Venerdì 2 agosto è stata sottoscritta tra Fincantieri, sindacati e Rsu un’ipotesi di accordo che entrerà in vigore solo se e quando
gli operai e gli altri dipendenti del cantiere l’avranno approvata,
alla fine di agosto – da lunedì 5, infatti, il cantiere va in ferie per
due settimane.
Per dare un giudizio su questa ipotesi
di accordo, dobbiamo tornare al punto di partenza, tra maggio e giugno,
quando l’azienda assesta un duplice colpo ai lavoratori:
disconosce l’elezione della Rsu eletta dai lavoratori, a maggioranza
Fiom (che ottiene il 77,7% del voto operaio) e, soprattutto, vista
l’autorevole presenza al suo interno di compagni degni di questo nome,
pretende – in base all’accordo-capestro sulla rappresentanza sindacale
di fine maggio – una diversa Rsu a maggioranza Fim/Uilm. L’azienda, poi,
presenta un piano di riorganizzazione generale degli orari che prevede:
1) il turno di notte (fino alla mezzanotte); 2) l’applicazione su larga
scala del 6×6; 3) un orario pluri-settimanale di ampiezza indefinita,
senza limiti alle ore settimanali, da attuare su un biennio; 4) lo
spostamento della mensa a fine turno; 5) l’estromissione della Rsu da
ogni funzione di controllo su orari e organizzazione del lavoro.
Questo stravolgimento generale degli
orari, non essendo prevista alcuna compensazione salariale (salvo che
per il turno di notte con le indennità dalle 20 alle 24), avrebbe
comportato, con la trasformazione del sabato in una normale giornata
lavorativa e la pratica abolizione dello straordinario, una riduzione media dei salari operai di 100-150 euro
e forse, in qualche caso, anche più. A supporto del suo attacco
Fincantieri formula il seguente ricatto, che ha caratterizzato l’intero
periodo della lotta: o si accetta questo piano aziendale, o le nuove
navi ordinate dalla Viking, a cominciare dalla Viking Star, andranno in
altri cantieri.
La risposta a questo attacco da parte della Rsu e dei lavoratori del cantiere – dall’inizio alla fine, i veri protagonisti dello scontro con il padrone-Fincantieri
– è consistita nel blocco degli straordinari al sabato e alla domenica,
e in scioperi di una o due ore all’interno del cantiere.
Proprio nel mezzo di questo conflitto
aziendale, un terzo, e più duro, colpo agli operai di Marghera, come a
tutti i lavoratori del gruppo, è arrivato il 10 luglio quando a livello
nazionale non solo Fim e Uilm, ma anche la “diversa” Fiom, hanno firmato
un accordo tutto incentrato sulla necessità del “recupero sul terreno
della competitività” nel quale si dà in sostanza il via libera alla
azienda perché proceda a “un’ulteriore revisione del modello
organizzativo, produttivo e gestionale”. Quest’accordo ha definito il
numero di “eccedenze” (ovvero: i lavoratori da licenziare) e il numero
di lavoratori da mettere a cassa integrazione in tutti i cantieri. Per
tutto il gruppo si tratta di 904 lavoratori da licenziare “con il
criterio della non opposizione”, e di 2.992 lavoratori da mettere a
cassa integrazione; per Marghera di 115 “eccedenze”, e 325 lavoratori da
mettere in cassa integrazione. La posizione del padrone di stato
Fincantieri, reso arrogante dal raddoppio del proprio fatturato a
seguito dell’acquisizione della norvegese STX OSV, si è ulteriormente
rafforzata sia per effetto di questo accordo nazionale, sia per effetto
di un altro accordo imposto ai lavoratori del cantiere di Ancona, che dà
all’impresa una grande libertà d’azione in materia di organizzazione
del lavoro in “cambio” di un po’ di attività produttiva. L’azienda ha
potuto così approfittare, in pieno, della distruzione del coordinamento
un tempo esistente tra i diversi cantieri del gruppo, ognuno dei quali
va ormai, disgraziatamente, per proprio conto, isolato da tutti gli
altri e perciò più esposto all’arroganza padronale. Ma, in
quest’occasione, l’azienda si è fatta forte anche dei segnali ricevuti
dal Comitato centrale della Fiom di metà luglio nel quale Landini e
Grondona (Fiom Genova, di Lotta comunista) hanno attaccato con argomenti
quanto mai strumentali la resistenza dei lavoratori di Marghera. Per
non parlare, infine, della libertà d’azione concessa a tutti i padroni, e
quindi anche a Fincantieri, dalla stasi delle lotte operaie in tutto il
paese.
Da una simile, evidente posizione di forza Fincantieri formula il giorno 25 luglio il suo aut-aut: o prendere o lasciare la sua proposta ultimativa, nella quale inserisce anche la decisione di tornare al cottimo individuale.
Fim e Uilm “prendono”; la Fiom, pressata dalla compattezza e fermezza
della lotta, “lascia”, ritirandosi dal tavolo delle trattative. A questo
punto parte un tam-tam assordante sullo spostamento della Viking Star
nel cantiere di Monfalcone da cui arrivano, anche attraverso la
Rsu-Fiom, segnali ambigui che da un lato sono di formale solidarietà con
la lotta di Marghera, ma dall’altro lasciano trapelare la disponibilità
sostanziale, mai smentita, ad accettare “di buon grado” lo spostamento
della Viking Star. Per alcuni giorni la tensione in fabbrica si allenta.
Sono giorni nei quali cade nel vuoto (momentaneamente) la nostra proposta di una prova di forza da parte degli operai,
con l’intensificazione degli scioperi e l’uscita dal cantiere, in
direzione della “città”, cioè degli altri lavoratori, e in direzione di
Monfalcone e degli altri cantieri dell’azienda. A questo punto
Fincantieri è convinta di poter calare i suoi assi per chiudere subito
la partita con un cappotto: una lettera di attacco agli scioperi,
pilotata dalla direzione e fatta firmare a più di 100 dirigenti, tecnici
e impiegati; il tentativo di far approvare l’ipotesi padronale di
accordo siglata da Fim/Uilm attraverso un referendum, che finisce però
con una clamorosa bocciatura da parte dell’assemblea del cantiere, la più grande assemblea operaia da decenni;
l’organizzazione del tentativo di rompere i picchetti da parte di
alcuni capicantiere delle ditte di appalto; l’intimidatoria presenza
della Digos in fabbrica; le lettere di cassa integrazione, prima 34, poi
45 (un anticipo delle previste 325).
Le lettere di cassa integrazione sono la goccia che fa traboccare il vaso. La lotta operaia ha uno scatto, lo scatto che ha costretto Fincantieri a un accordo che in nessun modo può presentare come una sua vittoria. Scatta lo sciopero generale totale
del cantiere il 30 e 31 luglio e il 1° agosto, con dimostrazioni e
assemblee sia dentro lo stabilimento che a Mestre, davanti alla
Confindustria, con stampa e tv convocate a rapporto perché, accanto alle
abituali e professionali menzogne cui in nessun modo possono
rinunciare, facciano sentire anche la voce dei lavoratori. È
un’autentica prova di forza anche nei confronti della Fiom
che, sentendosi sfuggire del tutto di mano la conduzione della lotta e
volendo dar prova, invece, di “controllarla”, decide l’1° agosto di
“raffreddare” la tensione dimezzando le ore di sciopero da 8 a 4 senza
consultare i lavoratori in lotta e la Rsu, per venire anch’essa sconfessata
– lo sciopero, infatti, rimane di 8 ore. A loro volta i delegati della
Uilm sconfessano la propria organizzazione partecipando alla
mobilitazione, mentre la Fim-Cisl sparisce completamente dalla scena
dello sciopero generale, conoscendo una vera e propria debacle di
influenza e di iscritti. Il 1° agosto lo sciopero è stato semi-totale
perché, visto il timore di un intervento massiccio della polizia, i
lavoratori hanno rinunciato al picchetto limitandosi alla propaganda
verbale anti-crumiraggio. Ma il risultato è stato comunque importante:
su 300 impiegati ne è entrata solo una quarantina e su oltre 1.000
operai delle ditte di appalto ne è entrato un centinaio.
Confindustria e Fincantieri, pressate anche dal governo, davanti al rischio
sempre più concreto di una lotta a oltranza allargata alle famiglie dei
lavoratori e alla città, ed estesa perfino a Monfalcone,
accettano di riaprire la trattativa e di tener conto di quanto gli
operai e i lavoratori del cantiere hanno espresso con decisione e
compattezza esemplari. Ne risulta un compromesso onorevole e forse, dati
i tempi, anche più che onorevole per i lavoratori in lotta. Con i
seguenti punti salienti:
1) ritiro di tutti i provvedimenti di cassa integrazione;
2) nessun cottimo individuale;
3) applicazione del 6×6 limitata “al minor numero di reparti e di lavoratori possibile” (è la formula usata dal “Corriere della sera”), un’ottantina di lavoratori delle macchine automatiche e dei reparti assistenza, a tempo, per circa 4 mesi (dal 2 settembre al 20 dicembre 2013), con indennizzo, dopo di che ci sarà il ritorno all’orario normale – c’è inoltre un’intesa informale tra Rsu e azienda perché questi lavoratori possano avere un passaggio di qualifica, che appare più agevole dal 3° al 4°, più complesso dal 4° al 5° e dal 5° al 5° erp;
4) orario plurisettimanale limitato ad alcune categorie di lavoratori (elettricisti, addetti alle attività di allestimento e di bordo), fissato a un massimo di 48 ore settimanali, con recuperi su un anno, e non su due come preteso dall’azienda: una differenza determinante perché, per una serie di questioni tecniche, le ore eccedenti le 40 ore settimanali verranno pagate come ore di straordinario;
5) la mensa resta com’era, va a fine turno solo per i lavoratori implicati, a tempo, nel 6×6;
6) in tutte le materie concernenti gli orari, è riconosciuto il diritto di intervento e contrattazione della Rsu, non la semplice informazione da parte dell’impresa.
1) ritiro di tutti i provvedimenti di cassa integrazione;
2) nessun cottimo individuale;
3) applicazione del 6×6 limitata “al minor numero di reparti e di lavoratori possibile” (è la formula usata dal “Corriere della sera”), un’ottantina di lavoratori delle macchine automatiche e dei reparti assistenza, a tempo, per circa 4 mesi (dal 2 settembre al 20 dicembre 2013), con indennizzo, dopo di che ci sarà il ritorno all’orario normale – c’è inoltre un’intesa informale tra Rsu e azienda perché questi lavoratori possano avere un passaggio di qualifica, che appare più agevole dal 3° al 4°, più complesso dal 4° al 5° e dal 5° al 5° erp;
4) orario plurisettimanale limitato ad alcune categorie di lavoratori (elettricisti, addetti alle attività di allestimento e di bordo), fissato a un massimo di 48 ore settimanali, con recuperi su un anno, e non su due come preteso dall’azienda: una differenza determinante perché, per una serie di questioni tecniche, le ore eccedenti le 40 ore settimanali verranno pagate come ore di straordinario;
5) la mensa resta com’era, va a fine turno solo per i lavoratori implicati, a tempo, nel 6×6;
6) in tutte le materie concernenti gli orari, è riconosciuto il diritto di intervento e contrattazione della Rsu, non la semplice informazione da parte dell’impresa.
Quanto, infine, alle “eccedenze” e ai
lavoratori da licenziare “con il criterio della non opposizione”, il
loro numero viene formalmente ridotto, sulla carta, di 25 unità (a 90),
ma in realtà non vi sarà alcun licenziamento non solo
per la ferma opposizione della Rsu, ma anche perché i nuovi carichi di
lavoro e il ritiro della cassa integrazione imposto dalla lotta non lo
giustificherebbero in alcun modo.
Sabato mattina, ai cancelli dello stabilimento, c’era un clima di soddisfazione e di orgoglio
tra gli operai e i delegati che sono stati il nucleo centrale e
direttivo della lotta. Comprendiamo in pieno questi sentimenti, più che
giustificati se si tiene realisticamente conto dello stato attuale del
conflitto di classe in Italia, del pressoché totale isolamento di questa
lotta e – in particolare – dell’estrema pesantezza della posizione
ambigua assunta dai delegati sindacali di Monfalcone. Ma sarebbe
illusorio pensare che Fincantieri rinunci a utilizzare le seppur
limitate e temporanee, e tuttavia reali, “flessibilità” che è riuscita
ad ottenere per cercare di allargarle e prolungarle con nuovi colpi di
mano. Bisogna dare per scontato il contrario.
****
Questa lotta, però, fa una differenza, e una differenza non da poco. Il suo più importante risultato
non è tanto l’aver in parte e momentaneamente stoppato l’attacco
padronale, ma il fatto che gli operai e i lavoratori del cantiere
abbiano lottato in modo compatto, organizzato, senza
allinearsi né alle svendite di Fim-Uilm né alle politiche di
“raffreddamento” del conflitto tentate dalla Fiom. I lavoratori hanno
preso la lotta nelle proprie mani e hanno dimostrato – a
se stessi e al resto dei lavoratori – qual è il loro potenziale di
lotta. Questa è la lezione più importante da trarre da questa
esperienza, e questo deve essere il punto di partenza per affrontare i principali fattori di debolezza
che sono emersi in essa: la mancanza di un pieno coordinamento con i
lavoratori degli appalti, che non si sono mai contrapposti alla lotta,
ma neppure l’hanno sostenuta in pieno, e con i lavoratori degli altri
cantieri dell’azienda, ed il relativo isolamento dal resto della classe
lavoratrice e della cittadinanza. Abbiamo visto che è stato proprio
quando i lavoratori hanno iniziato a superare, in parte, queste barriere
che la Fincantieri ha fatto marcia indietro ed è scesa a patti con i
lavoratori per impedire che andasse a finire, per sé, anche peggio di
com’è finita.
La lotta di questi mesi indica ai lavoratori Fincantieri, e non solo a loro, la direzione in cui proseguire. È bene tenere in mente che il braccio di ferro su orari, produttività, prestazioni e premio di produttività è solo momentaneamente sospeso.
È scontato infatti che l’applicazione dell’accordo porterà nuovi
conflitti a livello aziendale, anche perché non è affatto escluso –
anzi! – che Fincantieri possa ritentare l’assalto con l’aiuto di
Fim/Uilm e di qualche “improvvisa apertura” della stessa Fiom (che si
può leggere, ad esempio, in una dichiarazione del segretario provinciale
Trevisan circa il carattere “sperimentale” del 6×6, del tutto in
contrasto con la posizione dei compagni che hanno guidato la lotta, per i
quali è chiaro e scontato che dopo il 20 dicembre si ritorna agli orari
normali senza più il 6×6). Inoltre, già sappiamo che il governo Letta-Berlusconi ha tutta l’intenzione di rimettere in moto il processo di privatizzazione dell’azienda
e la sua quotazione in borsa. In un articolo de “La stampa” del 19
luglio si afferma che la Fincantieri è la prima nella lista delle
aziende da privatizzare da parte del governo. Perciò, nonostante questa
lotta e i risultati conseguiti, grazie al rafforzamento che essa ha
favorito, i lavoratori della Fincantieri saranno presto chiamati anche a
battaglie di più ampio respiro, e a confrontarsi con la questione
centrale, del tutto irrisolta, dell’organizzazione dell’intera classe
lavoratrice contro l’attacco scatenato dalla classe capitalistica e dal
governo.
Agli inizi di luglio i compagni del
Comitato permanente contro le guerre e il razzismo e del Centro di
iniziativa comunista internazionalista hanno promosso la formazione di
un Comitato di sostegno ai lavoratori Fincantieri, alla cui attività
hanno partecipato anche altri/e compagni/e. Nonostante le sue forze
limitate, il Comitato ha fatto il possibile per rompere l’isolamento di
questa lotta, per sollecitarla ad andare avanti, passo dopo passo, a radicalizzarsi, a uscire dal chiuso del cantiere e parlare all’intera classe lavoratrice
su temi comuni ai lavoratori di tutti i settori. In questa campagna, il
Comitato ha ricevuto il sostegno di una serie di siti (a cominciare da
“Il pane e le rose”), network, organizzazioni, giornali e di singoli
compagne/i. Nei volantinaggi alla stazione, ai mercati, ai centri
commerciali, abbiamo ricevuto parole di solidarietà da parte di
lavoratori e gente comune, che hanno espresso la convinzione che
quest’attacco è parte di un più generale attacco che coinvolge anche
loro. Un organismo sindacale di ferrovieri e di lavoratori degli appalti
delle ferrovie di Venezia ci ha mandato una delle più decise prese di
posizione di solidarietà alla lotta in Fincantieri, proponendoci di
iniziare un confronto per coordinare le forze in campo, al di là delle
appartenenze sindacali. Alcuni gruppi di compagni si sono offerti di far
arrivare i nostri testi agli operai dei cantieri liguri. Il
coordinamento nazionale del S.I. Cobas, che sta coordinando da anni la
lotta dei lavoratori della logistica, ha dato il suo pieno sostegno alla
lotta degli operai Fincantieri, considerandola parte della loro stessa
lotta. Ma la lista di adesioni e solidarietà dall’Italia e dall’estero, è
molto più lunga, ed è andata allungandosi con il passare dei giorni…
Ciò che più importa è che questi sono
altrettanti segnali della necessità, per far fronte alla crisi, di
creare organismi più ampi che coinvolgano lavoratori occupati e
disoccupati, più o meno precari, nativi e immigrati, al di là delle
appartenenze sindacali e delle barriere del localismo. Sono segnali non
solo della necessità, ma anche della possibilità concreta di fare tutto questo: della possibilità che i lavoratori uniscano le proprie forze e facciano fronte unico contro i padroni, il governo e lo stato nella grande tempesta sociale che ci attende negli anni a venire.
Ed è per questo che – una volta compiuto il necessario bilancio –
l’attività del nostro Comitato continuerà, sia in riferimento alla
Fincantieri (non solo a Marghera) che a scala più ampia, cercando di
favorire il collegamento e l’unificazione tra le lotte suscitate dalla
crisi del capitalismo a livello nazionale e internazionale.
Comitato di sostegno ai lavoratori Fincantieri
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