La fase storica che attraversiamo da
qualche anno a questa parte sta evidenziando come la crisi capitalistica
odierna, se da un lato è sinonimo di barbarie sociale, miseria,
precarietà e indicibili sofferenze materiali e morali per milioni di
proletari, dall’altro, nella sua potenza distruttrice, porta via con sé
buona parte delle illusioni, delle vuote retoriche e delle
mistificazioni su cui si fonda il sistema di dominio borghese.
Gli episodi del primo maggio a Bagnoli,
dove centinaia di studenti, proletari ed operai espulsi dalle fabbriche
Fiat e Irisbus che, insieme al neonato Comitato Bonifichiamo Bagnoli,
chiedevano di intervenire su un palco sindacale al termine di un corteo
tanto combattivo quanto blindato dalle forze dell’ordine sono stati
respinti in malo modo dalla coalizione di “larghe intese” formata da
Cgil-Cisl-Uil e Questura, rappresenta un piccolo ma importante segnale
della fine di questo “piccolo mondo antico” fondato sull’ipocrisia.
D’altra parte, la determinazione con la quale il movimento di classe ha costretto Cgil-Cisl-Uil a interrompere i loro festeggiamenti celebrati sul sangue dei lavoratori e di chi a Bagnoli continua a morire di tumore, di degrado o di precarietà, e le stesse dimensioni del consenso registrato sia nel quartiere che nella metropoli tutta a chi ha infranto il totem della sacralità del “sindacato” e smascherato il reale volto reazionario del manipolo di parassiti di professione che il 1 maggio sono calati sui suoli di Città della Scienza, sono un dato su cui occorrerebbe riflettere non poco.
D’altra parte, la determinazione con la quale il movimento di classe ha costretto Cgil-Cisl-Uil a interrompere i loro festeggiamenti celebrati sul sangue dei lavoratori e di chi a Bagnoli continua a morire di tumore, di degrado o di precarietà, e le stesse dimensioni del consenso registrato sia nel quartiere che nella metropoli tutta a chi ha infranto il totem della sacralità del “sindacato” e smascherato il reale volto reazionario del manipolo di parassiti di professione che il 1 maggio sono calati sui suoli di Città della Scienza, sono un dato su cui occorrerebbe riflettere non poco.
Democrazia, diritti, partecipazione:
queste le maschere con cui da quasi settant’anni la classe dominante e i
suoi maggiordomi che si alternano alla guida del governo cercano di
abbellire un ordine sociale in realtà basato sulla dittatura del
profitto.
Negli ultimi tre decenni i padroni hanno potuto dormire sonni tranquilli elargendo qua e là briciole ai proletari e contando da una parte sul riformismo e dall’altra sul sindacalismo confederale come alleati sempre più preziosi ed insostituibili nel compito di disarmare il movimento di classe, corromperlo dall’interno, chiuderlo nella gabbia delle “compatibilità”, dei compromessi più o meno storici e dei “patti tra produttori”, svenderne le lotte, frenare ogni spinta per una reale trasformazione dell’esistente e conseguire quel clima di “pace sociale” che da sempre è stato utile solo al capitale: il tutto condito con qualche sciopero di facciata o qualche frase altisonante di denuncia degli “eccessi” antiproletari dei governi di destra.
Restava poi il supremo rituale del “responso delle urne” per attestare una volta ogni cinque anni che lo Stato fondato sulla dittatura del profitto godeva tutto sommato di buona salute e del consenso di larga parte della popolazione, ivi compresa la classe sfruttata. In ultimo, ogni attacco al salario poteva sempre essere giustificato in nome di sacrifici necessari a raggiungere la tanto agognata Unione Europea fondata sui parametri di Maastricht e sui dogmi monetaristi imposti dal grande capitale finanziario e bancario.
Negli ultimi tre decenni i padroni hanno potuto dormire sonni tranquilli elargendo qua e là briciole ai proletari e contando da una parte sul riformismo e dall’altra sul sindacalismo confederale come alleati sempre più preziosi ed insostituibili nel compito di disarmare il movimento di classe, corromperlo dall’interno, chiuderlo nella gabbia delle “compatibilità”, dei compromessi più o meno storici e dei “patti tra produttori”, svenderne le lotte, frenare ogni spinta per una reale trasformazione dell’esistente e conseguire quel clima di “pace sociale” che da sempre è stato utile solo al capitale: il tutto condito con qualche sciopero di facciata o qualche frase altisonante di denuncia degli “eccessi” antiproletari dei governi di destra.
Restava poi il supremo rituale del “responso delle urne” per attestare una volta ogni cinque anni che lo Stato fondato sulla dittatura del profitto godeva tutto sommato di buona salute e del consenso di larga parte della popolazione, ivi compresa la classe sfruttata. In ultimo, ogni attacco al salario poteva sempre essere giustificato in nome di sacrifici necessari a raggiungere la tanto agognata Unione Europea fondata sui parametri di Maastricht e sui dogmi monetaristi imposti dal grande capitale finanziario e bancario.
Per circa trent’anni, a partire dal
riflusso del grande ciclo di lotte dei decenni ’60 e ’70 sancita
nell’immaginario collettivo con la sconfitta degli operai Fiat nel 1980,
questo film è andato avanti senza significativi intoppi, portando a
innumerevoli e forse inimmaginabili vittorie da parte di un fronte
padronale che quasi senza colpo ferire nel breve volgere di qualche
lustro ha riportato indietro l’orologio della storia distruggendo tutte
le conquiste e le garanzie salariali dirette e indirette strappate dal
movimento operaio con dure lotte (scala mobile, contratti collettivi
nazionali, stabilità occupazionale, servizi sociali, libero accesso a
scuola e università, ecc.) e dando vita a un gigantesco travaso di
ricchezze a scapito dei salari e in direzione dei profitti.
Oggi quel film sta iniziando ad
interrompersi, per il venir meno di quei fattori di equilibrio che
finora ne hanno garantito il perpetuarsi: il riformismo, in tutte le sue
vesti, gradazioni e coloriture, è alle corde poiché impossibilitato
dalla crisi a svolgere il suo ruolo di dispensatore di briciole; le
elezioni segnano il tracollo di tutte le forze politiche pienamente
organiche al sistema e l’aumento esponenziale dell’astensionismo è solo
in parte frenato dal “boom” del M5S; il post-elezioni, con la
pagliacciata della rielezione di Napolitano ed il bis della grande
coalizione con la staffetta tra Monti e Letta svela in tutta la sua
flagranza l’inutilità delle urne; resta (o meglio restava) in piedi
l’inganno di Cgil-Cisl-Uil, le quali nella foga di rincorrere sua Maestà
Confindustria e convincerla della necessità di un “patto tra i
produttori” sono evidentemente andate troppo in là, invitando i padroni a
salire con loro sui palchi del primo maggio, accettando finanche lo
schiavismo del “modello Marchionne” epurando ogni (residua) voce di
dissenso interno nell’illusione di garantirsi il via libera anche
sull’ennesimo colpo di mano liberticida sulle regole della
rappresentanza: tutto ciò proprio nel mentre milioni di disoccupati,
cassintegrati e licenziati sono ridotti alla fame.
La corda a furia di tirarla si spezza, e
a spezzarsi il primo maggio non è stato tanto il filo tra sindacati di
Stato e movimento di classe (oramai inesistente da tempo) quanto il
guinzaglio che per troppo tempo ha legato i vertici sindacali a milioni
di loro iscritti per mezzo di prebende, clientele o, quando necessario,
ricatti ed intimidazioni di ogni tipo.
Chiunque abbia a cuore le sorti dei milioni di uomini e donne che ogni giorno pagano sulla loro pelle le politiche di austerity non può che rallegrarsi di quanto avvenuto a Bagnoli, a Torino con l’invasione del palco da parte di centinaia di precari, a Taranto dove il “comitato cittadini liberi e pensanti” ha rubato la scena a Cgil-Cisl-Uil che vanno a braccetto con Riva e chiamano “diritto” far morire di tumore gli operai e le loro famiglie in nome dei profitti dell’Ilva, o a Bologna, dove la nuova generazione operaia della logistica ha per l’ennesima volta dato dimostrazione della sua abnegazione essendosi in gran parte liberata dalla cappa pestifera dei confederali apertamente collusi con i boss e i caporali del “sistema-cooperative”.
Chiunque abbia a cuore le sorti dei milioni di uomini e donne che ogni giorno pagano sulla loro pelle le politiche di austerity non può che rallegrarsi di quanto avvenuto a Bagnoli, a Torino con l’invasione del palco da parte di centinaia di precari, a Taranto dove il “comitato cittadini liberi e pensanti” ha rubato la scena a Cgil-Cisl-Uil che vanno a braccetto con Riva e chiamano “diritto” far morire di tumore gli operai e le loro famiglie in nome dei profitti dell’Ilva, o a Bologna, dove la nuova generazione operaia della logistica ha per l’ennesima volta dato dimostrazione della sua abnegazione essendosi in gran parte liberata dalla cappa pestifera dei confederali apertamente collusi con i boss e i caporali del “sistema-cooperative”.
La tristezza non può che lasciar spazio
alla gioia, nel vedere che questi parassiti (eccezion fatta per il big
event di Piazza San Giovanni) non riescono a riempire una piazza neanche
a suon di canzonette e nemmeno facendo esibire alcuni pezzi da 90 della
musica italiana!
Il merito più grande del Comitato cassintegrati Fiat e di Resistenza operaia Irisbus presenti a Bagnoli è stato proprio questo: far cadere il mito di quella presunta contrapposizione tra “studenti contestatori e violenti” da una parte ed operai “responsabili e compatti a difesa del sindacato”. A difendere le malefatte di Cgil-Cisl-Uil il 1 maggio a Bagnoli non c’era più nessuno, eccezion fatta per la polizia e il ridotto manipolo di mercenari del loro servizio d’ordine: persino alcuni artisti esibitisi hanno preso le distanze dopo aver assistito alla cacciata in stile militare di un cassintegrato colpevole di non avere nulla da festeggiare, e persino un’assessore comunale si è “sfilata” dopo aver assistito all’aggressione a chi, nella giornata internazionale dei lavoratori, voleva prendere la parola per denunciare il dramma sociale della precarietà, dei licenziamenti e della devastazione ambientale.
Il merito più grande del Comitato cassintegrati Fiat e di Resistenza operaia Irisbus presenti a Bagnoli è stato proprio questo: far cadere il mito di quella presunta contrapposizione tra “studenti contestatori e violenti” da una parte ed operai “responsabili e compatti a difesa del sindacato”. A difendere le malefatte di Cgil-Cisl-Uil il 1 maggio a Bagnoli non c’era più nessuno, eccezion fatta per la polizia e il ridotto manipolo di mercenari del loro servizio d’ordine: persino alcuni artisti esibitisi hanno preso le distanze dopo aver assistito alla cacciata in stile militare di un cassintegrato colpevole di non avere nulla da festeggiare, e persino un’assessore comunale si è “sfilata” dopo aver assistito all’aggressione a chi, nella giornata internazionale dei lavoratori, voleva prendere la parola per denunciare il dramma sociale della precarietà, dei licenziamenti e della devastazione ambientale.
Finora si tratta di episodi ancora di
dimensioni limitate, ma il trend delle lotte è senz’altro in ascesa, e
se i nuovi piani di macelleria sociale prospettati da Bce e governo
Letta prendessero forma nei prossimi mesi, è probabile che questa volta
pezzi consistenti di proletariato ridotto alla fame non resteranno di
nuovo a guardare…
Il re è nudo: il tempo delle mediazioni, degli appelli alla “responsabilità” e dei compromessi-truffa è finito!
Il proletariato, vecchio e nuovo, oggi come non mai non ha nulla da perdere se non le proprie catene!
Il proletariato, vecchio e nuovo, oggi come non mai non ha nulla da perdere se non le proprie catene!
Spetta a una nuova generazione di
comunisti rivoluzionari il compito di riorganizzare in maniera autonoma
il fronte di classe, collegare ed unificare le lotte, rafforzare
l’opposizione ai piani dei governi e delle istituzioni locali, nazionali
ed europee e costruire quell’organizzazione politica dotata di un
programma e di una prospettiva volta a spezzare una volta per tutte le
catene dello sfruttamento capitalistico.
3-5-2013
Comunisti per l’Organizzazione di Classe
fonte: Combat-coc.org
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