto sui muri della cella di rigore 23 nelle carceri di Fresnes
un'anonima donna francese. Non vi è in queste frasi, che hanno il sapore
di poesia, il simbolo della coscienza che intravvede il mondo nuovo e
si sente legata a quello vecchio? Sì, donna martire ti slegheranno i
piedi quel giorno radioso di sole perché allora nessuno dovrà più legare
ed essere legato!
"Volevo che tutta l'umanità fosse felice:
guardate l'avvenire in faccia, radioso, sicuro: voi sarete felici, e io
sarò l'artefice della vostra felicità. Muoio giovane, molto giovane; vi è
qualcosa che non muore, è il mio sogno!... Presto il duro inverno,
presto anche la bella estate: io riderò della morte perché non morirò,
non mi uccideranno, mi faranno vivere eternamente: il mio nome risuonerà
dopo la morte non come un rintocco funebre ma come un volo di speranza" tre ore prima di essere fucilato scrive lo studente Félinen Joly di anni 21.
E' ancora poesia, sogno che è realtà in divenire, volo di speranza che è coscienza dei limiti della morte. "La vita sarà bella. Noi partiamo cantando. Coraggio." Sono cinque giovani liceali di Parigi in una lettera collettiva: 90 anni fra tutti. "Ho vissuto soltanto vent'anni. Poco, ma tuttavia ho vissuto e credo di aver fatto qualcosa per la società umana"
dice il comunista cecoslovacco Bohus Strnadel. Se si scorrono tutte
queste lettere di morte si trova un fatto grandioso, spiegabile solo con
una morale superiore, una morale nuova che ha sovvertito i principi
dell'egoismo, dell'individualismo borghese: la morte stessa acquista un
nuovo significato, diventa vita ed è il riflesso della dialettica
naturale e dell'intima realtà che si manifesta in chi col suo gesto ha
rotto i ponti col passato ed ha creato il futuro.
Meriterebbe
d'esssere trascritta tutta la lettera che il comunista tedesco Hermann
Dauz scrive alla sua donna, tanto è una pagina di amore nuovo, di uomo
nuovo. "Quando i pampini accanto alla finestra del carcere
cominciano a colorarsi, prima delicatamente, in maniera appena
percettibile, poi sempre più intensamente, sino a risplendere di un
rosso acceso, per poi sbiadire e cadere, mi sembrano un simbolo della
mia situazione...Sono morte le foglie dinnanzi alla mia finestra,
l'ultima è caduta, e anche l'ora mia estrema è giunta... Le foglie
debbono cadere, e decomponendosi diventano concime. E così anche noi
moriamo per un avvenire più bello, altro non siamo che (è una parola
dura) il concime della civiltà. Senza il nostro morire non c'è vita
nuova, non c'è avvenire... E' una bella sensazione, ragazza mia, l'aver
portato il proprio, piccolo contributo a questa evoluzione. La morte è
un fenomeno naturale, ogni creatura deve morire. Ma chi sacrifica la
propria vita per la sua causa, con la sua stessa morte compie
un'azione... E così per finire, ridirò le tue parole "Oltre lo spazio e
il tempo" addio, mia piccola Eva".
Amore, natura, coscienza
diventano la stessa cosa, s'intrecciano, si fondono unitariamente nel
cammino doloros dell'uomo nuovo, diventano l'umanesimo integrale della
concezione rivoluzionaria tesa al futuro. E' l'ideale di un mondo nuovo,
la visione di un avvenire di vita che accompagna serenamente questi
uomini alla morte. E non potrebbe essere altrimenti perché solo tale
ideale rende capaci di morire.
Alla mamma dice Dimitra Tsantson, una giovane pettinatrice greca militante dell'organizzazione giovanile dell'ELAS: "Con
la mia morte diventano figlie tutte le figlie di Grecia,e tu diventi
mamma del mondo intero, di tutti i popoli che combattono per la libertà,
la giustizia e l'umanità. Sono orgogliosa, mai avrei aspettato simile
onore, di morire, io, una povera ragazza del popolo, per ideali così
belli e alti". Pervade questa poema collettivo una concezione
nuova dei rapporti uomini, della famiglia, dei figli, della vita.
Basterebbe raccogliere i consigli che vengono rivolti ai propri
genitori, alle proprie mogli, ai fratelli, agli amici per avere una
morale così grande di fronte all'immoralità della nostra società.
"Io
cadrò coraggiosamente, mio piccolo Minobe caro, per la tua felicità e
quella di tutti i bambini e di tutte le mamme. Conservami un angolo
piccolo piccolo nel cuore. Un angolo piccolo piccolo, ma tutto per me" lascia detto il polacco Joseph Epstein al suo bambino.
"Credimi:
chi vive solo per sé, chi solo per sé ama la felicità, non vive bene
nemmeno felice. L'uomo ha bisogno di qualcosa che sia superiore alla
cornice del proprio io, dico di più, che sia sopra la suo stesso
io."Noi" è di più che non "io". Quando ti accorgi di aver fatto un torto
a qualcuno, non ti vergognare di fare di tutto per porvi rimedio. Vedi,
ecco cosa ne viene: essere sempre pronti ad imparare, a riconoscere i
propri errori e, ciò che è ancor più importante,a combatterli" insegna Rudolf Fischer, membro del Partito Comunista austriaco, alla figlia Erika.
Jaroslav Dolàk lascia la moglie rordandole dei versi: "Sii
felice nella tua vita e calma nei tuoi sogni, dimentica tutto,
fanciulla mia, perché il cielo non esiste e l'inferno non esiste e sulla
terra non ci incontreremo più. Non posso trovare parole migliori di
quelle del poeta".
L'operaio ungherese Imre Békés-Glass alla moglie:" Scusami se non sono un uomo che piange al limite della sua vita, ma coraggioso e pronto a morire".
E il tornitore diciottenne Roger Rouxel alla fidanzata: "Ti chiedo di dimenticare questo incubo e ti auguro di essere felice, perché lo meriti. Scegli un uomo buono, onesto e che saprà renderti felice. Conserva il mio ricordo sin tanto che lo vorrai, ma bisogna che ti dica una cosa: nessuno vive con i morti".
Ed il socialista tedesco Alfred Schmidt-Sas: "Ho in me una grande, una grande leggerezza. Ogni gravame è caduto! E mai ho avuto più puro, immacolato, intimo, l'amore tuo e degli altri. Sono inspiegabilmente felice. Ricordami così." Un insieme di sentimenti collaudati di fronte alla rinuncia estrema e che ci offrono il consolante spettacolo di una grande serenità di fronte alla morte.
E il tornitore diciottenne Roger Rouxel alla fidanzata: "Ti chiedo di dimenticare questo incubo e ti auguro di essere felice, perché lo meriti. Scegli un uomo buono, onesto e che saprà renderti felice. Conserva il mio ricordo sin tanto che lo vorrai, ma bisogna che ti dica una cosa: nessuno vive con i morti".
Ed il socialista tedesco Alfred Schmidt-Sas: "Ho in me una grande, una grande leggerezza. Ogni gravame è caduto! E mai ho avuto più puro, immacolato, intimo, l'amore tuo e degli altri. Sono inspiegabilmente felice. Ricordami così." Un insieme di sentimenti collaudati di fronte alla rinuncia estrema e che ci offrono il consolante spettacolo di una grande serenità di fronte alla morte.
Il giornalista Missak Manouchian, capo di un gruppo FTP, dice alla moglie: "Al
momento di morire proclamo che non porto alcun odio verso il popolo
tedesco...Avrei ben voluto avere un bambino da te, come tu sempre
volevi. Ti prego dunque senz'altro di sposarti, dopo la guerra, e di
avere un bambino per adempiere alla mia volontà". "Sono stato per te un buon amico e compagno, volevo essere per te un buon marito... Cercati un altro Franka"
scrive con lo stesso sentimento un calderaio di Praga, Frantisek Stibr.
Non si finirebbe più di citare di fronte a queste pagine di un libro
ove in ogni pagina vi è almeno una frase che illustra ogni particolare
della vita, della lotta, della morte, ove ogni frase è un rigo di
testamento comune, un verso di una "Antologia di Spoon River" di questa
vecchia Europa.
Ma un aspetto importantissimo va segnalato, un
aspetto che ci conferma il reale moto che la Resistenza aveva iniziato
ed una meta verso cui tendeva, deviati dalle mene e dalla spartizione
brigantesca dei due blocchi imperialisti: la solidarietà
internazionalista, il sentimento internazionalista, la fede
nell'internazionalismo. "Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono vostri fratelli" ci lascia detto il comunista italiano Pietro Benedetti. "A guerra terminata, vi esprimo il mio ultimo desiderio: dovete prendere un orfano tedesco al mio posto"
chiede ai genitori lo studente danese di teologia Christian Ubri
Hansen, ed è il miglior omaggio a quella grande e silenziosa Resistenza
del popolo tedesco al nazismo che dal 1933 costò 32 mila fucilati, 500
mila internati che non fecero ritorno, 195 mila ebrei uccisi.
Un
omaggio che noi associamo all'impegno di raccogliere questa valida
testimonianza, di iscriverla sulla bandiera rivoluzionaria che affosserà
l'imperialismo, di averla presente quando finalmente il desiderio
espresso nel diario della berlinese Kaete "vi pregherei di cantare 'Cantami una canzone che debbo paritire' " sarà un canto al viaggio della vita; quando finalmente la semplice aspirazione della ventiduenne Cato Bontjes: "non sono una creatura politica, una cosa voglio essere, una creatura umana" sarà una semplice realtà.
A.Cervetto, da "L'Impulso"(notiziario anarchico), 15 agosto 1954
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